venerdì 30 maggio 2008

Corte di Cassazione, Sez. Unite - sentenza 12 maggio 2008 n. 11656

Corte di Cassazione, Sez. Unite - sentenza 12 maggio 2008 n. 11656 - Pres. Carbone, Est. Segreto - Hermes s.r.l. c. Regione Calabria - (accoglie il ricorso e dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Hermes s.r.l. con citazione notificata il 17.4.2003, conveniva davanti al Tribunale di Catanzaro la regione Calabria per sentirla condannare al pagamento della somma di €. 21.179.800,00, oltre accessori, a titolo di responsabilità precontrattuale, o, in subordine, al pagamento della somma di €. 6.507.300,00, oltre accessori, a titolo dì indebito arricchimento per l'acquisizione di elaborati contrattuali.
Assumeva l'attrice che era proprietaria di un terreno in località Sansinaro di Catanzaro, su cui aveva diritto, in forza di convenzione con il Comune, a realizzare un complesso edilizio composto da 418 alloggi; che la regione Calabria con delibera di giunta del 16.10.2001, n. 873, pubblicava sulla G.U. un avviso al fine di esperire una ricerca di mercato finalizzata all'acquisizione in locazione con eventuale opzione di acquisto, ovvero all'acquisto anche per cosa futura e/o mediante leasing di un complesso immobiliare esistente o da realizzare in Catanzaro da destinare agli uffici regionali; che l'offerta presentata da essa Hermes per la costruzione di un complesso immobiliare con tali caratteristiche veniva giudicata come la più idonea da apposita commissione; che, con delibera del 4 novembre 2002, la Giunta regionale approvava la stipulazione di un contratto di compravendita del complesso immobiliare da costruire, in base ad allegato schema contrattuale, al quale l'attrice dichiarava di aderire; che con delibera del 17.12.2002, n. 1238, la giunta regionale ritirava la precedente deliberazione e con delibera del 27.12.2002, n. 1239, manifestava la propria intenzione di procedere all'acquisto dell'area ed - in mancanza all'espropriazione, realizzando successivamente il complesso immobiliare con la procedura di finanza di progetto di cui all'art. 37 bis l. n. 109/1994; che essa attrice, riservandosi ogni azione per i danni subiti dalle determinazioni regionali, cedeva l'area con atto notarile, in vista della possibilità di esperire una procedura di finanza di progetto nel termine del 28.2.2003; che, essendo inutilmente scaduto tale termine, si vedeva costretta ad adire il tribunale per il risarcimento del danno da responsabilità contrattuale provocato della regione, ex art. 1337 c.c., per avere quest'ultima ingiustificatamente rifiutato di stipulare il contratto di vendita di cosa futura, pur avendo ingenerato in essa attrice un affidamento che l'aveva indotta a sopportare ingenti spese di progettazione ed a rinunziare alla realizzazione del complesso edilizio residenziale, ed in via gradata per il danno da indebito arricchimento per aver la regione utilizzato gli elaborati progettuali e di studio da essa attrice predisposti.
Si costituiva la Regione Calabria, che resisteva alla domanda, eccependo, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione.
Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza n. 46/2005, dichiarava il difetto di giurisdizione dell'AGO in favore del giudice amministrativo.
Su appello della s. r. 1. Hermes, la corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 46 del 13.2.2006, rigettava l'appello.
Riteneva la corte di merito che, nonostante il contrario assunto dell'appellante, la sua domanda risarcitoria si riconnetteva all'emanazione di atti amministrativi (delibere del 17 e del 27.12.2002), con cui veniva ritirata in autotutela per vizi di legittimità (violazione di normativa comunitaria e di contabilità pubblica) la delibera del novembre 2002 ed erano disposti l'acquisizione dell'area ed il project financing; che nella fattispecie la regione aveva dato corso ad una "procedura di affidamento di lavori, servizi o forniture"; che la regione era tenuta nella scelta del contraente all'applicazione della normativa comunitaria o al rispetto del procedimento di evidenza pubblica; che la regione aveva indetto una pubblica gara finalizzata all'acquisto di immobili da destinare ad uffici regionali; che le offerte erano state valutate da una commissione; che nella specie era, quindi, applicabile l'art. 6 della l. n. 205/2000, che conferisce al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva nelle ipotesi di affidamento di lavori; che nella fattispecie, trattandosi di esecuzione di opera rispondente ad esigenze della P.A. aggiudicatrìce, doveva ritenersi che trattavasi di appalto pubblico di lavoro; che nella fattispecie il contratto allegato alla delibera n. 119 del 4.11.2002 aveva solo il nomen iuris di vendita di cosa futura, trattandosi invece di appalto di opera pubblica, poiché era previsto un acconto in corso d'opera, un termine di ultimazione dei lavori e che gli impianti tecnici fossero eseguiti a regola d'arte.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Hermes s.r.l.
Resiste con controricorso la regione Calabria.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo e delle norme di cui agli artt. 2043 e 1337 c.c., in relazione all'art. 360 n. 1 e 3 c.p.c.
Assume la ricorrente che nel caso di specie non viene in contestazione la legittimità di atti amministrativi, ma soltanto che, avendo la regione agito iure privatorum, a seguito di un avviso di ricerca di mercato, abbia poi omesso di dar corso alla stipulazione del contratto di compravendita di cosa futura, nonostante l'affidamento ingenerato in ordine alla conclusione di tale contratto, con violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nell'ambito delle trattative contrattuali, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, in difetto di ipotesi di affidamento dei lavori, rientrante nell'art. 6 della l. n. 205/2000.
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 1, legge n. 205/2000 e dell'art. 11 della direttiva 93/37 CEE, in relazione all'art. 360 n. 1 e 3 c.p.c, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.
Ritiene la ricorrente che erroneamente nella fattispecie la sentenza impugnata ha ritenuto che si vertesse in ipotesi di affidamento di un appalto pubblico di lavori, le cui controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, poiché la regione non ha predisposto alcun bando di gara, secondo i requisiti e modalità di cui all'art. 11 direttiva 93/37 CEE, ma solo un "avviso in funzione dì ricerca di mercato per una locazione con successiva opzione dì riscatto ovvero per un acquisto di cose future o per una locazione finanziaria"; che l'avviso non era impegnativo per l'Ente, come espressamente indicato; che sono irrilevanti gli elementi valorizzati dalla sentenza, secondo cui vi era un'apposta commissione di valutazione delle offerte (in quanto tutta la procedura aveva carattere atipico ed informale) e vi furono successivi atti deliberativi della regione (rientrando gli stessi tra gli atti interni di formazione della volontà contrattuale).
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 6 l. n. 205/2 000, degli artt. 1362/1363 e 1472 c.c., dell'art. 2, c. 1, l. 104/1994 e dell'art. 1 c. 1, lett. a) direttiva 93/37 CEE, in relazione all'art. 360 n. 1 e 3 c.p.c, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.
Assume la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie il contratto che le parti volevano stipulare era un contratto di appalto, mentre in effetti si trattava di contratto di vendita di cosa futura, tenuto conto che le aree su cui doveva essere realizzata l'opera erano di proprietà della Hermes; che era assente l'elemento del facere, caratterizzante il contratto di appalto, mentre nella fattispecie la prestazione consisteva in un dare (la cosa futura e l'area su cui insisteva).
Secondo la ricorrente la corte di merito avrebbe erroneamente attribuito rilevanza ad elementi non incompatibili con il contratto di vendita di cosa futura, e cioè alla previsione di un acconto, del termine di ultimazione dei lavori e dell'obbligo che gli impianti fossero eseguiti a regola d'arte.
Assume la ricorrente che dal contratto, e segnatamente dagli artt. 2, 3 e 4, emerge con chiarezza che si trattava di contratto di acquisto di cosa futura, con conseguente esclusione dell' applicabilità dell'art. 6 l. n. 205/2000, e della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
4.1. I tre motivi di ricorso, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.
Con la domanda principale 1'attrice ha richiesto la condanna della regione al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale a norma dell'art. 1337 c.c.
Con la domanda subordinata l'attrice ha richiesto la condanna della convenuta all'indennizzo per arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c..
Il giudice di primo grado ha affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il giudice di secondo grado ha rigettato l'appello, pronunziandosi esclusivamente sulla giurisdizione in merito alla domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale. Nessuna pronunzia la corte territoriale ha emesso in merito all'affermata giurisdizione amministrativa per l'azione di arricchimento senza causa ed il punto non è stato oggetto di ricorso per cassazione.
4.2. L'affermazione della giurisdizione è stata fondata dal giudice di appello su tre rilievi: a) la pretesa risarcitoria si riconnetteva all'emanazione di atti amministrativi, cioè alle delibere n. 1238 e 1239 del 2002, di ritiro della precedente deliberazione di approvazione dello schema contrattuale di vendita di cosa futura; b) nella fattispecie era applicabile l'art. 6, c. 1, della l. n. 205/2000, trattandosi di affidamento di lavori; c) il contratto, relativamente al quale era ipotizzata la responsabilità precontrattuale, costituiva un contratto di appalto e non di vendita di cosa futura.
Va, anzitutto, premesso che con la delibera n. 873/2001 relativa alla ricerca di mercato per l'acquisizione (sia pure attraverso varie formule) di un complesso edilizio e con quella del 4.11.2002, n. 1010, dì approvazione della stipulazione del contratto di compravendita secondo lo schema contrattuale allegato, l'amministrazione effettuava la scelta di operare iure privatorum, secondo valutazioni di sua competenza che si inquadravano nei poteri conferitile dall'art. 1 della legge n. 241/1990. Avendo ad oggetto tali delibere la ricerca e poi l'acquisizione di un complesso edilizio sul libero mercato si è fuori dalla fattispecie di cui all'art. 33 del d. lgs n. 80/1998, come modificato dall'art. 7 della l. n. 205/2000.
Quanto al primo punto, su cui si basa la statuizione della sentenza impugnata, va osservato, ai fini della giurisdizione, che la controversia non investe la legittimità di atti amministrativi posti in essere dalla regione: la ricorrente infatti non lamenta che alcuna delle delibere indicate sia illegittima ovvero che non sia stata data esecuzione a quelle delibere. Le deliberazioni sono riportate come momento formativo della volontà dell'ente, la quale, per effetto di tali delibere, prima si era formata nel senso di addivenire alla stipulazione di un contratto di acquisto di cosa futura e successivamente nel senso contrario per l'acquisto (o espropriazione) della sola area e per la successiva realizzazione dell'opera con la procedura della finanza di progetto.
La ricorrente appunto lamenta che in un primo momento l'ente aveva trattato per un contratto di acquisto di cosa futura ed in questo senso aveva creato un affidamento nella conclusione di tale contratto e che in un momento successivo aveva interrotto la fase di conclusione, a suo parere ingiustificatamente.
La domanda, quindi, si fonda, come previsto dal paradigma normativo di cui all'art. 1337 c.c., sul comportamento tenuto nei confronti di essa attrice dalla contraente regione nella fase formativa del contratto, per quanto in esecuzione di dette delibere.
4.3. Osserva questa Corte che il punto relativo al "se ed in quali termini tali delibere potessero legittimamente realizzare l'affidamento assunto dell'attrice e giustificare il comportamento della regione di interruzione della contrattazione" è questione che può attenere al merito della controversia sulla pretesa responsabilità precontrattuale, ma non alla giurisdizione.
La domanda risarcitoria proposta dall'attuale appellante prescinde dalla demolizione giuridica di determinazioni amministrative, in quanto ciò che si controverte attiene al danno (asseritamente) subito dalla Società attrice in base ad un contegno posto dall'Amministrazione in violazione delle regole che tutelano il legittimo affidamento delle parti in una trattativa precontrattuale.
5.1. Si pone quindi la questione della responsabilità precontrattuale della P.A..
La giurisprudenza solo con la sentenza n. 1675/1961 delle SS. UU. della Cassazione riconobbe la configurabilità della responsabilità precontrattuale in capo alla Pubblica amministrazione, affermando che compito del giudice di merito non è quello di valutare se il soggetto amministrativo sia stato un corretto amministratore, bensì se sia stato un corretto contraente. Il limite fondamentale di questa prima - pur importante - pronuncia fu quello di ritenere sussistente la culpa in contrahendo della Pubblica amministrazione in caso di recesso senza giustificato motivo da una trattativa privata (c.d. pura), cioè solo nei casi in cui la Pubblica amministrazione si spoglia dei propri poteri pubblicistici ed opera come un qualunque altro soggetto (con la conseguenza che nelle ipotesi successivamente sempre più ricorrenti - a seguito delle impostazioni di matrice comunitaria - dì trattativa privata preceduta da gara informale non potevano applicarsi i prìncipi civilistici della culpa in contrahendo).
Per le procedure di gara (aperte o ristrette), invece, la giurisprudenza continuava ad operare un distinguo: in particolare, se l'illecito era avvenuto prima o dopo l'aggiudicazione. La giurisprudenza riteneva, infatti, che la responsabilità poteva essere affermata solo dopo l'aggiudicazione di una gara.
Questa Corte, nel negare la qualità di contraente al mero partecipante alla gara, anteriormente all'aggiudicazione (donde l'affermazione della normale non applicabilità, in tale fase, della responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione ai sensi dell'articolo 1337 c.c.) ha tuttavia ammesso che, una volta intervenuta l'aggiudicazione, l'aggiudicatario dovesse ormai ritenersi parte a tutti gli effetti (Cass., SS.UU. civ., 26 maggio 1997 n. 4673).
Già prima delle innovazioni del 1998-2000 la giurisprudenza era, dunque, approdata alla conclusione della possibilità dell'applicazione delle regole in tema di responsabilità precontrattuale alla Pubblica amministrazione committente, ancorché solo dopo l'aggiudicazione, nella fase intercorrente tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto.
Il dibattito sull'ammissibilità della responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione nell'ambito dell'attività negoziale si è arricchito a seguito delle note riforme del 1998-2000. Un'ulteriore spinta innovativa è derivata dalla nota pronuncia n. 500/1999 di queste Sezioni Unite sulla risarcibìlità del danno da lesione di interessi legittimi.
5.2. Si ammette oggi pacificamente la configurabilità di una responsabilità precontrattuale a carico anche della P.A., poiché anche a suo carico grava l'obbligo giuridico sancito dall'art. 1337 cod. civ. di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative, perchè con l'instaurarsi delle medesime sorge tra le parti un rapporto di affidamento che l'ordinamento ritiene meritevole di tutela.
Pertanto, se durante tale fase formativa del negozio una parte viola il dovere di lealtà e correttezza ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l'affidamento della controparte (anche colposamente, in quanto non occorre un particolare comportamento oggettivo di malafede, né la prova dell'intenzione di arrecare pregiudizio all'altro contraente) in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale. Invero - pur trascurando in questa primo approccio, 1'indagine circa la possibilità di qualificare il rapporto de quo in termini di appalto pubblico di lavori, servizi o forniture - è assorbente il rilievo che la pretesa risarcitoria va posta nel quadro dell'art. 2043 c.c. (al quale il precetto dell'art. 1337 c.c.. sì collega).
La giurisdizione, quindi, ove si dovesse riscontrare che manchi una norma attributiva al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva nella materia in esame, è devoluta alla cognizione del giudice ordinario senza che assuma rilievo la qualificazione della situazione giuridica dedotta in giudizio come diritto soggettivo o interesse legittimo, in forza dei principi affermati da queste S.U. con sentenza 22 luglio 1999, n. 500 (Cass. S.U. 19.11.2002, n. 16319; Cass. S.U. 22.6.2003; Cass. 16.7.2001, n. 9645).
6.1. Nella fattispecie la domanda è successiva alla data di entrata in vigore dell'art. 6, c. 1, l. n. 205/2000 (articolo successivamente abrogato dall'art. 256 n. 163/2006, ma riprodotto in forma pressoché analoga, nell'art. 244 d. lgs n. 163/2 006 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).
Tale norma statuisce che: "Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale".
Ne consegue che, per effetto dì tale norma, è stata configurata una giurisdizione esclusiva in favore del giudice amministrativo anche per l'azione di risarcimento per responsabilità precontrattuale nelle procedure di affidamento di contratti di appalto di lavori, servizi o forniture, da parte di soggetti tenuti nella scelta del contraente all'applicazione della normativa comunitaria o al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica (cfr. Cass. S.U. n. 16319/2002; Cass. S. U. 18/10/2005, n. 20116; Cons. Stato sez. V, n. 7194/2006).
6.2. Tale giurisdizione esclusiva per l'azione di responsabilità precontrattuale non è invece ravvisabile in tema di contratto di compravendita di immobile, in mancanza di una norma specifica. Nessuna delle direttive comunitarie vigenti al momento dei fatti posti a base della domanda (92/50 in materia di appalti di servizi, 93/36 in materia di appalti di forniture, 93/37 in materia di appalti dì lavori), assoggettava alla propria disciplina la compravendita di edifici esistenti.
Sulla stessa linea si è mossa la normativa nazionale di recepimento. Si consideri, ad esempio, che l'art. 5, lett. a), d.lgs. n. 157 del 1995 esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione i contratti aventi ad oggetto 1r acquisizione o la locazione, indipendentemente dalle modalità finanziarie, di terreni o edifici esistenti.
7.1. Il problema che si pone è quindi quello di individuare se nella fattispecie il. contratto in fieri tra le parti, di cui si lamenta l'interruzione delle trattative, costituisca un contratto di compravendita di cosa futura (nel qual caso sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario) o un contratto di appalto di lavori pubblici (nel qual caso sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del G.A.).
Nel nostro ordinamento non vige il sistema del nec ultra vires (che caratterizza invece l'attività delle persone giuridiche di diritto pubblico nel sistema anglosassone) e, pertanto, sia le persone giuridiche pubbliche che private hanno la medesima capacità giuridica, per cui la p.a. può porre in essere contratti di diritto privato in assenza di specifici divieti.
A tal fine va osservato che l'acquisto di cosa futura è un istituto che non solo opera in deroga alla normativa generale in materia di appalti pubblici, ma, addirittura, si pone in alternativa all'appalto di opera pubblica, che resta il sistema ordinario per l'acquisizione di opere di pertinenza pubblica.
Sicché, l'esperibilità della vendita di cosa futura da parte della pubblica amministrazione, pur essendo ammissibile in astratto, in concreto è condizionata dalla ricorrenza di situazioni eccezionalissime e dalla necessità - dettata dalla finalità di evitare intenti elusivi del principio tendenziale e generale del procedimento d'appalto - che l'amministrazione valuti preventivamente la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie di realizzazione delle opere pubbliche (Cons. Stato 1.3.2005, n. 816).
Infatti il Cons. Stato, (Ad. Gen.), 17/02/2000, n. 2, ha ritenuto che l'istituto della compravendita di cosa futura non è stato espunto dall'ordinamento con il sopravvenire della più recente legislazione sui lavori pubblici, salvo verificare se, in concreto, l'amministrazione abbia stipulato un contratto di vendita o di appalto. E' quindi ammissibile il ricorso alla compravendita di cosa futura, ma solo nei ristrettissimi limiti in cui l'opera da acquisire costituisca, secondo un ampiamente motivato e documentato apprezzamento dell'amministrazione, un bene infungibile, con riguardo alle sue caratteristiche strutturali e topografiche, ovvero un "unicum" non acquisibile in altri modi, ovvero a prezzi, condizioni e tempi inaccettabili per il più solerte perseguimento dell'interesse pubblico. Ne consegue la necessità che l'amministrazione valuti preventivamente la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie di realizzazione delle opere pubbliche, e ove ne verifichi la non praticabilità in relazione a specialissime, motivate e documentate esigenze di celerità, funzionalità ed economicità, potrà scegliere di acquisire l'immobile secondo il meccanismo della compravendita.
7.2. Occorre, quindi, esaminare se nella fattispecie il contratto in fieri avesse ad oggetto un appalto o una vendita dì cosa futura.
A tal fine va ribadito che di nessun rilievo è, ai fini della giurisdizione, accertare se sussistevano le condizioni per la Regione per poter utilizzare il contratto di compravendita di cosa futura, per poter procedere in autotutela a "ritirare" la delibera che aveva dato inizio ai contatti, e se la controparte avesse conoscenza di eventuali illegittimità procedimentali e quale rilievo ciò avesse nella fattispecie.
In questa sede relativa all'accertamento della pretesa violazione dei principi sulla giurisdizione, occorre solo acclarare se il contratto in corso di formazione in questione integrasse un contratto di appalto di lavori o di compravendita di cosa futura, poiché solo questo determina l'applicabilità o meno della giurisdizione esclusiva del GA, anche per la responsabilità precontrattuale.
7.3. Comunemente si sostiene che la vendita ha per oggetto un dare, mentre l'appalto ha per oggetto un facere. La prima è diretta ad un trasferimento, mentre il secondo è inteso in primis alla produzione di un opus, mediante un'attività elaboratrice. L'uno presuppone l'esistenza attuale della cosa; l'altro l'inesistenza ed è posto in essere per produrla.
Il problema si complica allorché si tratta di vendita di cosa futura (art. 1472 c.c..) e cioè di bene non ancora esistente, segnatamente allorché si tratti un prodotto d'opera non ancora realizzato e per l'esistenza del quale occorre l'attività strumentale positiva dell'alienante.
Anche in relazione a questo tipo di vendita si ritiene dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza che si versi in ipotesi di contratto ab inizio perfetto, ricorrendo in esso tutti gli elementi essenziali del contratto, ma ad effetti obbligatori, poiché il momento traslativo sussisterà solo allorché la cosa sia venuta ad esistenza: l'esigenza di tutelare il compratore contro il rischio del perimento dell'opera che si trovi ancora nella sfera di controllo dell'alienante induce a ritenere che l'opera debba ritenersi esistente solo al momento del suo completamento (Cass. 18.5.2001 n. 6851; Cass. n. 8118/1991; Cass. n. 3854/1989).
7.4. I criteri di distinzione proposti sono sostanzialmente due.
Un primo criterio di distinzione, che può definirsi obbiettivo, propone di distinguere l'appalto dalla compravendita di cosa futura in base alla prevalenza quantitativa dell'elemento lavoro sull'elemento materia (il principio è applicato soprattutto in materia tributaria, essendo il criterio seguito dal d.p.r. n. 633/1972, Cass. sez. V, n. 9320/2006).
Si è validamente obbiettato, allorché tale criterio è stato trasferito fuori dall'area tributaria, che non è la prevalenza quantitativa del lavoro sulla materia che ha valore decisivo, ma il modo come il lavoro è considerato dalle parti.
Il secondo criterio di distinzione tra i due contratti è quello subiettivo, alla stregua del quale dovrà vedersi in che modo le parti hanno considerato l'opera, se cioè in sé stessa o in quanto prodotto necessario di un'attività e quindi se la volontà delle parti aveva ad oggetto un dare o un facere.
Il criterio subiettivo è quello più seguito dalla giurisprudenza (Cass. 20.10.1997 n. 10256; Cass. 19.11.2002, n. 16319; Cass. 2.8.2002, n. 11602). Per volontà delle parti deve intendersi non l'intenzione soggettiva, cioè l'opinione che esse abbiano avuto della natura del rapporto, ma l'intento empirico tipico in cui si inquadra la volontà che le muove. E' stato già rilevato che il privato non è padrone delle conseguenze giuridiche dei negozi che compie, le quali si producono vi legis e non vi voluntatis.
La cosiddetta libertà contrattuale dei privati comincia e termina con la creazione dell'elemento di fatto del negozio e cioè con la manifestazione di un determinato intento empirico. L'effetto giuridico è indipendente dalla rappresentazione che se ne faccia l'agente, il quale nessuna diretta influenza potrà esercitare su di esso. Quando perciò si propone di far richiamo alla volontà delle parti per qualificare il negozio, per volontà delle parti si deve intendere il dato dell'intento empirico che le parti hanno dimostrato di voler conseguire: se tale intento empirico coincide con quello della vendita, nel senso che il conseguimento della cosa costituisce la vera ed unica finalità del negozio ed il lavoro sia solo il mezzo per produrla, si ha vendita di cosa futura; se coincide con quello proprio dell'appalto, nel senso che l'attività realizzatrice della cosa sia la vera finalità del negozio, si ha appalto.
7.5. In giurisprudenza è stato più volte deciso che il contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un'area edificabile in cambio di un fabbricato o di alcune sue parti da costruire sulla stessa, superficie a cura e con i mezzi del cessionario, può integrare sia un contratto di permuta di un bene esistente con un bene futuro, sia un contratto misto, costituito con gli elementi della vendita e dell'appalto. Si configura il primo contratto se il sinallagma negoziale sia consistito nel trasferimento reciproco della proprietà attuale con la cosa futura (ipotesi la quale si verifica anche se si sia previsto il pagamento di un conguaglio in denaro, non incidendo tale clausola sulla causa tipica del negozio di permuta) e l'obbligo di erigere l'edificio sia restato su un piano accessorio e strumentale, mentre si ravvisa l'altro contratto, qualora la costruzione del fabbricato sia stata al centro della volontà delle parti e l'alienazione dell'area abbia costituito soltanto il mezzo per conseguire l'obiettivo primario (Cass. 09/11/2005, n. 21773; Cass. 12/04/2001, n. 5494; Cass. 24/01/1992, n. 811; Cass. n. 13 del 1990, Cass. n. 5147 del 1987).
7.6. Ritengono queste S.U. di dover aderire a tale orientamento consolidato, anche in tema di differenza tra vendita di cosa futura ed appalto.
Pertanto il contratto avente ad oggetto la cessione di un fabbricato non ancora realizzato, con previsione dell'obbligo del cedente - che sia proprietario anche del terreno su cui l'erigendo fabbricato insisterà - di eseguire i lavori necessari al fine di completare il bene e di renderlo idoneo al godimento, può integrare alternativamente tanto gli estremi della vendita di una cosa futura (verificandosi allora l'effetto traslativo nel momento in cui il bene viene ad esistenza nella sua completezza), quanto quelli del negozio misto, caratterizzato da elementi propri della vendita di cosa presente (il suolo, con conseguente effetto traslativo immediato dello stesso) e dell'appalto: e ciò a seconda che nel sinallagma contrattuale, assuma un rilievo centrale il conseguimento della proprietà dell'immobile completato ovvero tale ruolo centrale sia costituito dal trasferimento della proprietà attuale (del suolo) e dall'attività realizzatrice dell'opera da parte del cedente.
Si avrà quindi vendita di cosa futura quando l'intento delle parti abbia ad oggetto il trasferimento della cosa futura e consideri l'attività costruttiva nella mera funzione strumentale e per contro si avrà vendita con effetti reali del suolo ed appalto della costruzione, quando l'attività costruttiva, che il cedente assume a proprio rischio con la propria organizzazione, viene considerata come oggetto della prestazione di fare. In quest'ultima ipotesi si verserà in ipotesi di contratto misto (di vendita e di appalto),la cui disciplina giuridica va individuata, in base alla teoria dell'assorbimento, che privilegia la disciplina dell'elemento in concreto prevalente, in quella risultante dalle norme del contratto atipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell'assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale, elementi ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente (Cass. 24/07/2000, n. 9662; Cass. 08/02/2006, n. 2642).
7.7. Viene poi costantemente affermato che l'indagine sul reale contenuto delle volontà, espresse nella convenzione negoziale "de qua", risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è riservata al giudice del merito ed è conseguentemente incensurabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione.
Sennonché nella fattispecie il ricorso è proposto soprattutto sotto il profilo di violazione delle norme in tema di giurisdizione, ai sensi dell'art. 360 n. 1 c.p.c.
In proposito vige, quindi, il diverso principio secondo cui questa Corte, istituzionalmente giudice di legittimità, per quanto riguarda le questioni di giurisdizione è anche giudice del fatto e, come tale, ha il potere di apprezzare direttamente i "fatti", anche non processuali,, e di trarre conseguenze autonome e indipendenti, non solo dalle deduzioni delle parti, ma anche dal giudice del merito (Cass. S.U. , 22/07/2002, n. 10696, Cass. S.U. 10/08/2000, n. 560; Cass. S.U. 19 febbraio 1999, n. 79; Cass. S.U. 9 ottobre 1984, n. 5028; Cass. S.U. 19 novembre 1979, n. 6025) . I "fatti" sulla base dei quali la giurisdizione deve essere determinata sono, anzitutto, quelli allegati alla domanda (arg. ex art. 386 c.p.c.), ma è evidente che se un'attività istruttoria è stata, almeno in parte, espletata, la Corte deve tener conto delle sue risultanze e procedere alla loro valutazione.
8.1. Passando quindi ad esaminare i fatti, il punto di partenza è costituito dalla "ricerca di mercato" deliberata dalla giunta regionale con delibera del 16.10.2001, n. 873, "finalizzata all'acquisizione in locazione con opzione di acquisto ovvero all'acquisto anche per cosa futura e/o mediante locazione finanziaria esistente, in corso di realizzazione o da realizzare ubicato nella città di Catanzaro....".
Contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata nella fattispecie non si trattava di "un bando di gara per la realizzazione dell'appalto del complesso immobiliare", ma semplicemente di un avviso con funzione di consentire una ricerca di mercato al fine di acquisire un complesso immobiliare per gli uffici regionali.
Sulla scorta della più attenta giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, 29 marzo 2001, n. 1881), deve essere rimarcata la differenza fra sondaggio esplorativo e gara ufficiosa istituti entrambi utilizzabili nella trattativa privata: il primo tende solo ad acquisire una conoscenza dell'assetto del mercato e dunque dell'esistenza di imprese potenziali contraenti e del tipo di condizioni contrattuali che sono disposte a praticare; il secondo, oltre ad essere strumento di conoscenza implica una valutazione comparativa delle offerte, valutazione che è insita nel concetto stesso di gara e che pone l'obbligo per l'amministrazione di rispettare le prescrizioni assunte in sede di autovincolo, in ossequio ai canoni di trasparenza, buon andamento ed imparzialità. Ma, al di fuori del rispetto di tale autovincolo, la gara informale non snatura le linee fondamentali ed i caratteri tipici della trattativa privata, trasformandosi in una procedura meccanica di gara formale ad evidenza pubblica.
Già dal modo di "porsi sul mercato" con tale "ricerca di mercato" emerge che la regione mirava ad acquisire il godimento di un immobile {come diritto personale o come contenuto del diritto di proprietà) tramite preventiva locazione, anche finanziaria, con diritto di riscatto ovvero con acquisto di cosa futura, e non l'attività realizzatrice di un appaltatore.
8.2. Infondato è l'assunto della sentenza impugnata, secondo cui con lo schema della vendita di cosa futura sarebbe incompatibile la previsione di acconti.
Incompatibile con la vendita di cosa futura non è l'acconto di per sé, quanto la previsione di acconti in corso d'opera in relazione a stati di avanzamento dei lavori, propri, invece dell'appalto.
Mentre nell'appalto l'acconto si giustifica in virtù del SAL e dunque di una parziale esecuzione dell'oggetto del contratto, nella vendita di cosa futura l'adempimento dell'alienante si configura solo con il completamento del bene, per cui antecedentemente non è previsto un pagamento per un "parziale" adempimento.
Sennonché nello schema di contratto allegato alla delibera n. 119/2002 il pagamento di 14 milioni di euro è previsto non come "acconto d'opera", ma come anticipazione di pagamento di parte del prezzo finale.
8.3. Egualmente infondato è l'assunto della sentenza impugnata, secondo cui la previsione di un termine di ultimazione dei lavori sarebbe tipica dell'appalto e normalmente estranea all'ipotizzato contratto di vendita.
Infatti, allorché la vendita di cosa futura preveda che la cosa venga ad esistenza attraverso il comportamento dell'alienante e che, quindi, sia pure quale elemento accessorio, sia prevista un'attività di questi, è perfettamente conciliabile con tale schema contrattuale la fissazione di un termine entro cui detta cosa futura debba venire ad esistenza.
8.4. Neppure è elemento, che milita necessariamente per la qualificazione dello schema contrattuale come appalto, l'obbligo assunto dall'attrice di realizzare gli impianti a perfetta regola d'arte, in quanto anche nella vendita di cosa futura devono essere preventivamente individuate le caratteristiche tecniche dell'opera da realizzare, analogamente quanto alla costituzione di una commissione di esperti per verificare la "regolare esecuzione del contratto", in quanto l'intervento di detta commissione, non è stato previsto come controllo in corso d'opera, quale quello che effettua il direttore dei lavori della stazione appaltante o l'ingegnere capo, ma dopo la realizzazione e consegna dell'opera. Non potendo tale commissione incidere nel momento del facere, il ruolo ad essa spettante è solo quello di verifica dell'opera compiuta, che è perfettamente conciliabile con la vendita di cosa futura. Inoltre nella fattispecie si tratta di commissione paritetica, composta da rappresentati di entrambi le parti, mentre tali non sono i controlli svolti in corso di contratto di appalto. Ritenuti, quindi, insussistenti gli elementi posti dalla sentenza impugnata a base della qualificazione del contratto in questione quale contratto di appalto, vanno ora esaminati, quali sono gli elementi che fanno qualificare detto contratto come contratto di vendita di cosa futura.
8.5. E' vero che il namen iuris dato dalle parti allo schema contrattuale in questione di per sé non è rilevante e neppure lo è l'art. 4 nella parte in cui dichiara che " le parti convengono espressamente che il presente contratto si configura come acquisto di cosa futura, anche agli effetti dell'art. 1472 c.c.", per le ragioni già dette, secondo cui ciò che conta non è l'intenzione soggettiva delle parti sulle conseguenze giuridiche delle volontà espresse, ma l'intento empirico di tale manifestazioni di volontà.
In questo senso sono quindi rilevanti l'art. 2, in cui la Hermes dichiara di trasferire la piena proprietà del complesso immobiliare da realizzare in Catanzaro e la Regione Calabria dichiara di acquistare tale bene; l'art. 3, in cui le parti dichiarano che oggetto del trasferimento sono l'appezzamento del terreno,. i manufatti e le opere da realizzare; l'art. 4, nella parte in cui le parti specificano che la proprietà dei beni sarà trasferita alla regione solo nel momento in cui il complesso viene ad esistenza.
8.6. Quanto all'interpretazione delle clausole contrattuali va, anzitutto, rilevato che l'art. 1362 c.c., allorché nel primo comma prescrive all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, rilevi con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi è divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile; soltanto quando le espressioni letterali del contratto non sono chiare, precise ed univoche, è consentito al giudice ricorrere agli altri elementi interpretativi indicati dagli artt. 1362 e s. ce, che hanno carattere sussidiario {Cass. 22/02/2007, n. 4176; Cass. 1.4.1993, n. 3936).
Pertanto, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento dell'operazione interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto e, qualora queste siano chiare e dimostrino un'intima ratio, il giudice non può ricercarne una diversa, venendo così a sovrapporre la propria soggettiva opinione all'effettiva volontà dei contraenti {Cass. 22/12/2005, n. 28479; 03/12/2004, n. 22781; Cass. 22.4.1995,n. 4563).
8.7. Nella fattispecie, come risulta sia dall'avviso di ricerca di mercato che dallo schema del contratto, l'interesse dell'amministrazione non era tanto quello di ottenere il suolo per una successiva trasformazione del medesimo, quanto l'acquisizione di un edificio già realizzato rispetto al quale sia l'acquisto del suolo che il lavoro del costruttore appaiono come elementi indispensabili, ma comunque accessori, rispetto all'oggetto effettivo del contratto..
Peraltro, come si è visto, a fronte della ritenuta natura del contratto come compravendita di cosa futura, non avrebbe mai potuto sussistere solo un contratto di appalto, in quanto il terreno era della stessa Hermes (ipotetica appaltatrice) ed il contratto in questione sarebbe stato un contratto di appalto di opera pubblica su terreno di proprietà dello stesso appaltatore, ma un contratto misto di vendita con effetti reali di bene esistente (il terreno) e di contestuale appalto per la realizzazione dell'edificio.
Sennonché, come detto, dall'art. 2 del contratto emerge che l'intento delle parti non era quello di trasferire la sola proprietà del terreno ma anche quella dell'intero complesso da realizzare e che lo stesso trasferimento della proprietà del terreno sarebbe avvenuto in una alla proprietà del complesso immobiliare, allorché esso sarebbe stato ultimato.
8.8. In merito al passaggio di proprietà dell'opera nell'appalto di costruzione di immobili, la dottrina, che se ne è occupata, ritiene condivisibilmente che, se il suolo è di proprietà del committente, l'opera nasce di sua proprietà per accessione; se invece il terreno è dell'appaltatore (o perché già suo o perché l'abbia acquistato ai fini dell'esecuzione del contratto di appalto, rivestendo in questo acquisto la qualità di mandatario del soggetto committente l'appalto) e non sia stato trasferito al committente, l'appaltatore che ha fornito anche i materiali ed il lavoro, è acquirente originario della proprietà dell'opera, che passa nella proprietà del committente solo con l'accettazione dell'opera, che deve essere data per iscritto, trattandosi di immobili.
Nella fattispecie - invece - il trasferimento della proprietà era previsto nel contratto per effetto della sola venuta ad esistenza ed ultimazione del complesso e non per effetto dell'accettazione, il che è conforme alla disciplina della vendita di cosa futura.
9.1. Ne consegue che, non versandosi in ipotesi di procedura di affidamento di appalto di lavori, ma di trattative relative ad un contratto di compravendita di cosa futura, per la proposta azione di responsabilità precontrattuale nei confronti della regione convenuta, non sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (per le controversie relative alle procedure di affidamento di lavori da parte delle P.A., ai sensi dell'art. 6 l. 21.7.2000, n. 205), ma la giurisdizione del giudice ordinario.
Infatti, esclusa 1'applicabilità di tale ultima norma, la giurisdizione va affermata sulla base dei criteri di riparto ancorati alla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, e perciò in funzione della natura giuridica delle situazioni soggettive dedotte in giudizio. Tale natura attiene ad una pretesa il cui soddisfacimento non postula la demolizione di alcun atto amministrativo, giacché allega un illecito extracontrattuale a carico della P.A. e non contesta la procedura relativa alla individuazione del contraente (Cass. S.U. n. 9645 del 2001, e 10160 del 2003; Cass. S.U. 03/07/2006, n. 15199; Cass. S.U. 6/02/2006, n. 2450).
9.2. Va pertanto accolto il ricorso; va cassata l'impugnata sentenza e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, con conseguente rinvio al tribunale di Catanzaro, in diversa composizione, quale giudice di primo grado, ai sensi degli articoli 383, terzo comma, e 353, primo comma, cod. proc. civ., anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa l'impugnata sentenza; dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e rinvia la causa al Tribunale di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, lì 22 aprile 2008.
Il cons. est. Il Presidente
Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2008.

martedì 27 maggio 2008

CORTE DI GIUSTIZIA CE (Quarta Sezione) - sentenza 15 maggio 2008, (procedimenti C –147/06 e 148/06)

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
15 maggio 2008


Nei procedimenti riuniti C 147/06 e C 148/06,
aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 CE, proposte dal Consiglio di Stato con decisioni 25 ottobre 2005, pervenute in cancelleria il 20 marzo 2006, nelle cause
SECAP SpA (C 147/06),
contro
Comune di Torino,
e nei confronti di:
Tecnoimprese Srl,
Gambarana Impianti Snc,
ICA Srl,
Cosmat Srl,
Consorzio Ravennate,
ARCAS SpA,
Regione Piemonte,
e
Santorso Soc. coop. arl (C 148/06)
contro
Comune di Torino,
e nei confronti di:
Bresciani Bruno Srl,
Azienda Agricola Tekno Green Srl,
Borio Giacomo Srl,
Costrade Srl,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. G. Arestis, presidente dell’Ottava Sezione, facente funzione di presidente della Quarta Sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász (relatore), J. Malenovský e T. von Danwitz, giudici,
avvocato generale: sig. D. Ruiz Jarabo Colomer
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 25 ottobre 2007,
considerate le osservazioni presentate:
– per la SECAP SpA, dall’avv. F. Videtta;
– per la Santorso Soc. coop. arl, dagli avv.ti B. Amadio, L. Fumarola e S. Bonatti;
– per il Comune di Torino, dagli avv.ti M. Caldo, A. Arnone e M. Colarizi;
– per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dai sigg. D. Del Gaizo e F. Arena, avvocati dello Stato;
– per il governo tedesco, dal sig. M. Lumma, in qualità di agente;
– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e J. C. Gracia, in qualità di agenti;
– per il governo lituano, dal sig. D. Kriaučiūnas, in qualità di agente;
– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H. G. Sevenster e dal sig. P. van Ginneken, in qualità di agenti;
– per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente;
– per il governo slovacco, dal sig. R. Procházka, in qualità di agente;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. X. Lewis e dalla sig.ra D. Recchia, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 novembre 2007,
ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’art. 30, n. 4, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE (GU L 328, pag. 1) (in prosieguo: la «direttiva 93/37»), e dei principi fondamentali del diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici.

2 Tali domande sono state presentate nell’ambito delle controversie che oppongono la SECAP SpA (in prosieguo: la «SECAP») e la Santorso Soc. coop. arl (in prosieguo: la «Santorso») al Comune di Torino in merito alla compatibilità con il diritto comunitario di una disposizione della normativa italiana che prevede, per quanto attiene agli appalti pubblici di lavori di valore inferiore alla soglia prevista dalla direttiva 93/37, l’esclusione automatica delle offerte considerate anormalmente basse.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3 Ai sensi del suo art. 6, n. 1, lett. a), la direttiva 93/37 si applica «(...) agli appalti pubblici di lavori il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sia pari o superiore al controvalore in [euro] di 5 000 000 di DSP».

4 Ai sensi dell’art. 30 della direttiva 93/37, che figura al titolo IV di quest’ultima, intitolato «Norme comuni di partecipazione», il cui capitolo 3 riguarda i criteri di aggiudicazione dell’appalto:
«1. I criteri sui quali l’amministrazione aggiudicatrice si fonda per l’aggiudicazione dell’appalto sono:
a) o unicamente il prezzo più basso;
b) o, quando l’aggiudicazione si fa a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, diversi criteri variabili secondo l’appalto: ad esempio il prezzo, il termine di esecuzione, il costo di utilizzazione, la redditività, il valore tecnico.
(…)
4. Se, per un determinato appalto, delle offerte appaiono anormalmente basse rispetto alla prestazione, l’amministrazione aggiudicatrice prima di poterle rifiutare richiede, per iscritto, le precisazioni che ritiene utili in merito alla composizione dell’offerta e verifica detta composizione tenendo conto delle giustificazioni fornite.
L’amministrazione aggiudicatrice può prendere in considerazione giustificazioni riguardanti l’economia del procedimento di costruzione o le soluzioni tecniche adottate o le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l’offerente per eseguire i lavori o l’originalità del progetto dell’offerente.
Se i documenti relativi all’appalto prevedono l’attribuzione al prezzo più basso, l’amministrazione aggiudicatrice deve comunicare alla Commissione il rifiuto delle offerte giudicate troppo basse.
(…)».

5 Il contenuto dell’art. 30, n. 4, della direttiva 93/37 è ripreso in maniera più articolata all’art. 55, intitolato «Offerte anormalmente basse», della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114). Conformemente al suo primo ‘considerando’, la direttiva 2004/18 riunisce in un solo testo le direttive applicabili alle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, di forniture, nonché di servizi e, in ottemperanza al suo art. 80, n. 1, doveva essere recepita nell’ordinamento giuridico degli Stati membri entro il 31 gennaio 2006.

6 La ragione sulla quale riposa la non esclusione automatica delle offerte che appaiono anormalmente basse rispetto alla prestazione emerge dal primo comma del quarantaseiesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/18, ai sensi del quale «[l]’aggiudicazione dell’appalto deve essere effettuata applicando criteri obiettivi (...) che assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. Di conseguenza occorre ammettere soltanto l’applicazione di due criteri di aggiudicazione: quello del "prezzo più basso" e quello della "offerta economicamente più vantaggiosa"». Tali due criteri di aggiudicazione sono enunciati agli artt. 30, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 93/37 e 53, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 2004/18.

La normativa nazionale

7 La direttiva 93/37 è stata recepita nell’ordinamento giuridico italiano con legge 11 febbraio 1994, n. 109, legge quadro in materia di lavori pubblici (Supplemento ordinario alla GURI n. 41 del 19 febbraio 1994).

8 L’art. 21, comma 1 bis, della suddetta legge, nella versione applicabile alle controversie di cui alla causa principale (in prosieguo: la «legge n. 109/94»), così recita:
«Nei casi di aggiudicazione di lavori di importo pari o superiore al controvalore in euro di 5 000 000 di DSP con il criterio del prezzo più basso di cui al comma 1, l’amministrazione interessata deve valutare l’anomalia delle offerte di cui all’articolo 30 della direttiva 93/37/CEE (...), relativamente a tutte le offerte che presentino un ribasso pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del dieci per cento, arrotondato all’unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta media.
Le offerte debbono essere corredate, fin dalla loro presentazione, da giustificazioni relativamente alle voci più significative, indicate nel bando di gara o nella lettera d’invito, che concorrono a formare un importo non inferiore al 75 per cento di quello posto a base d’asta. Il bando o la lettera di invito devono precisare le modalità di presentazione delle giustificazioni, nonché indicare quelle eventualmente necessarie per l’ammissibilità delle offerte. Non sono richieste giustificazioni per quegli elementi i cui valori minimi sono rilevabili da dati ufficiali. Ove l’esame delle giustificazioni richieste prodotte non sia sufficiente ad escludere l’incongruità dell’offerta, il concorrente è chiamato ad integrare i documenti giustificativi ed all’esclusione potrà provvedersi solo all’esito della ulteriore verifica, in contraddittorio.
Relativamente ai soli appalti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria, l’amministrazione interessata procede all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentino una percentuale di ribasso pari o superiore a quanto stabilito ai sensi del primo periodo del presente comma. La procedura di esclusione automatica non è esercitabile qualora il numero delle offerte valide risulti inferiore a cinque».

Cause principali e questioni pregiudiziali

9 La SECAP ha partecipato ad una gara d’appalto a procedura aperta indetta dal Comune di Torino durante il mese di dicembre del 2002, relativa ad un appalto pubblico di lavori per un importo stimato di EUR 4 699 999. Alla data della suddetta gara, la soglia di applicazione della direttiva 93/37 era fissata in EUR 6 242 028, in conformità all’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva medesima. La Santorso ha partecipato ad una gara d’appalto analoga, indetta nel corso del mese di settembre del 2004, per un importo stimato di EUR 5 172 579. A tale ultima data, la soglia di applicazione della direttiva 93/37 si collocava a EUR 5 923 624. Di conseguenza, in entrambi i casi, il valore stimato degli appalti in questione era inferiore alle rispettive soglie d’applicazione della direttiva 93/37.

10 I bandi con cui il Comune di Torino ha indetto le suddette gare d’appalto precisavano che l’aggiudicazione sarebbe stata effettuata in base al criterio del maggior ribasso, con verifica delle offerte anormalmente basse e senza esclusione automatica di queste ultime. Tali bandi si fondavano su una delibera della Giunta comunale la quale prevedeva che il criterio del maggior ribasso avrebbe comportato la verifica delle offerte anomale, conformemente alla direttiva 93/37, anche per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, disapplicando quindi l’art. 21, n. 1 bis, della legge n. 109/94 nella parte in cui prevede l’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse.

11 La valutazione delle offerte ha consentito di classificare quelle della SECAP e della Santorso al primo posto tra le offerte considerate «non anomale». Successivamente alla verifica delle offerte anormalmente basse, il Comune ha infine rifiutato le offerte della SECAP e della Santorso, accogliendo quelle di altre società.

12 La SECAP e la Santorso hanno impugnato tale decisione dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, sostenendo che la legge n. 109/94 impone all’amministrazione aggiudicatrice l’obbligo tassativo di escludere le offerte anormalmente basse, non lasciando alcun margine di discrezionalità in ordine alla possibilità di procedere alla verifica in contraddittorio.

13 Con sentenze 11 ottobre 2004 e 30 aprile 2005, il suddetto giudice ha respinto rispettivamente i ricorsi della SECAP e della Santorso con la motivazione che la procedura di esclusione automatica delle offerte anormalmente basse non rappresenta un obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici, lasciando piuttosto a queste ultime la facoltà di disporre una verifica dell’eventuale anomalia risultante dalla modicità di tali offerte, anche per gli appalti d’importo inferiore alla soglia comunitaria.

14 La SECAP e la Santorso hanno impugnato tali sentenze di rigetto dinanzi al Consiglio di Stato. Quest’ultimo condivide la tesi di tali società quanto al carattere vincolante della regola dell’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse, senza restare tuttavia insensibile agli argomenti avanzati dal Comune di Torino, il quale, basandosi su dati statistici, fa presente che tale regola, a causa della sua assoluta rigidità, incentiva gli accordi collusivi tra imprese le quali si accordano sul prezzo al fine di influenzare l’esito della gara d’appalto, arrecando in tal modo pregiudizio sia all’amministrazione aggiudicatrice sia agli altri offerenti, che, per la maggior parte, sono imprese stabilite nel territorio di un altro Stato membro.

15 Il giudice del rinvio cita la giurisprudenza della Corte secondo la quale, relativamente ai contratti che, quanto all’oggetto, non rientrano nell’ambito di applicazione delle direttive in materia di appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato CE, segnatamente il principio di non discriminazione in base alla nazionalità (v., in particolare, sentenza 7 dicembre 2000, causa C 324/98, Telaustria e Telefonadress, Racc. pag. I 10745, punto 60), nonché la giurisprudenza che vieta agli Stati membri di emanare disposizioni che prevedono, relativamente agli appalti pubblici di lavori il cui importo è superiore alla soglia comunitaria, l’esclusione d’ufficio di talune offerte determinate in base all’applicazione di un criterio matematico, invece di obbligare l’amministrazione aggiudicatrice ad applicare la procedura di verifica in contraddittorio stabilita dalla normativa comunitaria (v., in particolare, sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, Racc. pag. 1839, punto 19).

16 Alla luce di tali considerazioni e nutrendo dubbi quanto alla soluzione della questione se la regola della verifica in contraddittorio delle offerte anormalmente basse possa essere considerata un principio fondamentale del diritto comunitario, in grado di prevalere sulle eventuali disposizioni nazionali contrarie, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali, formulate in maniera analoga nelle due cause C 147/06 e C 148/06:
«1) Se la regola stabilita dal par. 4 dell’art. 30 della direttiva 93/37 (...), o quella analoga recata dai parr. 1 e 2 dell’art. 55 della direttiva 2004/18 (…) (laddove ritenuto quest’ultimo il parametro normativo rilevante), secondo cui, qualora le offerte appaiano anormalmente basse rispetto alla prestazione, l’amministrazione aggiudicatrice, prima di poterle rifiutare, ha l’obbligo di richiedere, per iscritto, le precisazioni che ritiene utili in merito alla composizione dell’offerta e di verificare detta composizione tenendo conto delle giustificazioni fornite, enunci, o no, un principio fondamentale del diritto comunitario;
2) In caso di risposta negativa al precedente quesito, se la regola stabilita dal par. 4 dell’art. 30 della direttiva 93/37 (…), o quella analoga recata dai parr. 1 e 2 dell’art. 55 della direttiva 2004/18 (…) (laddove ritenuto quest’ultimo il parametro normativo rilevante), secondo cui, qualora le offerte appaiano anormalmente basse rispetto alla prestazione, l’amministrazione aggiudicatrice, prima di poterle rifiutare, ha l’obbligo di richiedere, per iscritto, le precisazioni che ritiene utili in merito alla composizione dell’offerta e di verificare detta composizione tenendo conto delle giustificazioni fornite, pur non presentando le caratteristiche di un principio fondamentale del diritto comunitario, sia, o no, un corollario implicito o un "principio derivato" del principio di concorrenza, considerato in coordinamento con quelli della trasparenza amministrativa e della non discriminazione in base alla nazionalità, e se, quindi, come tale, esso sia dotato, o no, d’immediata vincolatività e di forza prevalente sulle normative interne eventualmente difformi, dettate dagli Stati membri per disciplinare gli appalti di lavori pubblici esulanti dal campo di diretta applicabilità del diritto comunitario».

17 Con ordinanza del presidente della Corte 10 maggio 2006 i procedimenti C 147/06 e C 148/06 sono stati riuniti ai fini della fase scritta e orale nonché della sentenza.

Sulle questioni pregiudiziali

18 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se i principi fondamentali del diritto comunitario che disciplinano anche l’aggiudicazione degli appalti pubblici, di cui l’art. 30, n. 4, della direttiva 93/37 costituirebbe una specifica espressione, ostino ad una normativa nazionale che, per quanto riguarda gli appalti di valore inferiore alla soglia fissata dall’art. 6, n. 1, lett. a), di tale direttiva, impone alle amministrazioni aggiudicatrici, qualora il numero delle offerte valide sia superiore a cinque, di procedere all’esclusione automatica delle offerte considerate anormalmente basse rispetto alla prestazione da fornire, in base all’applicazione di un criterio matematico stabilito da tale normativa, precludendo alle suddette amministrazioni aggiudicatrici qualsiasi possibilità di verificare la composizione di tali offerte richiedendo agli offerenti interessati precisazioni in merito a queste ultime.

19 Occorre rilevare che le procedure specifiche e rigorose previste dalle direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si applicano soltanto ai contratti il cui valore supera la soglia prevista espressamente in ciascuna delle citate direttive (ordinanza 3 dicembre 2001, causa C 59/00, Vestergaard, Racc. pag. I 9505, punto 19). Pertanto, le disposizioni di tali direttive non si applicano agli appalti il cui valore non raggiunge la soglia fissata da queste ultime (v., in tal senso, sentenza 21 febbraio 2008, causa C 412/04, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 65).

20 Ciò non significa tuttavia che questi ultimi appalti siano esclusi dall’ambito di applicazione del diritto comunitario (ordinanza Vestergaard, cit., punto 19). Infatti, conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, per quanto concerne l’aggiudicazione degli appalti che, in considerazione del loro valore, non sono soggetti alle procedure previste dalle norme comunitarie, le amministrazioni aggiudicatrici sono cionondimeno tenute a rispettare le norme fondamentali del Trattato e in particolare il principio di non discriminazione in base alla nazionalità (sentenza Telaustria e Telefonadress, cit., punto 60; ordinanza Vestergaard, cit., punti 20 e 21; sentenze 20 ottobre 2005, causa C 264/03, Commissione/Francia, Racc. pag. I 8831, punto 32, e 14 giugno 2007, causa C 6/05, Medipac Kazantzidis, Racc. pag. I 4557, punto 33).

21 Tuttavia, in conformità alla giurisprudenza della Corte, l’applicazione delle norme fondamentali e dei principi generali del Trattato alle procedure di aggiudicazione degli appalti di valore inferiore alla soglia di applicazione delle direttive comunitarie presuppone che gli appalti in questione presentino un interesse transfrontaliero certo (v., in tal senso, sentenze 13 novembre 2007, causa C 507/03, Commissione/Irlanda, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 29, nonché Commissione/Italia, cit., punti 66 e 67).

22 Una normativa nazionale come quella di cui alla causa principale deve quindi essere esaminata alla luce di tali considerazioni.

23 Dal fascicolo presentato alla Corte si evince che la suddetta normativa obbliga l’amministrazione aggiudicatrice interessata, per quanto riguarda l’aggiudicazione degli appalti di valore inferiore alla soglia fissata dall’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 93/37, a procedere all’esclusione automatica delle offerte che, in base all’applicazione di un criterio matematico stabilito da tale normativa, sono considerate anormalmente basse rispetto alla prestazione da fornire, con la sola eccezione che tale regola dell’esclusione automatica non si applica qualora il numero delle offerte valide sia inferiore a cinque.

24 Di conseguenza, la suddetta regola, formulata in termini chiari, imperativi ed assoluti, preclude agli offerenti che hanno presentato offerte anormalmente basse la possibilità di dimostrare che queste ultime sono affidabili e serie. Tale aspetto della normativa di cui alla causa principale potrebbe condurre a risultati incompatibili con il diritto comunitario qualora un dato appalto possa presentare, in considerazione delle proprie caratteristiche, un interesse transfrontaliero certo e attrarre quindi operatori di altri Stati membri. Un appalto di lavori potrebbe, ad esempio, presentare tale interesse transfrontaliero in ragione del suo valore stimato, in relazione alla propria tecnicità o all’ubicazione dei lavori in un luogo idoneo ad attrarre l’interesse di operatori esteri.

25 Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 45 e 46 delle sue conclusioni, una normativa di questo tipo, sebbene oggettiva e non discriminatoria in se stessa, potrebbe ledere il principio generale di non discriminazione nelle procedure di aggiudicazione degli appalti che rivestono un interesse transfrontaliero.

26 Infatti, l’applicazione agli appalti che presentano un interesse transfrontaliero certo della regola dell’esclusione automatica delle offerte considerate anormalmente basse può configurare una discriminazione indiretta, danneggiando in pratica gli operatori degli altri Stati membri che, essendo dotati di strutture dei costi diverse, potendo beneficiare di economie di scala rilevanti o desiderando ridurre al minimo i propri margini di profitto al fine di inserirsi più efficacemente nel mercato di riferimento, sarebbero in grado di presentare un’offerta competitiva e nel contempo seria e affidabile, della quale l’amministrazione aggiudicatrice non potrebbe tuttavia tenere conto a causa della suddetta normativa.

27 Inoltre, come rilevato dal Comune di Torino e dall’avvocato generale ai paragrafi 43, 46 e 47 delle sue conclusioni, una siffatta normativa può dare luogo a comportamenti e ad accordi anticoncorrenziali, se non addirittura a pratiche collusive tra imprese nazionali o locali, intese a riservare a queste ultime gli appalti pubblici di lavori.

28 Pertanto, l’applicazione della regola dell’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse agli appalti che presentano un interesse transfrontaliero certo potrebbe privare gli operatori economici degli altri Stati membri della possibilità di porre in essere una concorrenza più efficace nei confronti degli operatori situati nello Stato membro considerato e pregiudica così il loro accesso al mercato di tale Stato, ostacolando in tal modo l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, il che costituisce una restrizione di tali libertà (v., in tal senso, sentenze 17 ottobre 2002, causa C 79/01, Payroll e a., Racc. pag. I 8923, punto 26; 5 ottobre 2004, causa C 442/02, CaixaBank Francia, Racc. pag. I 8961, punti 12 e 13, e 3 ottobre 2006, causa C 452/04, Fidium Finanz, Racc. pag. I 9521, punto 46).

29 Per l’applicazione di tale normativa agli appalti che rivestono un interesse transfrontaliero certo, le amministrazioni aggiudicatrici, prive di qualsiasi facoltà di valutare la solidità e l’affidabilità delle offerte anormalmente basse, non sono in grado di ottemperare all’obbligo ad esse imposto di rispettare le norme fondamentali del Trattato in materia di libera circolazione, nonché il principio generale di non discriminazione, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte citata al punto 20 della presente sentenza. La privazione di tale facoltà è altresì contraria all’interesse stesso delle amministrazioni aggiudicatrici, in quanto queste ultime non sono in grado di valutare le offerte loro presentate in condizioni di concorrenza effettiva e quindi di assegnare l’appalto in applicazione dei criteri, anch’essi stabiliti nell’interesse pubblico, del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

30 Spetta in linea di principio all’amministrazione aggiudicatrice interessata valutare, prima di definire le condizioni del bando di appalto, l’eventuale interesse transfrontaliero di un appalto il cui valore stimato è inferiore alla soglia prevista dalle norme comunitarie, fermo restando che tale valutazione può essere oggetto di controllo giurisdizionale.

31 Tuttavia, una normativa può certamente stabilire, a livello nazionale o locale, criteri oggettivi che indichino l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo. Tali criteri potrebbero sostanziarsi, in particolare, nell’importo di una certa consistenza dell’appalto in questione, in combinazione con il luogo di esecuzione dei lavori. Si potrebbe altresì escludere l’esistenza di un tale interesse nel caso, ad esempio, di un valore economico molto limitato dell’appalto in questione (v., in tal senso, sentenza 21 luglio 2005, causa C 231/03, Coname, Racc. pag. I 7287, punto 20). È tuttavia necessario tenere conto del fatto che, in alcuni casi, le frontiere attraversano centri urbani situati sul territorio di Stati membri diversi e che, in tali circostanze, anche appalti di valore esiguo possono presentare un interesse transfrontaliero certo.

32 Anche in presenza di un interesse transfrontaliero certo, l’esclusione automatica di talune offerte a causa del loro carattere anormalmente basso potrebbe rivelarsi accettabile qualora il ricorso a tale regola sia giustificato dal numero eccessivamente elevato delle offerte, circostanza questa che potrebbe obbligare l’amministrazione aggiudicatrice interessata a procedere alla verifica in contraddittorio di un numero di offerte talmente alto da eccedere la capacità amministrativa della detta amministrazione aggiudicatrice ovvero da poter compromettere la realizzazione del progetto a causa del ritardo che tale verifica potrebbe comportare.

33 In siffatte circostanze, una normativa nazionale o locale o ancora l’amministrazione aggiudicatrice stessa potrebbe legittimamente fissare una soglia ragionevole per l’applicazione dell’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse. Tuttavia, la soglia di cinque offerte valide fissata all’art. 21, n. 1 bis, terzo comma, della legge n. 109/94 non può essere considerata ragionevole.

34 Per quanto attiene alle cause principali, compete al giudice del rinvio procedere ad una valutazione circostanziata di tutti gli elementi pertinenti relativi ai due appalti in questione, al fine di verificare l’esistenza, in tali casi, di un interesse transfrontaliero certo.

35 Occorre pertanto risolvere le questioni sollevate dichiarando che le norme fondamentali del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, nonché il principio generale di non discriminazione, ostano ad una normativa nazionale che, per quanto concerne gli appalti di valore inferiore alla soglia stabilita dall’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 93/37 e che presentano un interesse transfrontaliero certo, imponga tassativamente alle amministrazioni aggiudicatici, qualora il numero delle offerte valide sia superiore a cinque, di procedere all’esclusione automatica delle offerte considerate anormalmente basse rispetto alla prestazione da fornire, in base all’applicazione di un criterio matematico previsto da tale normativa, precludendo alle suddette amministrazioni aggiudicatrici qualsiasi possibilità di verificare la composizione di tali offerte richiedendo agli offerenti interessati precisazioni in merito a queste ultime. Ciò non si verificherebbe nel caso in cui una normativa nazionale o locale, o ancora l’amministrazione aggiudicatrice interessata, a motivo del numero eccessivamente elevato di offerte che potrebbe obbligare l’amministrazione aggiudicatrice a procedere alla verifica in contraddittorio di un numero di offerte talmente alto da eccedere la sua capacità amministrativa o da poter compromettere la realizzazione del progetto a causa del ritardo che tale verifica potrebbe comportare, fissasse una soglia ragionevole al di sopra della quale si applicherebbe l’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse.

Sulle spese

36 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

Le norme fondamentali del Trattato CE relative alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, nonché il principio generale di non discriminazione, ostano a una normativa nazionale che, per quanto concerne gli appalti di valore inferiore alla soglia stabilita dall’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE, e che presentano un interesse transfrontaliero certo, imponga tassativamente alle amministrazioni aggiudicatrici, qualora il numero delle offerte valide sia superiore a cinque, di procedere all’esclusione automatica delle offerte considerate anormalmente basse rispetto alla prestazione da fornire, in base all’applicazione di un criterio matematico previsto da tale normativa, precludendo alle suddette amministrazioni aggiudicatrici qualsiasi possibilità di verificare la composizione di tali offerte richiedendo agli offerenti interessati precisazioni in merito a queste ultime. Ciò non si verificherebbe nel caso in cui una normativa nazionale o locale, o ancora l’amministrazione aggiudicatrice interessata, a motivo del numero eccessivamente elevato di offerte che potrebbe obbligare l’amministrazione aggiudicatrice a procedere alla verifica in contraddittorio di un numero di offerte talmente alto da eccedere la sua capacità amministrativa o da poter compromettere la realizzazione del progetto a causa del ritardo che tale verifica potrebbe comportare, fissasse una soglia ragionevole al di sopra della quale si applicherebbe l’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse.

Depositata in data 15 maggio 2008.

domenica 25 maggio 2008

Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 20 maggio 2008 n. 2360

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.r.g. 10582 del 2006, proposto dal Comune di Quarto in persona del legale rappresentante il Commissario Straordinario Prefettizio dott. Mariolina Goglia rappresentato e difeso dal prof. avv. Antonio Palma e domiciliato elettivamente domicilia in Roma al Foro Traiano n. l/A (Studio Palma-Schettini);

contro

la Società GIAN.CA. a r.l. in persona del legale rappresentante in carica, sig.ra Anna Mattera rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Scialpi ed elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele n. 284 (avv. Domenico Gaudiello);

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli, Sezione 1° n. 8017 dell’8 settembre 2006;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società GIAN.CA a r.l.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 10 luglio 2007, il consigliere Cesare Lamberti ed uditi, altresì, l’avvocato Syarace per delega dell’avv. Palma, e l’avv. Basile per delega dell’avv. Scialpi, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. La società GIAN.CA a r.l. ha partecipato alla gara indetta il 15 luglio 2004 per l'assegnazione di lavori di qualificazione di alcune strade. La gara fu aggiudicata alla società N.P. Costruzioni con provvedimento del 6 ottobre 2004 n. 225.
2. Il provvedimento di aggiudicazione fu impugnato dalla società GIAN.CA al Tar Campania - Napoli che, con la sentenza del 12 settembre 2005 n. 12320 ha accolto il ricorso, senza nulla disporre sulla domanda di risarcimento del danno anche richiesto dalla società. La sentenza non venne impugnata e divenne irrevocabile.
3. Nelle more del giudizio i lavori appaltati hanno avuto luogo ad opera della società N.P. Costruzioni. In tal modo divenne impossibile l’ottemperanza alla sentenza del Tar tramite esecuzione in forma specifica.
4. La società GIAN.CA ha proposto, dopo l’accoglimento del ricorso, ulteriore ricorso in ottemperanza n. 8320/06 al Tar della Campania, chiedendo il risarcimento dei danni subiti.
5. Con la sentenza n. 8017/06 impugnata in questa sede, il Tar della Campania ha accolto il ricorso ed ha attribuito alla società GIAN.CA il 10% del valore dell'appalto a titolo di risarcimento più euro 2.000,00 per le spese sostenute per la partecipazione all'appalto.
6. Con un’unica censura articolata di violazione dell'art. 7 e 35 della legge 1034/71, dell'art. 7 della legge 205/00 e della sentenza del TAR Campania-Napoli, sez. I, n. 12320/05, l’appellante sostiene che sentenza 12320/05 del TAR Campania, per l’ottemperanza alla quale è stata adottata la sentenza n. 8017/06 (qui impugnata), aveva solo annullato gli atti emanati dal Comune di Quarto per l'affidamento dell' appalto di sistemazione di alcune strade all'interno del territorio comunale senza statuire la condanna al risarcimento dei danni a favore della società GIAN.CA.
6.1. Sempre secondo l’appellante, il Tar avrebbe rivalutato gli elementi oggetto del giudizio ordinario e nuovamente statuito sul merito della controversia, nonostante fosse stato adito in sede di ottemperanza, così travalicando la portata della precedente sentenza 12320/05, che nulla aveva stabilito riguardo all’esistenza della "colpa" in capo all'amministrazione ed all'entità e natura del danno, che la società GIAN.CA affermava di avere subito.
7. Nessuno degli argomenti è suscettibile di positiva considerazione.
8. Come ha correttamente chiarito l’appellata nel controricorso, la precedente sentenza 12320/05 nulla poteva statuire in ordine al danno da liquidare per l’omessa aggiudicazione, avendo il Tar disposto la prosecuzione del procedimento, dopo avere annullato la fase della gara ritenuta illegittima.
8.1. Oggetto del ricorso n. 11508/2004 era infatti l'aggiudicazione della gara per l'affidamento dei lavori di riqualificazione in favore di altra impresa - alla società N.P. Costruzioni a r.l. in luogo della ricorrente GIAN.CA., nonostante essa avesse presentato l’offerta più conveniente - per effetto della rideterminazione della soglia di anomalia, dopo che il seggio di gara aveva escluso la concorrente Ati Diana Luigi-Zara Francesco in modo irrituale senza la pubblicità prescritta dal bando di gara. L’esclusione era stata disposta, successivamente alla chiusura delle operazioni, in quanto l’offerta era risultata priva dei certificati della Camera di Commercio e della dichiarazione riguardante alcune clausole della lex specialis.
8.2. Nell’accogliere il ricorso della società GIAN.CA., precedente aggiudicataria, il Tar della Campania aveva, quindi, con la sentenza n. 12320/2005, dichiarato illegittima l’aggiudicazione alla società N.P. Costruzioni ed annullato gli atti di gara impugnati "con obbligo dell'Amministrazione di procedere alla prosecuzione della procedura di gara, attenendosi ai principi indicati in motivazione" e quindi senza tener conto dell'esclusione dell'Ati Diana-Zara e degli atti successivamente adottati.
8.3. Sempre nel corso della precedente fase cognitoria, la società GIAN.CA. aveva diffidato l'Amministrazione dal procedere alla consegna dei lavori sino all’esito del giudizio di merito, avendo anche beneficiato dell’esito favorevole della fase cautelare.
8.4. Rimasta inesegeuita la diffida ad ottemperare alla sentenza n. 12320/2005, la Società GIAN.CA. propose il ricorso per l'esecuzione del giudicato deciso con la sentenza impugnata in questa sede.
8.5. Ciò premesso in punto di fatto, il diritto della ricorrente al risarcimento del danno per equivalente insorge direttamente dal comportamento tenuto dall'Amministrazione nella fase esecutiva.
8.6. In luogo di conformarsi alla decisione, il Comune di Quarto con nota prot. n. 30110 del 27 dicembre 2005, depositata nell'imminenza dell'udienza dell'1 febbraio 2006 (il 9 gennaio 2006) ha dichiarato che i lavori erano stati ultimati in data 21 novembre 2005 e che, quindi, non era più possibile l'esecuzione della decisione nei termini a suo tempo indicati dal Collegio.
9. In luogo di procedere alla riaggiudicazione della gara e all’immissione della ricorrente nell’esecuzione delle opere, il comune ha dato corso alla precedente aggiudicazione sebbene annullata così colposamente violando il diritto della ricorrente alla reintegrazione in forma specifica.
9.1. Correttamente perciò la sentenza impugnata ribadisce, ai fini di individuare la "colpa" dell’amministrazione, la notevole negligenza della commissione di gara che, dopo il controllo formale della documentazione di tutti le partecipanti, aveva unilateralmente rilevato, nella progressione delle operazioni di aggiudicazione, la irregolarità documentale nei confronti dell’Ati Diana-Zara, aveva rideterminato la soglia di anomalia e riaggiudicato la gara alla società N.P. Costruzioni estromettendo la ricorrente GIAN.CA..
9.2. Altrettanto correttamente la sentenza afferma la responsabilità "colposa" del Comune e lo condanna al risarcimento del danno nella presente sede dell’ottemperanza.
9.3. Proprio in questa fase si è infatti manifestato il comportamento "colposo" dell’amministrazione. In luogo di conformarsi alla decisione n. 12320/2005, proseguendo nella gara e rinnovando l’aggiudicazione nei confronti della società GIAN.CA. (senza tener conto dell'esclusione dell'Ati Diana-Zara), il Comune ha proceduto alla consegna dei lavori in favore della società N.P. Costruzioni, rendendo impossibile, volontariamente, l’esecuzione in forma specifica.
9.4. E questo nonostante il giudizio cautelare si fosse già risolto in favore dell’odierna appellata, che aveva perdippiù diffidato il comune a non procedere alla consegna dei lavori sino all’esito del giudizio di merito.
9.5. La sentenza impugnata, ha pertanto, con un procedimento logico ed immune da censure, operato la valutazione d’illegittimità alla stregua degli artt. 2043 e 2058 c.c. nel momento in cui il comportamento del comune si è effettivamente verificato, quando cioè l’esecuzione in forma specifica è diventata impossibile per fatto volontario del comune.
9.6. Era infatti onere del Comune offrire corretta esecuzione alla sentenza n. 12320/2005, onde evitare il verificarsi del pregiudizio a carico dell’impresa odierna appellata di non eseguire i lavori nonostante l’acclaramento del diritto a vederseli aggiudicati. L’inottemperanza a tale obbligo ingenera la responsabilità diretta della p.a. (Cass., III, 9 febbraio 2004, n. 2423; 13 novembre 2002, n. 15930).
10. Va respinto l’assunto del Comune appellante che sarebbe mancato ogni accertamento da parte del Tar della Campania sull’elemento psicologico del comportamento dell’ammini-strazione.
10.1. Il primo giudice ha dato atto in modo preciso dei presupposti dai quali trarre la "colpa" del comune: avere comunque consegnato i lavori, nonostante la notificazione della sentenza in data 19 settembre 2005 ed avere ammesso nella memoria del 23 gennaio 2006 che i lavori erano stati ultimati dal 21 novembre 2005, ad evidente insaputa della ditta GIAN.CA che aveva il diritto ad eseguirli in forza della cosa giudicata.
10.2. Oltre alla prima in esame, va pure respinta l’ulteriore censura, secondo la quale il giudicato formatosi sulla sentenza n. 12320/2005 non conteneva alcun accertamento della "colpa" dell’amministrazione né condanna al risarcimento del danno che avrebbero dovuto rappresentare oggetto di separato giudizio cognitorio senza poter essere pronunziati nella presente sede dell’ottemperanza.
10.3. E, invero, il comportamento "colposo" dell’amministrazione non è da ascrivere ai fatti che hanno costituito oggetto di accertamento in quella decisione (illegittima estromissione di GIAN.CA. e aggiudicazione a N.P. Costruzioni) ma ai fatti successivi, sostanziatisi nella consegna dei lavori in favore della società N.P. Costruzioni con impossibilità dell’esecuzione in forma specifica, nonostante il comune fosse cosciente dell’illegittimità di tale comportamento sia dalla notificazione della sentenza che della diffida. La sentenza n. 12320/2005 non poteva contenerne alcun accertamento della colpa né condanna al risarcimento del danno del comune, non essendosi ancora verificati i relativi presupposti.
10.4. Né infine è sostenibile che la condanna al risarcimento del danno non potesse essere oggetto del presente giudizio di ottemperanza ma dovesse essere riservato ad un apposito giudizio cognitorio.
10.5. In ragione della specifica natura del giudizio di ottemperanza, mista di esecuzione e cognizione insieme, al giudice non è precluso l'esame di atti o fatti che rendano impossibile l’adempimento in conformità al giudicato (Cons. Stato, IV, 10 giugno 2004, n. 3711).
10.6. Nella specie, il Tar della Campania era stato adito per l’ottemperanza alla sentenza n. 12320/2005, che, per il suo contenuto, implicava la reintegrazione in forma specifica della ricorrente nella posizione di vincitore della gara e la consegna dei lavori. Accertata l’impossibilità della reintegrazione per fatto dell’Amministrazione, ben poteva il Giudice adito liquidare direttamente il danno subito dalla ricorrente, data l’alternatività del risarcimento per equivalente alla reintegrazione, costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 19 luglio 2004, n. 5196; V, 13 maggio 2002, n. 2579; V, 30 giugno 2003, n. 3871).
10.7. La sentenza n. 12320/2005, del resto, conteneva un accertamento univoco della illegittimità della procedura di gara e l’obbligo di rinnovo delle operazioni illegittimamente svolte, dalle quali discendeva la reintegrazione in forma specifica.
10.8. Per ottenere il risarcimento del danno per equivalente, il ricorrente vittorioso non doveva avviare un autonomo giudizio per il riconoscimento di quanto gli era dovuto a titolo di ristoro del danno subito, potendo invece avanzare la domanda di risarcimento del danno con il ricorso per ottemeperanza al giudicato (Cons. Stato, V, 7 aprile 2004, n. 1980).
10.9. Oggetto del giudizio di ottemperanza è la verifica se la p.a. abbia o meno adempiuto all'obbligo nascente dal giudicato, e cioè abbia o meno attribuito all'interessato quella utilità concreta che la sentenza ha riconosciuto come dovuta. Tenuto presente che l'ottemperanza e deve essere esatta, al pari di quanto avviene per l'obbligazione civile, il cui inesatto adempimento è sanzionato con la condanna al risarcimento del danno, il ricorso per ottemperanza è ammissibile in ogni caso, anche dopo l'adozione di atti esecutivi a contenuto discrezionale, senza necessità di operare la tradizionale dicotomia concettuale tra elusione ovvero violazione del giudicato, qualora il "petitum" sostanziale del ricorso attenga all'oggetto proprio del giudizio d'ottemperanza, miri cioè a far valere non già la difformità dell'atto sopravvenuto rispetto alla legge sostanziale bensì la difformità specifica dell'atto stesso rispetto all'obbligo (processuale) di attenersi esattamente all'accertamento contenuto nella sentenza da eseguire (Cons. Stato, V, 22 novembre 2001, n. 5934).
11. Per l’insieme delle suesposte considerazioni, l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
12. Le spese del grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello.
Condanna l’appellante Comune di Quarto alle spese del presente giudizio in favore della Società GIAN.CA. a r.l., che liquida nella misura di € 3.000,00 (tremila/00) oltre Iva, CAP e spese generali.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 10 luglio 2007, con l'intervento dei Signori:
Raffaele Iannotta Presidente
Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere
Cesare Lamberti rel. est Consigliere
Claudio Marchitiello Consigliere
Nicola Russo Consigliere
L’Estensore Il Presidente
f.to Cesare Lamberti f.to Raffaele Iannotta
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 20 maggio 2008

Consiglio di Stato, Sez. V, - sentenza 20 maggio 2008 n. 2348

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione)
ha pronunciato la seguente

DECISIONE

-Sul ricorso in appello n. 2441/2007, proposto dalla AGES S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Tarzia e Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto in Roma, Via di Ripetta, 142 presso l’avv. Giuseppe Franco Ferrari;

contro

la NUOVENERGIE S.r.l. in proprio e quale mandataria ATI, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gabriele Pafundi e Vito Salvadori, con domicilio eletto in Roma, Viale Giulio Cesare n. 14 A/4, presso l’avv. Gabriele Pafundi;
la ATI ASM Distr. Garbagnate Milanese e in proprio, non costituitasi;
la ATI A.E.M. S.p.A. e in proprio, non costituitasi;

e nei confronti del

Comune di Sesto Calende, non costituitosi;
-Sul ricorso in appello n. 2556/2007, proposto dal Comune di Sesto Calende, rappresentato e difeso dagli avv.ti Liberto Losa e Mario Sanino, con domicilio eletto in Roma, Viale Parioli n. 180 presso l’avv. Mario Sanino;

contro

la NUOVENERGIE S.r.l. in pr. e n.q. mandataria A.T.I.. rappresentata e difesa dagli avv.ti Gabriele Pafundi e Vito Salvadori, con domicilio eletto in Roma, Viale Giulio Cesare n. 14 A/4 presso l’avv. Gabriele Pafundi;
la A.T.I. ASM Distribuzione Garbagnate Milanese, non costituitasi;
la A.T.I. AEM Ambiente Energia Mobilità Cremona S.p.A., non costituitasi;

e nei confronti della

AGES S.p.A., non costituitasi;

per la riforma

della sentenza del TAR LOMBARDIA - MILANO: Sezione III n.19/2007, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di distribuzione del gas naturale;
Visti gli atti di appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l’art.23 bis comma sesto della legge 6 dicembre 1971, n.1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n.205;
Alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2007, relatore il Consigliere Aniello Cerreto ed uditi, altresì, gli avvocati G.F. Ferrari, G. Pafundi, M. Sanino e L. Losa;
Visto il dispositivo di decisione n.570/2007;
Considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1.Con i due appelli in epigrafe, la società Ages ed il comune di Seste Calende hanno chiesto la riforma della sentenza TAR LOMBARDIA – MILANO, Sezione III, n.19/2007, con la quale è stato accolto nei limiti indicati il ricorso (e relativi motivi aggiunti) proposto dalla società Nuovenergie, in proprio e quale mandataria della relativa ATI, avverso la determinazione n.1057/2005 del comune di Seste Calende, di approvazione dei verbali di gara ed affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale nel territorio comunale a favore dell’ATI capeggiata dalla società Nuovenergie, ed i relativi atti di gara.
Al riguardo il TAR ha ritenuto fondata la censura di difetto di motivazione prospettata nei motivi aggiunti in ordine alla determinazione con la quale la stazione appaltante aveva ritenuto congrua l’offerta economica della società AGES s.p.a., sebbene la stessa apparisse obiettivamente antieconomica e tale da mettere a rischio le stesse esigenze di qualità e sicurezza del servizio. In particolare il TAR, pur non ritenendo che l’ammontare dell’offerta in sé (pari all’82% del VRD-Vincolo ricavi distribuzione), sia pure tale da ingenerare dubbi di sostenibilità, risultasse assolutamente ingiustificabile, ha comunque concluso nel senso che la portata dell’offerta dovesse condurre ad un giudizio di verifica dell’offerta complessiva della concorrente, nelle sue molteplici e specifiche componenti, particolarmente attento, articolato, puntuale, comportante anche approfondite valutazioni di tutti gli elementi tecnici, se del caso con ricorso a specifiche professionalità, atteso che la Commissione di gara nel provvedimento del 6 aprile 2005 si era limitata a rilevare, senza che venisse indicato alcun tipo di svolta istruttoria e peraltro in modo del tutto apodittico, che "dopo aver attentamente esaminato le giustificazioni fornite dalla Ditta AGES in merito all’offerta economica presentata ritiene le stesse congruenti con l’offerta presentata e pertanto dichiara valida l’offerta presentata dalla Ditta AGES"; che il mero riferimento all’attento esame delle giustificazioni non era sufficiente a dar conto di quanto nella specie espletato, sicchè gli elementi addotti a giustificazione permanevano obiettivamente controversi; che pertanto la stazione appaltante aveva l’obbligo di reiterare il procedimento medesimo alla luce delle indicazioni offerte in motivazione, in particolare procedendo ad attenta verifica, anche d’ordine tecnico, in relazione alle singole giustificazioni proposte dalla AGES .
2.Con il primo appello la società Ages ha dedotto quanto segue:
-il sub procedimento volto alla verifica dell’anomalia dell’offerta costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale e la motivazione della valutazione effettuata circa l’anomalia dell’offerta costituisce elemento decisivo ai fini della verifica della correttezza della valutazione effettuata, tuttavia la necessità di una puntuale ed analitica valutazione è generalmente richiesta dalla giurisprudenza solo nel caso di giudizio negativo, mentre nel caso di valutazione positiva è sufficiente un riferimento alla giustificazioni offerte dall’impresa sottoposta a verifica (sezione IV n.3554/2004 , sezione V n.4949/2006, sez. VI n.3637/2002), per cui la sentenza del TAR è censurabile per aver ritenuto necessaria un’articolata motivazione anche nel caso di giudizio positivo sulle giustificazioni addotte dall’impresa ed inoltre per aver giudicato nel merito le relative giustificazioni;
-in ogni caso la tesi fondamentale sulla asserita anomalia dell’offerta Ages muove dal presupposto che essendo stata fissata dall’AEEG una soglia indicativa del 35-40% del VRD, quale corrispettivo massimo che le amministrazioni possono pretendere a base di gara, l’offerta di un canone superiore a detto limite (nella specie pari all’82% del VRD) sia significativa di una potenziale anomalia dell’offerta medesima, ma in tal modo non si tiene conto che il limite fissato dall’AEEG è solo indicativo e comunque concerne criteri orientativi per la redazione dei bandi di gara, per cui il concorrente nella predisposizione della propria offerta ha indubbiamente dei margini più ampi con il limite della sostenibilità economica, nel senso che deve assicurare la possibilità di svolgere il servizio;
- nella specie i chiarimenti forniti da Ages devono considerarsi idonei a comprovare la sostenibilità economica dell’offerta, con la possibilità di garantire un’elevata qualità del servizio prestato, per cui correttamente la stazione appaltante, dopo aver attentamente esaminato le giustificazioni fornite da Ages e valutata la congruità delle stesse, ha dichiarato valida l’offerta presentata da Ages;
-Ages ha risposto alla richiesta di chiarimenti formulata dalla stazione appaltante in data 1.3.2005 con una dettagliata relazione tecnica contenente le relative giustificazioni, che sono state poi vagliate dalla commissione giudicatrice e condivise dal responsabile del procedimento nel provvedimento di aggiudicazione, per cui sussisteva adeguata motivazione al riguardo sia pure per relationem;
-i chiarimenti forniti da Ages sono logici e congruenti rispetto all’insieme degli elementi dedotti a giustificazione della propria offerta ed anzi erano le considerazioni della ricorrente originaria ad operare un travisamento dei fatti (dati non aggiornati, omessa considerazione della presenza di un numero elevato di seconde case in zone con vocazione turistica, omessa previsione di un incremento consistente dei contatori da attivare);
-la metodologia applicata da Ages per calcolare il VRD non può ritenersi erronea e non è irragionevole la quantificazione dei costi e delle spese operata, né meritano adesione i dubbi avanzati sulla capacità di Ages di far fronte con proprio capitale all’impegno finanziario derivante dall’investimento prospettato.
3.Con il secondo appello il comune di Seste Calende ha dedotto quanto segue;
-inammissibilità del ricorso originario in quanto non proposto da tutti i componenti della costituenda associazione temporanea;
-erroneità della sentenza del TAR nella parte in cui ha ravvisato l’inadeguatezza dell’istruttoria compiuta e la carenza di motivazione nel giudizio positivo sulla verifica dell’anomalia dell’offerta, atteso che le giustificazioni fornite da Ages hanno interessato tutti gli elementi indicati dal Comune, per cui la motivazione è da rinvenirsi nelle stesse giustificazioni presentate da Ages, che non possono ritenersi né manifestamente irrazionali né inficiate da vizi di travisamento;
-con riferimento all’incremento dell’utenza, le previsioni di Ages sono corrette in relazione al numero rilevante di abitazioni non ancora allacciate alla rete di distribuzione, tenuto anche conto della vocazione turistica del Comune e dell’incremento della rete di distribuzione effettuato in precedenza;
-le modalità di calcolo del VRD debbono ritenersi corrette, anche in considerazione dell’analogo risultato cui è pervenuto lo stesso perito del Comune.
In entrambi gli appelli si è costituita la società Nuovenergie che ha contestato l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario e comunque ha rilevato l’infondatezza degli appelli.
4.Con ordinanza n.2683/2007, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare proposta dagli appellanti.
In prossimità dell’udienza di discussione del ricorso tutte le parti hanno presentato memoria conclusiva.
La parte appellata ha rilevato che la società Ages aveva sostanzialmente fatto presente nelle sue giustificazioni che i ricavi netti sarebbero aumentati in conseguenza degli aumenti di utenza e consumo di gas, ma in tal modo non è stato tenuto conto del fatto che sulla base della disciplina prevista dalla delibera dell’AAEG n.170/2004 un aumento di utenza o di vettoriamento non può incidere sul VRD atteso che un incremento del fatturato in un determinato anno comporta un abbassamento delle tariffe nell’anno successivo per compensare lo scostamento del VRD; che inoltre, pur ammettendosi che le valutazioni della Commissione di gara possono limitarsi a richiamare in toto le giustificazioni fornite dall’impresa, nella specie erano stati posti alcuni quesiti cui la società Ages non aveva fornito risposta.
Il comune di Seste Calende ha sostanzialmente rinunciato all’eccezione di inammissibilità del ricorso originario in considerazione della pronuncia Corte di Giustizia CE in data 4.10.2007 C.492/2006, in base alla quale deve ritenersi ammissibile il ricorso proposto a titolo individuale da uno soltanto dei membri di un’associazione temporanea priva di personalità giuridica che abbia partecipato ad una procedura di aggiudicazione di appalto; ha quindi concluso per l’accoglimento dell’appello nel merito.
La società Ages ha ribadito che nella specie il giudizio positivo sull’anomalia della propria offerta era motivato adeguatamente con il richiamo delle giustificazioni fornite; che erano inammissibili le difese prospettate dalla società appellata con riferimento alla ritenuta non congruenza delle risposte presentate rispetto ai quesiti posti dall’Amministrazione; che comunque le giustificazioni da essa fornite erano articolate ed attendibili; che era inconferente la disciplina di cui alla deliberazione AEEG n.170/2004 , la quale era stata impugnata da vari operatori ed era entrata in vigore solo in data 4.10.2006, successivamente all’espletamento della procedura di gara in contestazione; che comunque la nuova disciplina veniva ad incrementare i margine conseguibili dalla gestione del servizio; che al 31.10.2007 il numero degli utenti attivi era pari a 3937 e che il gas erogato nel 2006 era quantificabile in m.c. 9.971.928.
All’udienza dell’11 dicembre 2007, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
5.I due appelli in epigrafe, già riuniti in sede cautelare, vanno riuniti anche in sede di merito in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
6. Priva di pregio è l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario sollevata dall’appellante comune di Seste Calende sul rilievo che l’impugnativa non era stata proposta da tutti i partecipanti all’ATI costituenda, atteso che medio tempore è intervenuta la decisione Corte di Giustizia CE in data 4.10.2007 C.492/2006, in base alla quale deve ritenersi ammissibile il ricorso proposto a titolo individuale da uno soltanto dei membri di un’associazione temporanea priva di personalità giuridica che abbia partecipato ad una procedura di aggiudicazione di appalto, orientamento condiviso dal Collegio.
7.I due appelli sono fondati e meritano accoglimento.
Merita adesione la complessa doglianza con la quale i due appellanti sostengono sostanzialmente che il sub procedimento volto alla verifica dell’anomalia dell’offerta costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale e la motivazione della valutazione effettuata circa l’anomalia dell’offerta costituisce elemento decisivo ai fini della verifica della correttezza della valutazione effettuata, tuttavia la necessità di una puntuale ed analitica valutazione è generalmente richiesta dalla giurisprudenza solo nel caso di giudizio negativo, mentre nel caso di valutazione positiva è sufficiente un riferimento alla giustificazioni offerte dall’impresa sottoposta a verifica, per cui la sentenza del TAR è censurabile per aver ritenuto necessaria un’articolata motivazione anche nel caso di giudizio positivo sulle giustificazioni addotte dall’impresa (come nella specie) ed inoltre per aver giudicato nel merito le giustificazioni fornite da Ages.
7.1. Al fine di valutare adeguatamente detta doglianza, è opportuno sintetizzare il ragionamento in base al quale il TAR si è orientato per l’accoglimento del ricorso di 1° grado (e relativi motivi aggiunti). Il TAR ha ritenuto da una parte che l’ammontare dell’offerta in sé presentata da Ages (pari all’82% del VRD-Vincolo ricavi distribuzione), non risultasse assolutamente ingiustificabile, e dall’altra che comunque la portata dell’offerta dovesse condurre ad un giudizio di verifica dell’offerta complessiva della concorrente, nelle sue molteplici e specifiche componenti, particolarmente attento, articolato, puntuale, comportante anche approfondite valutazioni di tutti gli elementi tecnici, atteso che la Commissione di gara nel provvedimento del 6 aprile 2005 si era limitata a rilevare, senza che venisse indicato alcun tipo di svolta istruttoria e peraltro in modo del tutto apodittico, che "dopo aver attentamente esaminato le giustificazioni fornite dalla Ditta AGES in merito all’offerta economica presentata ritiene le stesse congruenti con l’offerta presentata e pertanto dichiara valida l’offerta presentata dalla Ditta AGES"; che il mero riferimento all’attento esame delle giustificazioni non era sufficiente a dar conto di quanto nella specie espletato, sicchè gli elementi addotti a giustificazione permanevano obiettivamente controversi; che pertanto la stazione appaltante aveva l’obbligo di reiterare il procedimento medesimo alla luce delle indicazioni offerte in motivazione, in particolare procedendo ad attenta verifica, anche d’ordine tecnico, in relazione alle singole giustificazioni proposte dalla AGES .
7.2.Detto ragionamento del TAR non può essere condiviso in quanto da un lato si ritiene che l’offerta presentata dall’aggiudicataria Ages non sia del tutto ingiustificabile e dall’altro si presuppone che l’Amministrazione dovrebbe fornire elementi certi in ordine all’attendibilità dell’offerta presentata da un concorrente per poter esprimere un giudizio di superamento del sospetto di anomalia dell’offerta, mentre deve ritenersi sufficiente un giudizio di ragionevolezza sugli elementi di giustificazione forniti dall’impresa, il che può avvenire anche senza la necessità di ulteriore istruttoria.
Al riguardo si fa presente in primis che la giurisprudenza di questo Consiglio è costante nel ritenere che il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme ed esso costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell'amministrazione, di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto (Sez. IV, n. 435 del 14.2. 2005 e n.3097 dell’8.6.2007; sez. V, n.4856 del 20.9.2005; sez. VI, n.5191 del 7.9 2006).
Inoltre, per quanto riguarda la sufficienza o meno della motivazione sul giudizio di anomalia dell’offerta, il Collegio condivide l’orientamento secondo cui la motivazione viene richiesta rigorosa ed analitica nel caso di giudizio negativo sull’anomalia; in caso, invece, di giudizio positivo, ovvero di valutazione di congruità dell’offerta anomala, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti. Pertanto, il giudizio favorevole di non anomalia dell' offerta in una gara d'appalto non richiede una motivazione puntuale ed analitica, essendo sufficiente anche una motivazione espressa "per relationem" alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste siano a loro volta congrue ed adeguate (sez. IV n.1658 dell’11.4.2007; sez. V, n.5314 del 5.10 2005 e n. 4949 del 23.8.2006 ; sez. VI n.5191 del 7.9.2006).
Nel caso in esame, la commissione giudicatrice si era espressa positivamente "dopo aver attentamente esaminato le giustificazioni fornite dalla Ditta AGES in merito all’offerta economica presentata ritiene le stesse congruenti con l’offerta presentata e pertanto dichiara valida l’offerta presentata dalla Ditta AGES", e ciò costituisce adeguata motivazione essendo state fatte proprie dalla commissione le giustificazioni presentate dalla società Ages.
7.3.D’altra parte, non possono ritenersi inattendibili le giustificazioni fornite da Ages ed in particolare le modalità di calcolo del VRD (Vincolo ricavi distribuzione), debbono ritenersi plausibili, anche in considerazione dell’analogo risultato cui è pervenuto lo stesso perito del Comune ed inoltre il prospettato incremento dell’utenza, in relazione al numero rilevante di abitazioni non ancora allacciate alla rete di distribuzione, tenuto anche conto della vocazione turistica del Comune e dell’incremento della rete di distribuzione effettuato in precedenza, non risulta del tutto ingiustificato.
7.4.E’ inammissibile invece la considerazione della parte appellata in ordine alla ritenuta non congruenza delle risposte presentate nelle giustificazioni da Ages rispetto ai quesiti posti dall’Amministrazione, atteso che tale aspetto non era stato dedotto in primo grado dalla ricorrente originaria ed è stato autonomamente (e perciò ultra petita) in qualche modo considerato dal TAR.
7.5.Così come è inammissibile l’ulteriore rilievo della parte appellata secondo cui, pur ammettendosi che i ricavi netti previsti da Ages sarebbero aumentati in conseguenza degli aumenti di utenza e consumo di gas, comunque sulla base della disciplina prevista dalla delibera dell’AAEG n.170/2004 un aumento di utenza o di vettoriamento di gas non potrebbe incidere sul VRD atteso che un incremento del fatturato in un determinato anno comporterebbe abbassamento delle tariffe nell’anno successivo per compensare lo scostamento del VRD, trattandosi di aspetto non sollevato in primo grado. Comunque quest’ultima disciplina, la cui applicabilità alla gara in esame viene messa in discussione dalla società Ages nella memoria conclusiva, dovrebbe comportare un aumento di utenza o di vettoriamento di gas in ciascuno degli anni di svolgimento del servizio e perciò di introiti, salvo ridimensionamento nell’anno successivo per conseguente abbassamento delle tariffe e così di seguito.
8.Per quanto considerato, gli appelli debbono essere accolti.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, previa riunione, accoglie gli appelli indicati in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza del TAR, respinge il ricorso originario.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio dell’11 Dicembre 2007 con l’intervento dei Signori:
Pres. Sergio Santoro
Cons. Claudio Marchitiello
Cons. Marco Lipari
Cons. Marzio Branca
Cons. Aniello Cerreto Est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Aniello Cerreto F.to Sergio Santoro
IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 20 maggio 2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
p.IL DIRIGENTE
F.to Livia Patroni Griffi