venerdì 30 gennaio 2009

Tar Lazio, Roma, Sez. II Ter, 14 gennaio 2009 n. 162

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 5598/2005 proposto da Financial Services s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Luisa Acciari ed elettivamente domiciliata in Roma, via Dora n. 1 presso lo studio degli avv.ti Vincenzo Cerulli Irelli e Maria Athena Lorizio;

contro
la Provincia di Viterbo, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Teresa Strangola ed elettivamente domiciliata in Roma, via C. Fracassini n. 18 presso lo studio dell’avv. Roberto Venettoni;

per l'annullamento
-del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Viterbo n. 16 del 15 dicembre 2003 con cui è stata pronunciata l’espropriazione delle aree occupate per la realizzazione di varianti stradali nei centri abitati di Vignanello, Vallerano e Canapina;
-di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale,

e per la declaratoria
-della decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e della carenza del potere espropriativo in capo alla Provincia

nonché per la condanna
-dell’amministrazione al risarcimento dei danni ed al pagamento dell’indennità di occupazione legittima, oltre interessi e rivalutazione.

VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Viterbo;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTI gli atti tutti della causa;
Nominato relatore alla pubblica udienza del 24 novembre 2008 il Primo Ref. Daniele Dongiovanni;
Uditi l'avv. Acciari per la ricorrente ed, ai preliminari, l'avv. R. Venettoni, in sostituzione dell’avv. Stringola, per la Provincia resistente;
Considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO
La ricorrente, proprietaria del terreno sito nel Comune di Canepina (foglio 5, particella n. 897 – ex 817/b derivante dalla n. 136), è stata destinataria del decreto di occupazione d’urgenza del predetto immobile disposto dalla Provincia di Viterbo con delibera n. 1058 del 28 agosto 1996.
L’occupazione d’urgenza segue all’approvazione, con delibera della Giunta provinciale n. 1255 del 31 ottobre 1995, del progetto definitivo dei lavori di realizzazione di varianti stradali, che vale come dichiarazione implicita di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera.
In data 12 novembre 1996, l’amministrazione competente si è immessa in possesso e, con decreto n. 16 del 15 dicembre 2003, il Presidente della Provincia di Viterbo ha pronunciato l’espropriazione del terreno della ricorrente a favore dell’amministrazione resistente.
Avverso l’atto da ultimo richiamato, ed ogni altro a questo connesso, presupposto e conseguenziale, ha proposto impugnativa l'interessato, chiedendone l'annullamento, la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni subiti ed il pagamento dell’indennizzo per il periodo di occupazione legittima per il seguente articolato motivo:
- violazione dell’art. 13 della legge n. 2359/1865; carenza di potere per falso ed erroneo presupposto di fatto.
Nella delibera di Giunta provinciale n. 1255 del 31 ottobre 1995 con cui è stato approvato il progetto definitivo dei lavori di realizzazione di varianti stradali (da valere come dichiarazione implicita di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera) non sono stati fissati, in violazione dell’art. 13 della legge n. 2359/1865, i termini di conclusione della procedura espropriativa.
I termini sono stati invece indicati nella delibera n. 1058 del 28 agosto 1996 di immissione in possesso nel terreno di che trattasi ma ciò non vale a sanare l’omissione sopra indicata.
La mancata fissazione dei termini nell’atto che dichiara, seppure implicitamente, la pubblica utilità dell’opera determina che la successiva azione dell’amministrazione è svolta in carenza di potere.
In ogni caso, l’immissione in possesso è avvenuta in data 12 novembre 1996 e, pertanto, il trasferimento della titolarità del terreno alla Provincia di Viterbo, con l’adozione del decreto di esproprio, avrebbe dovuto essere formalizzato entro il 12 novembre 2001 (entro cioè cinque anni dall’immissione in possesso).
Il decreto di esproprio è stato invece adottato il 15 dicembre 2003 e tale provvedimento tardivo non è in grado di sanare ex post la condotta illecita dell’amministrazione resistente.
Da ciò deriva che la ricorrente ha diritto al risarcimento dei danni ed al pagamento dell’indennità relativa al periodo di occupazione legittima (1996-2001).
Con riferimento alla quantificazione del danno risarcibile, deve farsi riferimento al valore di mercato del terreno nella sua connotazione edificatoria come risulta dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Canepina il 12 luglio 2004.
Si è costituita in giudizio la Provincia di Viterbo per resistere al ricorso.
In prossimità della trattazione del merito, le parti hanno depositato memorie.
L’amministrazione resistente, in particolare, non opponendosi alla richiesta risarcitoria, ha quantificato il danno, sulla base di una perizia redatta in data 3 novembre 2008 da esperti esterni incaricati dalla Provincia di Viterbo, in euro 44.772,96 (somma offerta in pagamento alla ricorrente).
La stima suddetta è stata effettuata prendendo come riferimento la destinazione a zona C3 del terreno in argomento (foglio 5 part. 897 della superficie di mq 1776), poi mutata a far data dal 10 gennaio 2001 in zona E2 "agricola".
La ricorrente contesta la quantificazione effettuata dai tecnici e, ritenendo che il terreno in argomento abbia destinazione C5 (edilizia residenziale pubblica) con indice di fabbricabilità di 1,20 mq/mc, misura il danno subito in euro 150mila circa se non addirittura in euro 190mila. In ogni caso, chiede l’espletamento di una CTU per accertare il reale valore di mercato dell’immobile di che trattasi.
Alla pubblica udienza del 24 novembre 2008, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO
1. Per inquadrare la fattispecie sottoposta all’esame del Collegio è necessario, in via preliminare, osservare quanto segue:
- la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza è stata adottata in via implicita con delibera della Giunta provinciale n. 1255 del 31 ottobre 1995;
- il decreto di occupazione d’urgenza è stato emanato con delibera provinciale n. 1058 del 28 agosto 1996 (recante i termini di conclusione della procedura);
- l’immissione in possesso nel terreno della ricorrente (su cui non vi è dubbio che si tratta dell’immobile sito nel Comune di Canepina ed individuato al foglio 5, particella n. 897 – ex 817/b derivante dalla n. 136 – dell’estensione finale di mq. 1776) è avvenuta da parte dell’amministrazione resistente in data 20 novembre 1996;
- il decreto di esproprio è stato invece emanato con decreto del Presidente della Provincia n. 16 del 15 dicembre 2003, ovvero oltre i cinque anni dalla data di immissione in possesso;
- non risulta contestato che l’irreversibile trasformazione del terreno di che trattasi (ovvero la realizzazione della rete viaria) sia avvenuta prima del 2001.
2. Ciò premesso, il Collegio ritiene che la fattispecie in esame debba essere inquadrata nell’ipotesi della c.d. "occupazione acquisitiva" in quanto sorretta da una efficace dichiarazione di pubblica utilità.
Ed invero, sebbene corrisponda al vero che la delibera di approvazione del progetto di opera pubblica approvata il 31 ottobre 1995 non rechi l’indicazione dei termini di conclusione della procedura espropriativa in violazione dell’art. 13 della legge n. 2359/1865, non può dirsi che l’atto sia affetto da nullità e che la successiva azione dell’amministrazione sia stata condotta in carenza di potere.
Il Collegio ritiene infatti di dover aderire ai recenti arresti della giurisprudenza amministrativa secondo cui l'omissione dei termini di inizio e fine dei lavori non determina la nullità ma soltanto l'annullabilità della dichiarazione di pubblica utilità, il che ne impone l’impugnazione nei termini decadenziali di cui all’art. 21 della legge n. 1034/1971 (cfr Cons. St., Ad. Plenaria, n. 4/2003 e, più di recente, TAR Lazio, sez. II, n. 6377/2008).
Del resto, tale principio pare essere stato recepito dallo stesso legislatore il quale, con l'art. 21 septies l. n. 241 del 1990, aggiunto dall'art. 14 l. n. 15 del 2005, nell'introdurre la categoria normativa della nullità del provvedimento amministrativo, ha ricondotto a tale radicale patologia solo il difetto assoluto di attribuzione, che evoca la c.d. "carenza in astratto del potere", cioè la mancanza in astratto della norma giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo, con ciò facendo implicitamente rientrare nell'area della annullabilità per violazione di legge la categoria della c.d. nullità per carenza di potere in concreto che le sezioni unite della Corte di Cassazione avevano coniato proprio con riferimento ai procedimenti espropriativi nei quali l’amministrazione avesse omesso di fissare i termini di cui all'art. 13 l. n. 2359 del 1865 (cfr TAR Campania, sez. V, n. 5025/2005).
Sotto altro aspetto, anche la Corte regolatrice della giurisdizione, seppure in via indiretta (nel pronunciarsi cioè sull’individuazione del giudice competente a conoscere di una controversia in materia espropriativa), sembra aderire a tale impostazione quando afferma che la giurisdizione amministrativa in materia di procedimenti amministrativi non può venire meno per il fatto che uno dei vizi attribuiti alla dichiarazione di p.u., necessario presupposto della procedura espropriativa, sia ravvisato nella mancanza o incompleta indicazione dei termini previsti dall'art. 13 l. n. 2359 del 1865 atteso che tali situazioni sono dedotte per dimostrare (nel merito) alcune delle ragioni della prospettata invalidità di ciascuno di detti atti ed ottenere l'annullamento. Per cui, anche con riguardo a questo profilo, la posizione giuridica dedotta in giudizio deriva dall'esercizio illegittimo del potere da parte della p.a., con la conseguenza che in tal caso spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l'ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall'esercizio illegittimo del potere ablativo (cfr Cass. Civ., SS.UU., n. 2765/2008).
Ora, non essendo stata impugnata nei termini di rito, la dichiarazione implicita di pubblica utilità, seppure invalida in ragione della mancata indicazione dei termini di cui all’art. 13 della legge 2359/1865, è comunque efficace ed ha sorretto, in ragione della sua inoppugnabilità, la successiva azione amministrativa che ha portato all’occupazione d’urgenza del terreno; comportamento che, pertanto, deve ritenersi legittimo fino alla scadenza dei 5 anni dalla data di immissione in possesso da parte della Provincia (ovvero il 20 novembre 2001).
3. Così ricostruita la fattispecie e ritenendo che non sussistano dubbi sulla giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alla domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente conseguente all’ipotesi ricondotta nella c.d. "occupazione acquisitiva", pur quando l’irreversibile trasformazione del terreno è avvenuta nel periodo di occupazione legittima (tra le più recenti ed esaustive, Cons. St., Ad. Pl., n. 9 del 30 luglio 2007, n. 12 del 22 ottobre 2007; sez. IV, 27 giugno 2007 n. 3752, 16 novembre 2007, n. 5830 e 30 novembre 2007, n. 6124),
va altresì specificato che mentre la distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa (quella realizzata in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità) ha perso di significato sia con riferimento alla giurisdizione (nel senso che residuano al giudice ordinario le sole ipotesi in cui ab origine manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera) che alla decorrenza del termine di prescrizione trattandosi nei due casi di un illecito permanente come affermato dalla più recente giurisprudenza amministrativa (aderendo alle argomentazioni svolte in più occasioni dalla Corte Europea dei diritti umani e dalle previsioni contenute nell’art. 43 del DPR n. 327/2001 - di recente, cit. Cons. St., sez. IV, 27 giugno 2007 n. 3752, 16 novembre 2007, n. 5830 e 30 novembre 2007, n. 6124), l’unico elemento di differenziazione ancora esistente riguarda invero l’individuazione del dies a quo di commissione dell’illecito posto che, in caso di occupazione usurpativa, esso va fatto decorrere dal momento dell’immissione in possesso da parte dell’amministrazione mentre, in caso di occupazione appropriativa, dalla scadenza del termine di occupazione legittima del terreno (ciò rileva al fine di individuare il momento in cui misurare il valore venale ai fini della quantificazione del risarcimento del danno).
4. Ciò posto e considerato che il decreto di esproprio del dicembre 2003 deve essere annullato in quanto adottato una volta scaduti i termini perentori fissati negli atti della procedura espropriativa (con ciò violando l’art. 13 della legge n. 2359/1865), può passarsi ad esaminare la richiesta risarcitoria proposta dalla ricorrente.
Posto che, nel caso di specie, non si rilevano dubbi sulla sussistenza di un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale della Provincia resistente, va, al riguardo, precisato che, rispetto alla quantificazione del danno effettuata dalla Provincia resistente (pari ad euro 44.772,96), la ricorrente non concorda sull’importo predetto ritenendo che i parametri di riferimento siano errati (con riferimento all’individuazione del terreno, alla destinazione urbanistica e allo stesso valore venale del bene).
In ragione di ciò, il Collegio non può che disporre una consulenza tecnica d’ufficio che faccia chiarezza sui punti controversi tra le parti, secondo quanto specificato nel prosieguo.
5. Il Collegio, invero, prima di disporre la predetta CTU, deve farsi carico di risolvere, in ragione dell’annullamento del decreto di esproprio del 2003, la questione relativa alla titolarità del terreno in argomento, pur se l’amministrazione non ha invocato l’art. 43 del DPR n. 327/2001 (verosimilmente per la sussistenza del decreto di esproprio, ora annullato).
Ed invero, anche in assenza della predetta invocazione, il Collegio ritiene comunque di doverne suggerire l’applicazione nell’esercizio dei poteri previsti dall’art. 35 del D.lgs n. 80/98.
Del resto, l’art. 43 del T.U. delle espropriazioni per pubblica utilità, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, applicabile anche alle occupazioni sine titulo già sussistenti alla data di entrata in vigore del citato TU delle espropriazioni (cfr Cons. St., Ad Pl., n. 2/2005 e cit. sez. IV, n. 3752/2007 e 2582/2007) preclude all’Amministrazione di diventare proprietaria di un bene in assenza di un titolo previsto dalla legge. Infatti, secondo tale disposizione, l’Amministrazione può divenire proprietaria al termine del procedimento espropriativo, che si conclude sul piano fisiologico con il decreto di esproprio o con la cessione del bene espropriando ovvero, quando vi è una patologia, e il bene è stato "modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento", con l’emissione del decreto di acquisizione ai sensi dell’art. 43 (tertium non datur).
Il testo e la ratio del citato art. 43 del T.U. espropriazione ribadiscono quindi il principio per il quale, nel caso di occupazione sine titulo, vi è un illecito da cui consegue che l’autore sia tenuto a restituire il suolo ed a risarcire il danno cagionato, salvo il potere dell’Amministrazione di fare venire meno l’obbligo di restituzione attraverso l’adozione dell’atto di acquisizione del bene al proprio patrimonio posto che l’irreversibile trasformazione del fondo non ha determinato alcun trasferimento di proprietà in capo all’ente pubblico.
6. In sintesi, quindi, la Sezione, in applicazione dell’art. 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998, ritiene di dover disporre quanto segue:
a) entro il termine di sessanta giorni (decorrente dalla comunicazione o dalla notifica della presente sentenza), la Provincia di Viterbo e la ricorrente potranno addivenire ad un accordo in base al quale la proprietà dell’immobile sia trasferita all’ente locale e all’interessato sia corrisposta la somma specificamente concordata, a titolo di risarcimento danni e di indennizzo per il periodo di occupazione legittima;
b) ove tale accordo non sia raggiunto entro il suddetto termine, la Provincia di Viterbo – entro i successivi sessanta giorni – potrà emettere un formale e motivato decreto, con cui disporre l’acquisizione delle aree al suo patrimonio indisponibile, ai sensi dell’art. 43 del testo unico (in applicazione dell’art. 2058 c.c., sarebbe infatti contrario all’interesse pubblico sottrarre alla collettività l’opera pubblica ivi costruita ed in uso da molti anni). In questo caso, la Provincia di Viterbo, ai sensi dell’art. 186 bis c.p.c. richiamato dall’art. 8, comma 2, della legge n. 205/2000, dovrà corrispondere in via provvisoria la somma di euro 44.772,96 individuata sulla base della perizia redatta in data 3 novembre 2008 da esperti esterni incaricati dall’amministrazione resistente.
La quantificazione in via definitiva del danno sarà determinata, in caso di mancato accordo tra le parti, attraverso l’espletamento di una CTU la cui nomina dovrà essere sollecitata, una volta trascorsi i termini suddetti, su istanza della ricorrente rivolta al giudice relatore della causa.
Si segnala sin d’ora che, in caso di mancato accordo sulle pretese patrimoniali avanzate dalla ricorrente, la controversia relativa alla richiesta di indennizzo per il periodo di occupazione legittima dell’area (1996-2001), pure richiesta dalla ricorrente, non potrà essere conosciuta dal giudice amministrativo sussistendo sul punto la giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 34, comma 3 lett. b), del D.lgs n. 80/98 come modificato dall’art. 7 della legge n. 205/2000 (per tutte, Cass. civ., SS.UU., n. 15471/2003).
7. In conclusione, pur non definitivamente pronunciando, il ricorso va accolto con conseguente annullamento del decreto di esproprio impugnato.
Va, altresì, accolta la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente nei sensi di cui al punto precedente.
8. Le spese di giudizio possono essere compensate in ragione della condotta tenuta dall’amministrazione resistente nella vicenda contenziosa.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. Seconda Ter, non definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Condanna l’amministrazione resistente al risarcimento del danno causato alla ricorrente con i criteri e le modalità precisati in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 24 novembre 2008, con l'intervento dei magistrati:
Michele Perrelli - Presidente
Antonio Vinciguerra – Componente
Daniele Dongiovanni – Componente est.
Depositata in Segreteria in data 14 gennaio 2009.

mercoledì 21 gennaio 2009

TAR Veneto, Sez. III, 2 gennaio 2009 n. 6

Sent. n. 6/09

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Angelo De Zotti Presidente
Stefano Mielli Referendario
Marina Perrelli Referendario, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi n. 1614/07 e 1615/07, il primo proposto da Stefania s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e il secondo, proposto da Stefania s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, ed Immobiliare Silvia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, tutte rappresentate e difese dall’avv.to Lucio Motta, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. Veneto, giusta art. 35 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054;
CONTRO
Il Comune di San Bonifacio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Fantin, Francesco Bettagno e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia – Mestre, via Cavallotti n. 22;
PER L’ANNULLAMENTO
quanto al ricorso n. 1614/07:
dell’ordinanza n. 90 del 16.7.2007, notificata il 24.7.2007, con la quale il Dirigente dell’area Affari Generali del Comune di San Bonifacio ha ordinato la sospensione dell’autorizzazione n. 2340 del 24.7.1999 relativa alle piscine natatorie in parco acquatico, dell’autorizzazione n. 208 del 19.10.2006 relativa alla somministrazione alimenti e bevande tipo ristorante, all’autorizzazione n. 209 del 19.10.2006 relativa alla somministrazione di alimenti e bevande tipo bar, tutte intestate alla società Stefania a r.l., nonché di tutti gli atti connessi, preordinati e conseguenti e, in particolare, del provvedimento n. 20890 del 12.7.2004, oggetto di autonoma impugnativa;
quanto al ricorso n. 1615/07:
del provvedimento n. 20890 del 12.7.2007, notificato il 25.7.2007, con il quale il Dirigente dell’Area Gestione del Territorio e Tutela dell’Ambiente del Comune di San Bonifacio ha dichiarato inagibile l’impianto sportivo denominato "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella", sito in località Villabella di San Bonifacio, disponendo nel contempo l’invio del provvedimento agli enti fornitori del servizio quali: UNI.CO.GE. per la fornitura di gas, ENEL per la fornitura di energia elettrica, TELECOM ITALIA per la fornitura del servizio di telefonia, il servizio manutenzioni del Comune di San Bonifacio per l’acquedotto e la fognatura, affinché provvedano ad interrompere l’erogazione dei servizi alla struttura dichiarata inagibile.
Visti i ricorsi, entrambi notificati il 13 agosto 2007 e depositati presso la Segreteria il 22 agosto 2007, con i relativi allegati;
Viste le costituzioni in giudizio dell’Amministrazione comunale resistente, depositate il 21 settembre 2007 presso la Segreteria;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti di causa;
Vista l’ordinanza n. 655 del 24.9.2007 con la quale il Collegio ha parzialmente accolto l’istanza di misure cautelari con conseguente sospensione dell’efficacia del provvedimento n. 20890 del 12.7.2004, fatta eccezione che per la "piscina ad onde";
Vista l’ordinanza n. 656 del 24.9.2007 con la quale il Collegio ha accolto l’istanza di misure cautelari con conseguente sospensione dell’efficacia dell’ordinanza n. 90 del 16.7.2007;
Uditi nella pubblica udienza del 16 ottobre 2008 - relatore il Referendario M. Perrelli - l’avv. Lucio Motta per la parte ricorrente e l’avv.to Coronin per l’amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il 12.7.2007 con ordinanza n. 20890 il Dirigente dell’Area Gestione del Territorio e Tutela dell’Ambiente del Comune di San Bonifacio dichiarava l’inagibilità del "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella", notificando il detto provvedimento alla società Stefania a r.l., in qualità di proprietaria dell’azienda.
La predetta dichiarazione di inagibilità si fonda sul verbale di sopralluogo effettuato il 29.5.2007 dai tecnici del Comune di San Bonifacio presso il predetto Parco Acquatico e sulle irregolarità amministrative accertate in tale occasione.
In particolare i tecnici del Comune di San Bonifacio riscontravano la mancata richiesta e il conseguente mancato rilascio del certificato di agibilità per il blocco servizi ubicato al di sotto della "piscina ad onde" e costruito in forza della concessione edilizia n. 7338 del 9.12.1993.
La mancanza del certificato di agibilità, secondo il Comune procedente, oltre a rilevare ex se, determinava inoltre l’inefficacia della quantificazione della capacità ricettiva dell’impianto sportivo, individuata il 4.7.2000 dalla Commissione Provinciale Pubblici Spettacoli in 2500 persone proprio in ragione della dotazione complessiva dei servizi igienici del Parco Acquatico, tenendo quindi conto sia dei servizi costruiti in forza delle concessioni edilizie n. 4425 del 15.6.1983 e n. 5759 del 13.7.1987, già regolarmente provvisti di agibilità, sia di quelli realizzati in base alla richiamata concessione n. 7338 del 9.12.1993, sprovvisti, invece, dell’agibilità.
Inoltre, in occasione del medesimo sopralluogo, veniva riscontrata la presenza all’interno del Parco Acquatico di un fabbricato in muratura ad uso biglietteria, di un chiosco adibito a "bar Motta", di un cancello carraio e di una struttura in pali di ferro, imbullonati a terra con telo impermeabile su tutti i lati, adibita a deposito sdraio, tutte opere realizzate in assenza dei prescritti permessi di costruire, nonché evidenziate ulteriori difformità edilizie relative ad un campo di basket e di beach volley.
Sulla scorta delle predette circostanze e dell’ordinanza dichiarativa dell’inagibilità, il Comune di San Bonifacio con il provvedimento n. 90 del 16.7.2007 – autonomamente impugnato- ordinava, altresì, la sospensione delle autorizzazioni n. 2340 del 24.7.1999 relativa alle piscine natatorie, n. 208 del 19.10.2006 avente ad oggetto l’attività di somministrazione di alimenti e bevande tipo ristorante e n. 209 del 19.10.2006 avente ad oggetto l’attività di somministrazione e bevande tipo bar .
Con il ricorso rubricato al n. 1615/07 la società Stefania a r.l., in qualità di proprietaria dell’azienda denominata "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella", e la società Immobiliare Silvia a r.l., in qualità di proprietaria del compendio immobiliare sul quale sorge il predetto impianto, lamentano l’illegittimità del provvedimento n. 20890 del 12.7.2007 per violazione del principio di proporzionalità e di ragionevolezza, poiché la mancanza di agibilità dei servizi posti sotto la "piscina ad onde" e la presenza di fabbricati abusivi - specificatamente individuati nell’ordinanza gravata- avrebbero potuto comportare la dichiarazione di inagibilità solo delle dette singole strutture e non quella dell’intero parco acquatico ovvero una limitazione della capacità ricettiva dell’impianto sportivo in ragione dell’incidenza dell’ulteriore blocco di servizi, sprovvisto di agibilità, sul numero di persone ammesse ad utilizzarlo.
La limitazione della dichiarazione di inagibilità alle sole strutture prive dei requisiti prescritti dalla legge, secondo la prospettazione delle società ricorrenti, sarebbe, inoltre, stata maggiormente coerente alle verifiche svolte in sede di voltura delle autorizzazioni amministrative nell’anno 2006 , a seguito dell’acquisto dell’azienda da parte della Stefania s.r.l. che prima ne era solo conduttrice, e alle attività espletate dalla Commissione Provinciale Pubblici Spettacoli in occasione della determinazione della capacità ricettiva del parco.
Le società ricorrenti hanno, altresì, evidenziato che la Stefania s.r.l., quale proprietaria dell’azienda, aveva già provveduto prima di depositare il ricorso ad inoltrare la domanda per ottenere l’agibilità per il blocco di servizi igienici posti al di sotto dello scivolo della "piscina ad onde", nonché le domande di sanatoria relative al fabbricato adibito a biglietteria e al cancello carraio, avendo, al contrario, provveduto a rimuovere volontariamente il chiosco abusivo e la struttura in pali di ferro imbullonati a terra. Infine le società ricorrenti hanno specificato che la proprietà dell’intera area sulla quale sorge il parco acquatico è della Immobiliare Silvia s.r.l., ivi comprese le aree adibite a parcheggio, e che proprio tale ultima società è altresì la dante causa della società Stefania a r.l. nella vendita dell’azienda avente ad oggetto il parco di divertimenti (contratto di acquisto di azienda del 26.6.2000). Sulla scorta delle predette argomentazioni le società ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del provvedimento gravato e la condanna dell’amministrazione resistente al risarcimento dei danni subiti a causa del medesimo, danni rappresentati dalla compromissione dell’attività imprenditoriale e dal mancato guadagno conseguente alla chiusura del parco acquatico nel corso della stagione estiva, ovverossia nel momento di massima attività in considerazione della tipologia di svaghi offerti dal detto impianto sportivo.
Con il ricorso rubricato n. 1614/07 la società Stefania a r.l., in qualità di titolare delle autorizzazioni sospese con l’ordinanza n. 90 del 16.7.2007, ne lamenta l’illegittimità per vizi derivati dal provvedimento n. 20890 del 12.7.2007, nonché per violazione del principio di proporzionalità e di ragionevolezza poiché i fatti posti a base della dichiarazione di inagibilità avrebbero potuto tutt’al più comportare una limitazione delle autorizzazioni sotto il profilo della capacità ricettiva e non la loro sospensione. Anche con tale ricorso la società ricorrente ha chiesto unitamente all’annullamento dell’ordinanza impugnata la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento dei danni conseguenti al detto provvedimento, danni rappresentati dall’impossibilità per l’utenza di fruire dell’impianto sportivo e delle strutture di ristorazione annesse e dalla compromissione dell’attività imprenditoriale a causa della chiusura nel periodo di massima attività e dal conseguente mancato guadagno corrispondente a circa 30.000,00/50.000,00 euro al giorno.
Il Comune di San Bonifacio, ritualmente costituitosi in giudizio in persona del Sindaco pro tempore, ha concluso chiedendo la reiezione dei ricorsi. L’amministrazione resistente, dato atto che lo stato edilizio riscontrato nel corso del sopralluogo eseguito il 29.5.2007 unitamente all’assenza delle certificazioni di agibilità relative al blocco dei servizi posti sotto la "piscina ad onde" non consentivano di garantire le condizioni di sicurezza, igiene e salubrità necessarie per il normale utilizzo della struttura sportiva, ha evidenziato l’unitarietà del parco acquatico e delle connesse attività di ristorazione al fine di escludere la possibilità di adottare provvedimenti atti ad impedire l’uso solo delle strutture non conformi alla normativa vigente.
Inoltre, l’amministrazione comunale ha evidenziato che solo dopo la notifica dei provvedimenti impugnati la società Stefania a r.l. provvedeva a richiedere in data 23.7.2007 il rilascio del certificato di agibilità per le opere sottostanti "la piscina ad onde" ed i permessi in sanatoria per il fabbricato adibito ad uso biglietteria e per il cancello carraio. Peraltro il Comune di San Bonifacio ha dato atto che sino al 20.8.2007 il parco è rimasto aperto e funzionante, nonostante i provvedimenti impugnati, ed è stato chiuso in forza dell’ordinanza n. 98 del 6.8.2007 con la quale il Comune ha posto il divieto di balneazione sull’intera struttura a causa delle gravi alterazioni batteriologiche delle acque accertate dall’U.L.S.S. competente.
Con le ordinanze n. 655 e 656 del 24.9.2007 il Collegio, ritenendo che l’inagibilità riguardasse specifici edifici dotati di autonomia fisica e funzionale, ha accolto parzialmente la domanda di misure cautelari relativa al provvedimento n. 20890 del 12.7.2007 sospendendone l’efficacia tranne che per la struttura "piscina ad onde", mentre ha sospeso integralmente l’efficacia dell’ordinanza n. 90 del 16.7.2007. Alla pubblica udienza del 16 ottobre 2008 il Collegio ha trattenuto le cause per la decisione.
DIRITTO
In via preliminare, va disposta la riunione dei ricorsi, stante la loro evidente connessione soggettiva ed oggettiva.
Il Collegio ritiene opportuno esaminare con priorità il ricorso n. 1615/07, avente ad oggetto l’ordinanza n. 2890 del 12.7.2007 con la quale è stata dichiarata l’inagibilità del "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella", poiché tale provvedimento è atto presupposto dell’ordinanza n. 90 del 16.7.2007 – impugnata con il ricorso n. 1614/07- con la quale sono state sospese le autorizzazioni di cui è titolare la società Stefania a r.l..
Il ricorso è parzialmente fondato e meritevole di accoglimento per le motivazioni e nei limiti di seguito specificati.
E’ pacifico, in quanto risultante dal verbale di sopralluogo del 29.5.2007 e non contestato dalle società ricorrenti, che all’interno del "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella" vi fossero alcuni fabbricati – un immobile in muratura adibito ad uso biglietteria, un chiosco utilizzato come "bar Motta", un cancello carraio, una struttura in pali di ferro imbullonati a terra con telo impermeabile su tutti i lati adibita a deposito sdraio- costruiti in assenza delle prescritte autorizzazioni edilizie e che il blocco dei servizi, ubicato al di sotto della "piscina ad onde" e realizzato in forza della concessione edilizia n. 7338 del 9.12.1993, non fosse munito il certificato di agibilità.
In particolare dalla relazione tecnica redatta in data 13.8.2007, a seguito della richiesta del certificato di agibilità da parte della Stefania a r.l., emerge che "…gli accessi sotto la piscina ad onde erano chiusi, ed a lato degli stessi erano presenti alcuni telai per porte, pronti per il montaggio; all’interno del blocco servizi nord c’è una scala che scende ai servizi, completamente bagnata dall’acqua che filtra abbondantemente dal soffitto e che rende scivolosi i gradini; mancano alcune porte interne; mancano le protezioni dei tubi di condotta dell’acqua calda; mancano le scatole di protezione elettrica e ci sono fili non protetti. Tale circostanza risulta particolarmente grave in quanto le infiltrazioni d’acqua dal soffitto interferiscono con il passaggio delle derivazioni elettriche. La messa in funzione della corrente potrebbe generare il rischio di folgorazione: sulla parete opposta alle porte di ingresso ai servizi è stato ricavato uno spazio aggiuntivo, rispetto a quello descritto dalle planimetrie catastali allegate all’istanza di agibilità…".
Orbene l’amministrazione comunale, preso atto della presenza all’interno del parco di alcuni fabbricati costruiti senza i prescritti permessi edilizi e soprattutto dell’assenza delle certificazioni di agibilità relativamente al blocco servizi ubicato al di sotto della "piscina ad onde" con conseguente inefficacia della quantificazione della capacità ricettiva di 2500 persone dell’impianto sportivo, come individuata dalla Commissione Provinciale Pubblici Spettacoli il 4.7.2000, dichiarava inagibile il "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella", disponendo altresì la comunicazione del provvedimento agli enti fornitori di servizi affinché provvedessero ad interrompere l’erogazione degli stessi.
Il Collegio ritiene di dover confermare nel merito quanto già statuito in sede cautelare e, quindi, di dover dichiarare illegittimo il provvedimento gravato nella parte in cui non limita la dichiarazione di inagibilità ai soli fabbricati costruiti in assenza dei permessi prescritti dalla legge e al blocco dei servizi ubicato sotto la "piscina ad onde", sprovvisto di certificazione di agibilità, ma la estende all’intera struttura denominata "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella".
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa dal quale il Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi, l’autorità procedente, anche qualora eserciti un potere di natura ampiamente discrezionale, nell’emanare il provvedimento, per quanto attiene al suo contenuto intrinseco, è sempre vincolata al rispetto dei principi di utilità e di congruità del mezzo prescelto con riferimento allo scopo dichiarato, nonché ai principi di proporzionalità e coerenza tra le circostanze di fatto e il contenuto dell'atto e a quello del minor sacrificio possibile per i privati destinatari del provvedimento idoneo ad incidere negativamente sulla loro sfera giuridica (cfr. Cons. Stato, 23.8.2000, n. 4568).
Per questi motivi, in linea di massima, l'adozione di provvedimenti quali quello oggetto del presente giudizio deve essere supportata da adeguati ed idonei pareri di organi tecnici, in modo da conciliare i primari e fondamentali interessi pubblici alla sicurezza, alla igiene e alla salubrità con l’interesse del privato all’esercizio della propria attività imprenditoriale nel rispetto del principio della libertà di iniziativa economica.
Sulla base dei cennati principi, merita allora di essere evidenziato che dalla lettura del verbale di sopralluogo eseguito dal personale dell’Ufficio tecnico del Comune di San Bonifacio il 29.5.2007 e anche dalla lettura del sopralluogo eseguito il 13.8.2007, in occasione della richiesta di agibilità per il blocco dei servizi posto al di sotto della "piscina ad onde", si desume che la condizione di serio pericolo che avrebbe potuto legittimare gli interventi dell'amministrazione comunale finalizzati all’inagibilità del parco concerneva prevalentemente tale ultimo blocco di servizi.
Quindi, solo in relazione alla predetta "piscina ad onde" sussisteva nell’ipotesi di un utilizzo dei servizi ubicati al di sotto della stessa un pericolo per la sicurezza, per l’igiene e per la salubrità pubblica giacché, considerate le condizioni precarie dei luoghi e le copiose infiltrazioni di acqua, vi era il rischio di folgorazione per l’interazione con l’impianto elettrico e il rischio di cadute e di altri incidenti per la clientela che ne avesse usufruito a causa delle scale bagnate, degli infissi ancora non installati, della mancanza di alcune porte interne, nonché delle scatole di protezione elettrica.
Dalla lettura dei citati verbali e degli accertamenti posti a fondamento del provvedimento impugnato si evince, inoltre, che alcuni fabbricati, tra i quali quello adibito ad uso biglietteria ed un chiosco adibito a "bar Motta", erano stati costruiti senza i permessi prescritti dalla legge. E’ allora evidente che non esistevano i presupposti, rappresentati da situazione di pericolo per la sicurezza pubblica, per la igiene e la salubrità degli utenti, tali da giustificare un provvedimento dichiarativo dell’inagibilità dell’intero parco.
Il rispetto dei principi di proporzionalità e di coerenza tra le circostanze di fatto ed il contenuto dell’atto impugnato avrebbero potuto dare adeguata giustificazione del potere esercitato dall’amministrazione comunale, nell'intento affermato di salvaguardare l’incolumità, l’igiene e la salubrità dei clienti del parco acquatico, per la dichiarazione di inagibilità del blocco dei servizi, ubicato al di sotto della "piscina ad onde", nonché degli ulteriori fabbricati costruiti senza i relativi permessi prescritti dalla legge, ma non, invece, per quella dell’intera struttura. Né, infine, può essere condivisa la prospettazione della difesa dell’amministrazione resistente, secondo la quale l’estensione del provvedimento impugnato sarebbe stata determinata dall’unitarietà e dalla conseguente inscindibilità delle attrazioni presenti nell’azienda "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella" di proprietà della società Stefania a r.l. e dalla inefficacia della quantificazione della capacità ricettiva dell’impianto, come individuata dalla Commissione Provinciale Pubblici Spettacoli del 4.7.2000 in ragione del numero di servizi igienici esistenti.
La circostanza che vi siano due unici accessi al parco e che una volta entrati, previo pagamento di un unico biglietto, il cliente possa utilizzare tutte le attrazioni presenti all’interno dell’impianto sportivo senza alcuna limitazione, non implica, infatti, a differenza di quanto sostenuto dall’amministrazione resistente, l’impossibilità di chiudere una delle piscine lasciando in funzione le altre. Del resto l’unitarietà nel caso di specie è intesa sotto il profilo economico della fruibilità di più attrazioni e di più servizi di bar e di ristorazione ubicati all’interno della stessa area attraverso il pagamento di un unico biglietto, ma non determina una inscindibilità fisica delle predette strutture che rimangono utilizzabili le une indipendentemente dalle altre.
Inoltre, secondo l’amministrazione comunale, proprio la mancanza delle certificazioni di agibilità relative al blocco dei servizi igienici posti al di sotto della "piscina ad onde" avrebbe determinato l’inefficacia della quantificazione della capacità ricettiva operata dalla Commissione Provinciale Pubblici Spettacoli con la conseguente necessità di impedire l’accesso all’intera struttura per motivi igienici e di salubrità.
Sennonché, anche qualora si accedesse alla tesi dell’amministrazione comunale della inefficacia derivata della quantificazione della capacità ricettiva, appare evidente che il Comune avrebbe potuto stabilire l’incidenza del predetto blocco di sevizi sprovvisto di agibilità sulla totale capacità ricettiva e, conseguentemente, emettere un provvedimento volto a consentire l’accesso al parco di una quantità di persone corrispondente alla capacità dei servizi igienici provvisti di agibilità.
Nei limiti delle predette argomentazioni deve, pertanto, essere accolto il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento n. 20890 del 12.7.2007 nella parte in cui non circoscrive la dichiarazione di inagibilità alla "piscina ad onde" e ai fabbricati nello stesso specificamente individuati, costruiti senza i permessi edilizi prescritti.
Infine, con riguardo alla parte legittimamente emessa del provvedimento gravato deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere poiché dalla documentazione depositata il 23.9.2008 da parte ricorrente si evince che il Comune di San Bonifacio ha rilasciato il 20.11.2007 il certificato di agibilità relativo alle "opere interne sottostanti l’acquascivolo" realizzate in forza della concessione edilizia n. 7338 del 9.12.1993; il 26.5.2008 ha rilasciato l’autorizzazione unica per insediamenti produttivi per l’installazione del cancello carraio e il successivo 9.7.2008 analoga autorizzazione per il fabbricato ad uso biglietteria, mentre il chiosco adibito a "bar Motta" e la struttura con pali metallici infissi al suolo sono stati volontariamente rimossi dalla società Stefania a r.l..
Passando ora ad esaminare il ricorso n. 1614/07 il Collegio ne ravvisa la fondatezza con conseguente annullamento dell’ordinanza n. 90 del 16.7.2007.
L’ordinanza impugnata, infatti, ha come atto presupposto la dichiarazione di inagibilità dell’intero parco acquatico disposta con il provvedimento n. 20890 del 12.7.2007, come si evince chiaramente sia dal fatto che il testo di tale ultimo provvedimento è integralmente richiamato nel preambolo, sia dalla considerazione che "in conseguenza della dichiarazione di inagibilità del complesso sportivo..sono venute meno le condizioni indispensabili previste per il rilascio delle autorizzazioni riconducibili proprio al parere espresso dalla Commissione Provinciale di Vigilanza sui locali di Pubblico Spettacolo per cui conseguentemente vengono meno le condizioni per la prosecuzione dell’attività oggetto delle autorizzazioni" relative alle piscine natatorie e all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande tipo bar e tipo ristorante.
Anche in tale caso il Collegio ritiene di dovere confermare la valutazione già espressa in sede cautelare, poiché una volta dichiarata l’illegittimità parziale del provvedimento n. 20890 del 12.7.2007 per violazione del principio di proporzionalità e di ragionevolezza nella parte in cui non limita la dichiarazione di inagibilità alla "piscina ad onde" e ai fabbricati costruiti senza i prescritti permessi edilizi, conseguenza logica è l’inefficacia derivata anche dell’ordinanza di sospensione delle ricordate autorizzazioni di cui è titolare la società Stefania a r.l..
Devono, infine, essere respinte le domande di risarcimento danni avanzate dalle società ricorrenti in entrambi i ricorsi poiché in parte infondate e in parte non provate. In particolare per quanto concerne la dedotta voce di danno riguardante la privazione della clientela della possibilità di usufruire del parco acquatico merita di essere evidenziato che non si tratta di situazione soggettiva di cui le società ricorrenti sono titolari né in proprio né in quanto enti esponenziali della collettività. Per quanto, invece, attiene al danno conseguente alla illegittima chiusura dell’intera struttura e alla connessa sospensione delle autorizzazioni per le piscine natatorie e per l’attività di somministrazione di alimenti e bevande tipo bar e tipo ristorante occorre, in primis, precisare che il parco acquatico è stato aperto con certezza sino al 20.8.2007 e che questo Tribunale con ordinanza del 24.9.2007 ha accolto le domande di misure cautelari, sospendendo parzialmente l’efficacia del provvedimento di inagibilità, fatta eccezione per la sola "piscina ad onde", ed integralmente l’efficacia del provvedimento di sospensione delle autorizzazioni.
Tanto premesso va allora evidenziato che sulla scorta della documentazione prodotta non vi è certezza in ordine al fatto che il parco acquatico sia stato chiuso in forza dei provvedimenti impugnati e non piuttosto dell’ordinanza n. 98 del 6.8.2007, fondata sulla presenza di alterazioni batteriologiche dell’acqua, e non impugnata nei presenti giudizi. Infine le società ricorrenti per il periodo di chiusura intercorrente tra il 20.8.2007 e il 24.9.2007 non hanno prodotto alcun documento o relazione atta a comprovare l’ammontare del danno lamentato, essendosi solo limitate ad affermare un ammontare presuntivo delle entrate (30.000,00/50.000,00 al giorno) senza però dimostrarlo in alcun modo, ad esempio attraverso il deposito di libri contabili, fatture ed altri documenti fiscali. Quindi ai sensi dell’art. 2697 c.c. non hanno assolto all’onere probatorio su di loro gravante.
Appaiono sussistere, infine, giustificati motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso n. 1615/07, per compensare le spese di lite in ragione di 1/3 tra le parti, mentre i restanti 2/3 seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Terza Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in premessa:
accoglie parzialmente il ricorso n. 1615/07 con conseguente annullamento del provvedimento n. 20890 del 12.7.2007 nella parte in cui estende la dichiarazione di inagibilità all’intero "Parco Acquatico – Sporting Club Villabella" e non la limita alla "piscina ad onde" e ai fabbricati realizzati senza i permessi prescritti dalla legge e specificamente indicati in parte motiva;
dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla parte del provvedimento n. 20890 del 12.7.2007 ritenuta legittima a seguito del rilascio dei permessi in sanatoria e del certificato di agibilità specificamente indicati in parte motiva;
accoglie il ricorso n. 1614/07 con conseguente annullamento dell’ordinanza n. 90 del 16.7.2007;
rigetta le domande di risarcimento dei danni.
Liquida le spese di lite in complessivi euro 6.000,000 di cui euro 500,00 per spese, e la restante parte per diritti ed onorari, oltre IVA e CPA. Compensa tra le parti le spese di lite in ragione di 1/3 e pone i restanti 2/3 (euro 4000,00 oltre IVA e CPA) a carico dell’amministrazione resistente in favore delle società ricorrenti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 16 ottobre 2008.
Il Presidente L’Estensore
Depositata in Segreteria in data 2 gennaio 2009.

martedì 20 gennaio 2009

Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, 23 dicembre 2008 n. 30254

…omissis…

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - I fatti che hanno dato luogo al giudizio, iniziato davanti al TAR per la Lombardia sezione staccata di Brescia, si possono così riassumere.
2.1. - La Provincia di Mantova, con delibera di giunta 30.4.1999 n. 119, approva il progetto esecutivo della circonvallazione di Medole, ne dichiara la pubblica utilità e fissa il termine di cinque anni, decorrenti dalla data della delibera, per concludere i lavori ed il procedimento di espropriazione.
Seguono, il 18.12.2000, ì decreti di occupazione di urgenza; il 26.10.2001, l'immissione in possesso delle aree; il 6.3.2001 ed il 6.12.2002 la determinazione delle dovute indennità provvisoria e definitiva.
2.2. - Marino Gatti, con il ricorso 1284/2000, unitamente ad altre parti, impugna i decreti di occupazione.
Il TAR dispone una consulenza tecnica per accertare gli eventuali danni arrecati alle aziende delle parti e la possibilità di seguire un percorso alternativo a quello contestato comparando i rispettivi costi e benefici.
2.3. - Il 17.1.2005 è emesso il decreto di espropriazione, che Marino Gatti impugna con ricorso 476/2005.
2.4. - Il TAR, nei procedimenti riuniti, pronuncia la sentenza non definitiva 19.12.2005 n. 1342.
Quanto al ricorso 1284/2000 proposto per l'annullamento dei decreti di occupazione, ne dichiara, in parte, l'improcedibilità, e ciò riguardo alla domanda di annullamento, perché si é intanto verificata l'irreversibile trasformazione dei suoli, ed in parte ordina la prosecuzione del giudizio, questo per la decisione sulla domanda di risarcimento del danno.
Accoglie il ricorso 476/2005 ed annulla il decreto di espropriazione, perché pronunciato dopo la scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
3.1. - La Provincia di Mantova impugna la sentenza.
Sostiene, quanto al decreto di espropriazione, che è stato adottato quando la dichiarazione di pubblica utilità era da ritenere fosse ancora efficace; per il caso contrario, chiede sia dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della domanda di annullamento del decreto; chiede di dichiarare inammissibile la domanda di risarcimento del danno.
La sentenza del TAR è anche impugnata con appello incidentale da Marino Gatti.
3.2. - La decisione non definitiva 19.6.2007 n. 1614 della sesta sezione del Consiglio di Stato rigetta il motivo sulla permanente efficacia della dichiarazione di pubblica utilità; rimette all'Adunanza plenaria l'esame degli altri motivi d'appello, tra l'altro per la decisione della questione attinente alla giurisdizione, che si pone quando il decreto d'espropriazione è pronunciato una volta scaduta l'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
3.3. - L'Adunanza plenaria, afferma la giurisdizione del giudice amministrativo, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale.
4. - La decisione 22.10.2007 n. 12 della Adunanza plenaria è impugnata da Marino Gatti.
Al ricorso resiste la Provincia di Mantova che propone anche ricorso incidentale.
5. - Ambedue le parti presentano memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Il ricorso principale e quello incidentale hanno dato luogo a distinti procedimenti che debbono essere riuniti perché relativi ad impugnazione della stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
2.1. - L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella propria decisione, ha prima dichiarato che partì del giudizio sono solo Marino Gatti - che ha chiesto l'annullamento del decreto di espropriazione e proposto domanda di risarcimento del danno - e la Provincia di Mantova - che ha adottato il decreto di espropriazione ed è il solo ente nei cui confronti la domanda di condanna al risarcimento sia stata proposta.
Ha quindi anzitutto messo in rilievo che la pronuncia di accessione invertita, per sé non impugnata da Marino Gatti, avrebbe impedito la restituzione delle aeree coinvolte nella costruzione dell'opera. E questo perché la strada era pressoché terminata ed aperta al traffico già prima della data di cessazione di efficacia della pubblica utilità.
Poi, ha sottolineato che il TAR non aveva reso alcuna pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno, "proposta e persino quantificata nel corso del relativo grado di giudizio".
Erano perciò intempestive ed inammissibili le relative deduzioni e richieste formulate dalle due parti in sede di appello.
2.2. - La questione di giurisdizione - sulla base di una pluralità di argomenti - è stata risolta nel senso che, se è intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità e ad essa nel suo termine di efficacia seguono l'autorizzazione all'occupazione di urgenza, l'occupazione e la trasformazione dei suoli nell'opera pubblica, spetta al giudice amministrativo la giurisdizione sulle domande di annullamento e risarcimento del danno: e ciò anche se le domande vengono fondate sul fatto che il decreto di espropriazione è stato emesso dopo che gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità sono cessati, per la scadenza dei suoi termini finali.
2.3. - Tra i punti che l'Adunanza plenaria ha discusso è stato quello della c.d. pregiudizialità amministrativa.
La plenaria ha bensì avvertito che si trattava di problema non pertinente - in rapporto alla decisione sul ricorso al suo esame - se non per la sua connessione con la questione di giurisdizione.
Tuttavia, posti in rilievo i singoli argomenti di carattere storico giuridico e logico che convincevano della necessità di riaffermazione del principio della pregiudizialità, anche in considerazione di questo ha enunciato in tema di giurisdizione la conclusione che si è prima riferita.
3.1. - Il ricorso principale contiene tre motivi; quello incidentale uno: tutti sono corredati del quesito di diritto richiesto a pena di inammissibilità dagli artt. 366 n. 4) e 366-bis cod. proc. civ.
3.2. - Secondo l'ordine delle questioni deve essere esaminato per primo il ricorso incidentale.
La Provincia di Mantova vuole sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
Alle Sezioni unite si chiede di enunciare il principio di diritto per cui "le controversie in materia di occupazione appropriativa relative al caso in cui il decreto di esproprio sia emanato quando la dichiarazione di pubblica utilità ha cessato di dispiegare i propri effetti e quando peraltro il fondo oggetto del decreto medesimo ha visto modificata irreversibilmente l'originaria destinazione a favore della destinazione ad opera pubblica, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario".
L'accoglimento del ricorso incidentale comporterebbe come conseguenza l'assorbimento del ricorso principale.
3.3. - Nel ricorso principale, in cui si sostiene che bene è stata affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, si osserva che però una pronuncia sul fondo della domanda di risarcimento tuttora pendente davanti al TAR può incontrare ostacolo nelle considerazioni svolte della decisione del Consiglio di Stato sul punto della pregiudizialità amministrativa.
Lo si paventa per la ragione che - secondo la decisione impugnata - il giudice amministrativo non può impartire tutela risarcitoria per gli interessi legittimi se non in presenza di una pronuncia di annullamento dell'atto lesivo.
Ma, obietta la Provincia, che la decisione di annullamento del decreto di espropriazione è già passata in giudicato, sicché le considerazioni sulla pregiudizialità, pur svolte nella decisione, non limitano i poteri di decisione del TAR circa la domanda di risarcimento.
Chiede dunque che il ricorso sia dichiarato inammissibile per difetto di interesse.
3.4. - I tre motivi per cui è chiesta la cassazione con il ricorso principale propongono i quesiti che seguono.
A conclusione del primo, la parte chiede alle Sezioni unite di affermare che la questione in ordine alla conoscibilità della domanda risarcitoria a prescindere dall'utile esperimento della domanda di annullamento sull'atto lesivo rientra tra quelle proponibili ex art. 360, primo comma, n. 1) e 362 c.p.o.
Si tratta, dunque, non di un motivo di ricorso, ma della giustificazione della sua ammissibilità.
Gli argomenti cui si affida sono quelli svolti da queste Sezioni unite nelle ordinanze nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006.
Al secondo motivo corrisponde un quesito con il quale si chiede alle Sezioni unite di affermare che, siccome sulla domanda di risarcimento rivolta al TAR non è stata resa alcuna decisione, il Consiglio di Stato, peraltro non investito a riguardo dì tale domanda da un motivo di appello, non ha il potere giurisdizionale di pronunciarsi direttamente su tale domanda.
Il terzo motivo è formulato a partire dal presupposto che la regola per cui la tutela risarcitoria possa essere impartita dal giudice amministrativo solo se prima l'atto amministrativo lesivo sia stato annullato potrebbe ostacolare l'accoglimento della domanda di risarcimento proposta con il ricorso in annullamento dei decreti di occupazione d'urgenza, perché la domanda è stata bensì proposta, ma il ricorso è stato dichiarato improcedibile, per la sopravvenuta irreversibile trasformazione dei beni, sicché l'annullamento dei decreti d'occupazione è mancato.
Il quesito che conclude il motivo è volto a che sia affermato il principio di diritto, per cui, ai fini della conoscibilità della domanda risarcitoria, il previo annullamento dell'atto amministrativo non è necessario.
4.1. - La considerazione svolta dalla Provincia di Mantova per dire inammissibile il ricorso principale, ovverosia che l'annullamento del decreto di espropriazione è già passato in giudicato, dovrebbe impedire prima di tutto l'esame del suo ricorso.
Ma, da un lato, la sentenza del TAR non era passata in giudicato, perché la Provincia l'ha impugnata sostenendo anche che era stata emessa da giudice carente di giurisdizione, dall'altro la sesta sezione del Consiglio di Stato ha rigettato un diverso motivo di appello, quello volto a far accertare che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, l'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità non era esaurita alla data di emissione del decreto di esproprio. Ha perciò rigettato un motivo intrinseco alla giurisdizione del giudice amministrativo, affermata e non negata, motivo orientato inoltre al rigetto nel merito della domanda Gatti di annullamento del decreto di espropriazione e non ad un rigetto per difetto di giurisdizione.
Ciò premesso, il motivo per cui la Provincia di Mantova ha chiesto la cassazione della decisione non è fondato.
4.2. - La domanda da Marino Gatti è stata proposta con ricorso del 2005, per ottenere l'annullamento di un decreto d'espropriazione emesso il 17.1.2005, in un procedimento all'inizio del quale si colloca una dichiarazione dì pubblica utilità pronunciata il 30.4.1999.
L'annullamento è stato chiesto perché, quando si è emesso il decreto, l'efficacia della pubblica utilità era esaurita.
Orbene, il provvedimento impugnato si inserisce in un procedimento caratterizzato dall'iniziale presenza di una dichiarazione di pubblica utilità, cui sono seguite l'occupazione di urgenza e la esecuzione dell'opera pubblica.
Questi elementi di fatto ed i suoi dati temporali collocano la controversia nell'area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, configurata dalla disposizione, che l'art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205 ha reintrodotto nell'art. 34 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ed è entrata in vigore a decorrere dal 10.8.2000.
Di questa norma la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204.
Ma, tenendo conto dell'interpretazione che della portata della propria sentenza la Corte costituzionale ha dato con la successiva sentenza 191 dell'11 maggio 2006, quando ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 53 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), queste Sezioni unite hanno successivamente e in modo reiterato affermato che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, risultante dalla disposizione richiamata, s'estende alle controversie contro atti e comportamenti, che costituiscano esecuzione di precedenti manifestazioni in forma provvedimentale di potere ablatorio in relazione al bene di cui si discute.
E così, mentre è stata ritenuta appartenere alla giurisdizione ordinaria la domanda intesa alla restituzione d'un fondo occupato dopo che l'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità è scaduta (Sez. Un. 16 luglio 2008 n. 19501), è stato per contro affermato che appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le domande cui dà origine l'emissione di un decreto di espropriazione, pur esso sopravvenuto ad efficacia della dichiarazione di pubblica scaduta, ma quando l'occupazione e trasformazione dei fondi si sono consumate prima, com'è nel caso in esame, che ha come antefatto una dichiarazione di pubblica utilità non impugnata, nel cui quadro si è prodotto un fenomeno di occupazione appropriativa (tra le più recenti decisioni in tal senso: Sez. un. 15 luglio 2008 n. 19500; 23 aprile 2008 n. 10444; cui si può aggiungere la sentenza 27 giugno 2007 n. 14794).
5.1. - Con il rigetto del ricorso della Provincia di Mantova che consegue alla dichiarata infondatezza del motivo appena discusso, s'è realizzato quel passaggio in giudicato del capo della sentenza del TAR, di annullamento del decreto di espropriazione, al quale, come si è detto prima, la Provincia ricollegava l'inammissibilità del ricorso Gatti, per difetto di interesse.
5.2. - A questo riguardo si deve osservare che, se Gatti avesse proposto domanda volta al solo risarcimento del danno prodottogli
dalla irreversibile trasformazione del bene, rimasta non coperta dagli effetti del decreto di espropriazione, l'esito prospettato dalla Provincia sarebbe stato incontestabile.
A Gatti non si sarebbe potuto riconoscere alcun interesse a ridiscutere il punto se il giudice amministrativo possa erogare la tutela risarcitoria in assenza di un annullamento dell'atto che la parte assume illegittimo e lesivo.
Ma, dalle decisioni del Consiglio di Stato emerge che una domanda di danni è stata anche proposta in connessione con quella di annullamento dei decreti di occupazione.
Nella misura in cui l'esame del fondo di questa domanda possa risultare pregiudicata dalle considerazioni che il Consiglio di Stato ha svolto a proposito della questione della pregiudizialità amministrativa, l'interesse del ricorrente principale a mettere in discussione il punto non può essere già in tesi negato.
5.3. - Tuttavia, dei tre motivi di ricorso, il primo non denunzia un vizio della decisione impugnata, ma serve a sollecitare le Sezioni unite ad esercitare sulla decisione impugnata il sindacato preannunziato nelle ordinanze nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006 e 13911 del 15 giugno 2006, ed in ciò incontra il dissenso della Provincia di Mantova.
Sicché il punto dovrà essere discusso se ed in quanto altri motivi di ricorso si riveleranno ammissibili.
5.4. - Ora, il secondo motivo è inammissibile.
Come vizio attinente alla giurisdizione è denunziato in effetti un vizio che concerne il procedere e non il decidere.
E questo, perché il vizio non riguarda le condizioni in presenza delle quali la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso la pubblica amministrazione è affidata dalla Costituzione o dalla legge ordinaria al giudice amministrativo, anziché ad un altro giudice ordinario o speciale, ma riguarda i presupposti processuali che debbono essere verificati nel caso concreto perché sorga nei giudici amministrativi aditi, di primo o di secondo grado, il dovere di pronunciare sulla domanda di giustizia.
Sicché, se il giudice amministrativo di appello, errando nella applicazione delle norme che regolano il procedimento davanti a sé, non già eroga o rifiuta di erogare la tutela giurisdizionale che gli è affidata, ma ritiene di doverlo fare sebbene manchino gli specifici presupposti per un suo intervento dopo di quello del giudice di primo grado e non prima di quello, il vizio della sua decisione non si presta ad essere sindacato.
5.5. - Il terzo motivo di ricorso non riguarda invece il procedere ma il decidere.
Se, all'esito della discussione sulla questione già esaminata da queste Sezioni unite con le ordinanze del 2006, si pervenisse a confermare quell'indirizzo, il motivo dovrebbe essere scrutinato nel merito.
Ma resta ancora da verificare un punto.
Ed il punto è se, una volta che la decisione pronunciata dalla Adunanza plenaria contiene considerazioni sulla questione della pregiudizialità amministrativa e su tali considerazioni è stata anche basata la decisione sulla questione di giurisdizione, spetti o no alle Sezioni unite verificare se esse hanno o no assunto valore decisorio.
La risposta è che questa verifica rientra nei poteri delle Sezioni unite ed essa si deve concludere in senso negativo, nel senso, cioè, che manca nella decisione del Consiglio di Stato una pronuncia sulla domanda risarcitoria.
La verifica rientra nei poteri delle Sezioni unite perché esse sono richieste di pronunciarsi su un ricorso per cassazione e quindi spetta loro individuare prima di ogni altra cosa se la sentenza impugnata presenti il capo che si assume viziato e perciò in un caso di ricorso contro decisione del Consiglio di Stato, una pronuncia che, in combinazione con quella di primo grado, sia di accoglimento o rigetto di una domanda e poi se tale decisione sia viziata sotto l'opposto profilo d'aver accordato o rifiutato una tutela estranea od al contrario di competenza di quell'ordine di giudici.
Ora, il Consiglio di Stato ha bensì desunto argomento dalla pregiudizialità amministrativa, ritenuta un tratto caratterizzante della tutela giurisdizionale attribuita al giudice amministrativo, per coonestare l'affermazione della giurisdizione, ma ciò con riferimento alla domanda introdotta con il ricorso in annullamento del decreto di espropriazione e non anche in riferimento a quella risarcitoria introdotta con il ricorso in annullamento dei decreti di occupazione, che ha specificamente detto proposta e non decisa, neppure sotto il profilo della ammissibilità.
E conferma di ciò si trae da più elementi per vero decisivi.
Il Consiglio di Stato ha espressamente rilevato che il TAR non s'era pronunciato sulla domanda risarcitoria (ed al riguardo ha richiamato, per dire proposta la domanda, le istanze 23.2. e 29.10.2001 di Gatti, inerenti al ricorso contro i decreti di occupazione).
Ha esaminato in aggiunta al motivo di cui al punto 6, già scrutinato dalla sesta sezione, quelli di cui ai punti 4 e 5, afferenti all'annullamento del decreto di espropriazione.
Infine, siccome si trattava non di un caso in cui la domanda risarcitoria era stata proposta senza che lo fosse stata quella di annullamento, ma di una domanda proposta in seguito a quella di annullamento e questa era stata dichiarata improcedibile non per comportamenti processuali riconducibili al ricorrente, ma per la sopravvenuta irreversibile trasformazione del fondo, il Consiglio di Stato, se avesse inteso riferire la disamina del tema della pregiudizialità anche a quella domanda e con effetti decisori non avrebbe mancato di interrogarsi sul modo d'intendere il principio, come necessità di una tempestiva domanda di annullamento o come necessità, in assenza di un annullamento in sede amministrativa, di un accertamento principale di illegittimità dell'atto lesivo in sede giurisdizionale.
Anche quest'ultimo motivo lo si deve allora considerare inammissibile.
6. - Il ricorso principale è in conclusione nel suo complesso inammissibile.
Tuttavia non è esaurito il dovere della sezioni unite di pronunciarsi sui ricorsi.
7. - La Corte osserva, infatti, che l'istituto della pregiudizialità amministrativa nei suoi rapporti con la tutela risarcitoria degli interessi legittimi si presenta oggi come questione rilevante e di particolare importanza.
Essa si presterà dunque ad essere discussa dalle Sezioni unite in vista della enunciazione di un apposito principio di diritto, in applicazione dell'art. 363 cod. proc. civ., come già è stato fatto in tema di giurisdizione con la sentenza 28 dicembre 2007 n. 27187, se ne risulterà dimostrato che si tratta di questione che rientra nel sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione, cui l'art. 111, ultimo comma, Cost. assoggetta anche le decisioni del Consiglio di Stato e che l'art. 374, primo comma, in relazione all'art. 362, primo comma, cod. proc. civ. attribuisce alla Corte di cassazione a sezioni unite, attraverso il mezzo del ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione.
8.1. - Prima di accingersi a tale indagine, conviene delimitare lo stesso ambito della questione.
E' implicito in quanto si è già osservato, che il campo in cui la questione ha ragione di porsi non coincide con l'intero ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, perché, pur quando la controversia concerne una materia di giurisdizione esclusiva, di pregiudizialità amministrativa si può discorrere solo se si lamenti che la P.A. ha sacrificato o non realizzato un interesse con un suo provvedimento illegittimo, non anche quando un diritto è stato sacrificato con un comportamento, che pur si iscriva in una serie presidiata da un originario atto di esercizio di potere amministrativo.
Perché questo, come è stato già posto in rilievo con la ordinanza 27 giugno 2007 n. 14794 della Corte a sezioni unite, può assumere i caratteri di un fatto giuridico che rileva nel senso di attrarre la controversia all'area della giurisdizione esclusiva, ma non anche di fatto che muta in quella di interesse legittimo la qualificazione come diritto soggettivo che spetta alla situazione sacrificata ed in attesa di tutela.
Detto questo, si nota che la questione muove da un presupposto che oggi si può considerare non più in discussione e condiviso anche da buona parte della giurisprudenza sia del Consiglio di Stato che dei Tribunali amministrativi regionali.
L'art. 7, comma 3, L. 6 dicembre 1971, n. 1034 - dopo le modifiche che vi sono state apportate con l'art. 35 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e con l'art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205 - dispone che il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione e perciò pure nell'ambito della sua giurisdizione di legittimità conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno.
La Corte costituzionale, prima con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204 poi con la sentenza 11 maggio 2006 n. 291, ha segnalato il fondamento di legittimità di questa attribuzione e lo ha indicato nell'art. 24 Cost., perciò nel principio di effettività della tutela giurisdizionale, il quale richiede che il giudice cui è affidata la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione sia munito di adeguati poteri.
Sia il Consiglio di Stato e sia questa Corte a Sezioni unite hanno in seguito affermato, in modo costante e coerente, che spetta al giudice amministrativo, in presenza di atti della P.A., espressione di potere, ma connotati da illegittimità e di fatto lesivi, dare tutela al privato anche in forma risarcitoria.
Ragione di permanente incertezza deriva invece dal dissenso tra le Corti su un diverso punto.
Questa Corte, a sezioni unite, con le ordinanze nn. 13659 e 13660 del 2006 ha affermato che, di fronte ad un atto della P.A. che ne sacrifica l'interesse o manca di realizzarlo, la parte, che ha l'onere di rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere tutela, può scegliere di chiedere il solo risarcimento del danno.
Per contro, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione che s'è esaminata, ha ribadito l'orientamento per cui la tutela risarcitoria degli interessi legittimi presuppone che la illegittimità sia accertata e perciò, quando l'atto non sia stato già annullato, in sede amministrativa o dal giudice, la domanda risarcitoria non può essere da lui esaminata, se non in presenza di una tempestiva domanda di annullamento.
8.2. - La Corte, a sezioni unite, nelle ordinanze del 2006, attinta la conclusione che la L. 21 luglio 2000, n. 2005, all'art. 7 ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno, ha osservato: - "Tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l'illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione.
Più di recente, questa impostazione è stata ribadita dalle Sezioni unite nella ordinanza 16 novembre 2007 n. 23471, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione in relazione a domanda risarcitoria autonoma proposta a giudice ordinario, senza che fosse stato chiesto al giudice amministrativo l'annullamento dell'atto lesivo.
Tuttavia l'impostazione non ha trovato unanimi consensi con la conseguenza che su di essa è dunque necessaria un'ulteriore riflessione.
9. - Contro le decisioni della Corte dei conti e del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione - così il terzo comma dell'art. 111 Cost., divenuto l'ottavo dopo la L. cost. 23 novembre 1999, n. 2 "Inserimento dei principi del giusto processo nell'art. 111 della Costituzione".
La norma delimita ed al tempo stesso descrive, attraverso l'espressione "per i soli motivi inerenti alla giurisdizione", l'ambito ed i limiti del sindacato per violazione di legge che la Corte a sezioni unite può compiere anche sulle sentenze dei giudici speciali, quando ad essere impugnata è una decisione del giudice amministrativo.
Primo e necessario interprete della norma è la stessa Corte, chiamata a conformare l'esercizio del suo potere giurisdizionale in questo campo sul significato che all'espressione deve essere riconosciuto.
10.1. - Anche a proposito di questa norma, l'interpretazione deve tenere conto della evoluzione che nel tempo l'ordinamento, nel suo complesso, ha conosciuto.
Evoluzione caratterizzata da una molteplicità di fattori.
Tra questi, il rapporto tra diritto comunitario ed ordinamento interno ed il ruolo della giurisdizione nel rendere effettivo il principio del primato del diritto comunitario; la rimozione del limite alla tutela risarcitoria degli interessi legittimi, la caduta del limite dei diritti consequenziali in rapporto alla tutela risarcitoria dei diritti nell'ambito della giurisdizione esclusiva e l'estensione ai diritti consequenziali d'ogni forma di tutela pertinente alla giurisdizione del giudice amministrativo; la coeva progressiva espansione della giurisdizione esclusiva (rispetto alle nove ipotesi regolate dall'art. 29 T.U. 22 giugno 1924, n. 1054); il rilievo assunto dal canone della effettività della tutela e dal principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina; la riaffermazione del rilievo costituzionale del principio del giusto processo; il nuovo ruolo assunto nell'ordine delle fonti dal diritto pattizio internazionale; l'emersione, come corollario del principio di effettività, della regola di conservazione degli effetti prodotti sul piano processuale e sostanziale dalla domanda di giustizia. 10.2. - Giurisdizione - è stato osservato da più parti - è termine che può essere inteso in diversi modi.
Nel tessuto della Costituzione non è oggi possibile dubitare che per giurisdizione deve essere inteso non in sé il potere di conoscere di date controversie, attribuito per una specifica parte a ciascuno dei diversi ordini di giudici di cui l'ordinamento è dotato, ma quel potere che la legge assegna e che è conforme a Costituzione che sia assegnato ai giudici perché risulti attuata nel giudizio la effettività dello stesso ordinamento.
Giurisdizione, nella Costituzione, per quanto interessa qui, è termine che va inteso nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e dunque in un senso che comprende le diverse tutele che l'ordinamento assegna ai diversi giudici per assicurare l'effettività dell'ordinamento.
Che ciò sia si desume dalla convergenza di più norme della Costituzione: l'art. 24, primo comma, che guarda ai diritti ed agli interessi, sia come situazioni giuridiche di cui le parti sono titolari sia come oggetto del diritto delle parti di agire in giudizio per la tutela di tali situazioni di interesse sostanziale protette dall'ordinamento; l'art. 113, primo e secondo comma, da cui si trae che la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, contro gli atti della pubblica amministrazione, da un lato è sempre ammessa dinanzi agli organi di giurisdizione amministrativa, dall'altro non può essere limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; l'art. 111, primo comma, che, mediante i principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, esprime quello di effettività della tutela giurisdizionale.
Se attiene alla giurisdizione l'interpretazione della norma che l'attribuisce, vi attiene non solo in quanto riparte tra gli ordini di giudici tipi di situazioni soggettive e settori di materia, ma vi attiene pure in quanto descrive da un lato le forme di tutela, che dai giudici si possono impartire per assicurare che la protezione promessa dall'ordinamento risulti realizzata, dall'altro i presupposti del loro esercizio.
10.3. - Interessa qui dare giustificazione dell'assunto, che è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto al potere stabilendo attraverso quali forme di tutela esso si estrinseca.
La giustificazione può essere svolta avendo riguardo alla tutela risarcitoria come aspetto della giurisdizione esclusiva.
10.4. - Il terzo comma dell'art. 7 della legge TAR - riproducendo nella sostanza la disposizione contenuta nell'art. 30, secondo comma, del R.D. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato - aveva stabilito che nelle materie deferite alla giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi restavano riservate all'autorità giudiziaria le questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell'atto o provvedimento contro cui si ricorre.
Ma, intervenuto l'art. 13 della L. 19 febbraio 1992, n. 142 in adempimento degli obblighi comunitari ed affermatosi con la sentenza 22 luglio 1999 n. 500 delle sezioni unite il principio per cui, di fronte ad un esercizio illegittimo della funzione pubblica, diritto al risarcimento del danno ingiusto v'era in presenza del sacrificio di una qualsiasi situazione di interesse rilevante da cui fosse derivato danno, la tutela risarcitoria era divenuta ammissibile davanti al giudice ordinario come tutela autonoma, salvi i casi di giurisdizione esclusiva estesa ai diritti consequenziali.
La disposizione è poi ricaduta nell'ambito di applicazione della norma abrogante dettata dall'art. 35.5. del D. Lgs. 80 del 1998, sostituito dall'art. 7 lett. e) della legge 205 del 2000, con cui si è stabilito che fosse abrogata ogni disposizione che prevedeva la devoluzione al giudice ordinario delle "controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi".
Con l'art. 7 lett. e) della legge 205 del 2000 è stato anche sostituito il primo comma dell'art. 35.1. del D. Lgs. 80 del 1998, ed è stato stabilito che "Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto".
10.5. - Orbene, a proposito della legittimità costituzionale dell'art. 35.1. si deve muovere dal considerare quanto ha osservato la Corte costituzionale non solo nelle sentenze 204 del 2004 e 191 del 2006, ma anche nella sentenza 77 del 2007.
La sentenza della Corte sul tema della translatio iudicii - che trae le conseguenze dal parallelo attuale significato della competenza e della giurisdizione - si presenta innervata da tre ordini di considerazioni.
La pluralità dei giudici costituisce una articolazione interna di un sistema di organi nel suo complesso deputato a dare una risposta di merito alla domanda di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi.
Se la tutela giurisdizionale deve essere effettiva e tanto più riesce ad esserlo in quanto siano messe a frutto le distinte competenze dei vari ordini di giudici; una volta che la domanda dì giustizia sia formulata; le norme processuali, che sono destinate ad assicurare il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale in funzione della migliore decisione, debbono prevedere i congegni che consentono di riparare l'errore compiuto della parte nella scelta del giudice, ma anche di superare l'errore del giudice nel denegare la giurisdizione, perché altrimenti il diritto alla tutela giurisdizionale risulterebbe frustrato dalle stesse norme che sono ordinate al suo migliore soddisfacimento.
Come a questa esigenza è informato il sistema delle norme che presiedono alla distribuzione delle competenze nell'ambito dello stesso ordine di giudici, così gli artt. 24 e 111 Cost. impongono che ciò sia per il sistema delle norme che regolano il riparto della competenza giurisdizionale tra i diversi ordini di giudici.
I principi di unità funzionale della giurisdizione e di effettività della tutela giurisdizionale sono anche alla base delle precedenti decisioni in tema di giurisdizione esclusiva.
Nella sentenza 191 del 2006 la Corte costituzionale ha messo in rilievo l'importanza dell'osservazione già fatta nella sentenza 204 del 2004: non costituire altra materia di giurisdizione esclusiva l'attribuzione al giudice amministrativo del potere di risarcire il danno subito dalla parte a causa delle illegittime modalità di esercizio della funzione amministrativa.
E da un lato ne ha descritto il valore, di "attribuzione alla giurisdizione amministrativa della tutela risarcitoria - non a caso con la medesima ampiezza, e cioè sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario"; da altro lato ne ha rinvenuto il fondamento di legittimità costituzionale "nella esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost. di concentrare davanti ad un unico giudice l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica", (all'uopo richiamando la sentenza 22 luglio 1999 n. 500/SU di questa Corte).
10.6. - Il senso di quest'impostazione - secondo la spiegazione che ne ha dato la Corte costituzionale - sta in ciò che, siccome giudice naturale della legittimità della funzione pubblica è il giudice amministrativo, gli artt. 24 e 111 Cost., che postulano l'effettività della tutela giurisdizionale, vengono a porsi come una sufficiente base di legittimazione sul piano costituzionale per una scelta, che trascende la qualificazione sostanziale della pretesa risarcitoria, per concentrare davanti ad un unico giudice l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio di quella funzione.
10.7. - La giustificazione che sul piano costituzionale quella Corte ha dato a proposito delle disposizione dettata dal primo comma dell'art. 35 e che l'ha condotta a negare che la domanda del cittadino vada rivolta al giudice ordinario per ciò solo che abbia come oggetto esclusivo il risarcimento del danno è stata dunque, che essa è valsa a realizzare una giurisdizione piena del giudice della funzione pubblica in nome della effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi di fronte alla pubblica amministrazione.
10.8. - Orbene, quando dal giudice amministrativo si afferma che la tutela risarcitoria può essere somministrata dal quel giudice, in presenza di atti illegittimi della pubblica amministrazione, solo se gli stessi siano stati previamente annullati in sede giurisdizionale o di autotutela, si finisce col negare in linea di principio che la giurisdizione del giudice amministrativo includa nel suo bagaglio una tutela risarcitoria autonoma, oltre ad una tutela risarcitoria di completamento.
E perciò, presupposto, in ipotesi, che rientri nei poteri del giudice amministrativo erogare la tutela risarcitoria autonoma, il rigetto della relativa domanda, si risolve in un rifiuto di erogare la relativa tutela.
Ed infatti, tale rifiuto dipenderebbe non da determinanti del caso concreto sul piano processuale o sostanziale, ma da un'interpretazione della norma attributiva del potere di condanna al risarcimento del danno, che approda ad una conformazione della giurisdizione da cui ne resta esclusa una possibile forma.
Ma ciò si traduce in menomazione della tutela giurisdizionale spettante al cittadino di fronte all'esercizio illegittimo della funzione amministrativa ed in una perdita di quella effettività, che ne ha giustificato l'attribuzione al giudice amministrativo.
11.1. - Rientra d'altra parte nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l'operazione che consiste nell'interpretare la norma attributiva dì tutela, per verificare se il giudice amministrativo non rifiuti lo stesso esercizio della giurisdizione, quando assume della norma un'interpretazione che gli impedisce di erogare la tutela per come essa è strutturata, cioè come tutela risarcitoria autonoma.
11.2. - E' pacifico, invero, che possibile oggetto di sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione sia anche la decisione che neghi la giurisdizione del giudice adito.
11.3. - Storicamente, la problematica del giudizio sulla questione di giurisdizione si è venuta costruendo come problema di riparto tra le giurisdizioni.
La più diffusa esperienza giurisprudenziale sull'argomento si è avuta riguardo al confronto tra la giurisdizione del giudice ordinario, che è una giurisdizione sul rapporto, e quella del giudice amministrativo, che, nata come giurisdizione sull'atto, nel quadro non più di una giurisdizione speciale, si va anch'essa trasformando in una giurisdizione sul rapporto, specie sotto il profilo della tutela risarcitoria, dopo il crollo del muro della irrisarcibilità dell'interesse legittimo.
Il modello della giurisdizione esclusiva solo con la legge sui TAR ha preso ad essere effettivamente impiegato dal legislatore in campi diversi da quello, precipuo, delle controversie traenti origine dal rapporto di pubblico impiego e così lo stabilire se i giudici dei due ordini avevano sbagliato nell'esercitare o rifiutare di esercitare la giurisdizione s'è tradotto nel compiere, in base all'ordinamento ed alla interpretazione della pertinente norma di qualificazione, l'operazione d'attribuire alla concreta situazione giuridica dedotta in giudizio come oggetto dì tutela la natura di diritto soggettivo od interesse legittimo.
Lo strumento logico che ne è risultato forgiato - consistente nel verificare se la decisione abbia attuato un Superamento dei limiti esterni della giurisdizione - ha assunto in questo modo il significato di una certificazione di correttezza dell'operazione ermeneutica compiuta dal giudice, se ed in quanto condotta al solo livello di qualificazione, della situazione soggettiva dedotta in giudizio, alla stregua del diritto oggettivo.
Le norme sulle diverse fattispecie di giurisdizione esclusiva, delineando il loro ambito di applicazione in base alla presenza di fattori ulteriori rispetto alla situazione soggettiva di interesse legittimo hanno comportato invece la necessità di estendere l'opera di qualificazione dei fatti oggetto di giudizio a quelli cui la norma attributiva di giurisdizione ha assegnato la portata di delimitare l'ambito delle controversie costituenti la materia di giurisdizione esclusiva.
Ma, pur così ampliato il campo del suo impiego, la regola dei limiti esterni è in grado di servire allo scopo di espungere dall'area dei motivi attinenti alla giurisdizione ogni segmento del giudizio che si rivela estraneo alla ricognizione della portata della norma che attribuisce giurisdizione, ricognizione che costituisce invece l'oggetto su cui al giudizio del giudice amministrativo si può sovrapporre, modificandolo, quello della Corte di cassazione a sezioni unite
11. 4. - Peraltro, come mostra nel campo della giurisdizione di merito il caso dei ricorsi per l'ottemperanza (artt. 27 n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7, comma 1, L. 6 dicembre 1971, n. 1034) - che, a ben vedere, integrano una forma di tutela, più che una materia - una questione di giurisdizione si presenta anche quando non è in discussione che la giurisdizione spetti al giudice cui ci si è rivolti, perché è solo quel giudice che secondo l'ordinamento la può esercitare, ma si deve invece di stabilire se ricorrono - in base alla norma che attribuisce giurisdizione - le condizioni perché il giudice abbia il dovere di esercitarla (così, in rapporto al decreto di accoglimento di ricorso straordinario al Capo dello Stato, il configurarsi come giudicato ha potuto essere discusso come questione di giurisdizione da Sez. Un. 2 ottobre 1953 n. 3141 e più di recente Sez. Un. 18 dicembre 2001 n. 2448).
11.5. - E' parso che le ordinanze di questa Corte del 2006 non si siano attenute al canone richiamato al punto 11.2. ed abbiano invece preconizzato una invasione dell'ambito proprio della giurisdizione del giudice amministrativo, là dove, interpretata la norma dettata dall'art. 7 della legge TAR nel testo modificato dalla legge 205 del 2000, nel senso che abbia attribuito la tutela risarcitoria degli interessi legittimi al giudice amministrativo, hanno anche detto che nella norma non vi è il limite per cui la domanda di tale tutela allora solo determina nel giudice amministrativo il dovere di giudicarne il fondo, quando dell'atto illegittimo è chiesto od è stato già pronunciato l'annullamento.
Ma, da un punto di vista logico e per quello che si è detto, questo assunto non convince.
Postulare che la norma che attribuisce ad un giudice una forma di tutela lo faccia sulla base di un determinato presupposto positivo o negativo, dalla cui presenza ne dipenda l'erogazione, per un verso, come si è visto, inerisce al giudizio che quel giudice deve compiere per stabilire in che limiti la giurisdizione gli è attribuita.
Per altro verso, il sindacato che assume a suo oggetto questo tratto si arresta e non oltrepassa il limite oltre il quale non può essere esercitato, perché si appunta su un aspetto della norma e si traduce in una decisione della Cassazione, che vincola ad esercitare la giurisdizione rispettando i tratti essenziali della forma di tutela in questione, senza pretendere di costringere a riconoscere rispettati dalla domanda né le condizioni processuali d'una decisione di merito né ì fatti che danno in concreto diritto alla tutela richiesta.
11.6. - Le sezioni unite sono in conclusione autorizzate a passare alla discussione della questione di particolare importanza in precedenza anticipata, al punto 7.
12.1. - Punto di partenza nell'indagine sulla disciplina positiva della tutela degli interessi legittimi come dei diritti soggettivi non può non essere l'art. 24, primo comma, Cost.
Dal quale - perché dispone che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi - non pare sia possibile trarre se non il significato che dei diritti e degli interessi, di cui è titolare, ognuno è arbitro di chiedere tutela e che perciò a ciascuno spetta non solo di scegliere se chiedere tutela giurisdizionale, ma anche di scegliere di quale avvalersi, tra le diverse forme di tutela apprestate dall'ordinamento, per reagire al fatto che l'interesse sostanziale della parte, protetto dall'ordinamento, sia rimasto insoddisfatto.
Queste sezioni unite, nelle ordinanze del 2006 e del resto in consonanza con diffusi orientamenti della dottrina, alla luce della Costituzione e dello stadio di evoluzione dell'ordinamento, avevano già avuto modo di porre l'accento sulla insostenibilità di precedenti ricostruzioni della figura dell'interesse legittimo e della giurisdizione amministrativa, che il primo configuravano come situazione funzionale a rendere possibile l'intervento degli organi della giustizia amministrativa, e della seconda predicavano la natura di giurisdizione di diritto oggettivo, e dunque di mezzo direttamente volto a rendere possibile, attraverso una nuova determinazione amministrativa, il ripristino della legalità violata e solo indirettamente a realizzare l'interesse del privato.
12.2. - Altro punto di riferimento è rappresentato, per ciò che interessa qui, dall'art. 113, primo e secondo comma, Cost. e dal precetto in essi contenuto, che è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giustizia ordinaria o amministrativa e che tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione.
Il precetto è venuto ad assumere ulteriore concretezza a cavallo della fine del '900, quando, con il D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, la riflessione compiuta dalle sezioni unite con la sentenza 500 del 1999 sulla vicenda della risarcibilità degli interessi legittimi e la disciplina al riguardo introdotta infine con la L. 21 luglio 2000, n. 205, ha finito con l'essere acquisito che, se l'ordinamento protegge una situazione di interesse sostanziale, in presenza di condotte che ne impediscono o mancano di consentirne la realizzazione, non può essere negato al suo titolare almeno il risarcimento del danno, posto che ciò costituisce la misura minima, e perciò necessaria di tutela di un interesse, indipendentemente dal fatto che la protezione assicurata dall'ordinamento in vista della sua soddisfazione, sia quella propria del diritto soggettivo o dell'interesse legittimo.
12.3. - Lo sbocco cui conduce il confluire di questa acquisizione nell'alveo dei principi desunti dagli artt. 24 e 113 Cost. è che, per i diritti soggettivi come per gli interessi, spetta al loro titolare tutela sul piano risarcitorio e, se a questa si aggiunge altra forma di tutela, spetta al titolare della situazione protetta, in linea di principio, scegliere a quale far ricorso in vista di ottenere ristoro al pregiudizio provocatogli dall'essere mancata la soddisfazione che è attesa attraverso la condotta altrui.
12.4.1. - L'ordinamento, come assoggetta con norme di diritto sostanziale l'esercizio dei diritti a termini di prescrizione o di decadenza, così dispone con norme di diritto processuale circa i tempi di accesso alla tutela giurisdizionale; esclude in casi specifici determinate situazione soggettive dall'attribuzione di una tra le forme di tutela invece in via generale riconosciute a situazioni dello stesso tipo e, quando riconosce più forme di tutela in concorso tra loro, può prevedere regole di coordinamento nell'atto di farle valere.
E' in questo quadro che si inserisce il tema del rapporto tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, rispetto alle situazioni di interesse legittimo.
12.4.2. - Così, in diritto amministrativo europeo, delle decisioni delle Istituzioni della Comunità prese nei suoi confronti la parte può chiedere l'annullamento per motivi d'illegittimità nel termine
di sessanta giorni da quando ne ha avuto conoscenza, mentre ad un
eguale termine non è soggetta l'azione per responsabilità delle Istituzioni comunitarie sul piano extracontrattuale.
La elaborazione giurisprudenziale di questo sistema - la cui ricostruzione, peraltro, appare alla dottrina italiana non sicura - sembra non escludere la possibilità che in sede di azione di danni si abbia un accertamento incidentale circa l'illegittimità dell'atto non impugnato, anche se registra un sicuro orientamento volto a negare il risarcimento almeno in un definito settore, in particolare quando la relazione controversa intercorre solo tra il ricorrente e la istituzione pubblica e la domanda di danni tende allo stesso risultato che si sarebbe potuto conseguire con l'azione di annullamento.
12.4.3. - Il diritto civile presenta, da noi, in campo societario una specifica disciplina della invalidità delle delibere delle società di capitali.
Dove è negata la legittimazione all'azione di annullamento ed è data l'azione di danni (art. 2377, quarto comma, cod. civ.), il termine per proporre la domanda di risarcimento non è diverso da quello dell'azione di impugnazione (art. 2377, sesto comma).
V è dunque, la specifica previsione di un termine di esercizio per l'azione di danno.
D'altro canto, il diritto societario prevede ipotesi, in cui non sì può pronunciare l'invalidità della delibera, ma la si può accertare in funzione della condanna al risarcimento del danno (artt. 2377 penultimo comma; 2379-ter secondo comma e 2504-quater secondo comma).
E' dunque la tutela demolitoria ad essere impedita - dalla sostituzione della delibera o dalla sua avvenuta esecuzione - non lo stesso accertamento dell'invalidità della delibera, in funzione della ammessa tutela risarcitoria.
12.4.4. - Nel campo del diritto del lavoro, ad una problematica di rapporti tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, dà luogo la disciplina del licenziamento e della sua impugnazione (artt. 6 ed 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604; 8 della L. 20 maggio 1970, n. 300).
L'orientamento della giurisprudenza al riguardo è nel senso che la mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro (Cass. 12 ottobre 2006 n. 21833).
L'inoppugnabilità preclude sì al lavoratore oltre alla tutela reale della reintegrazione nel posto di lavoro, di rivendicare tutela sul piano risarcitorio per il danno costituito ed originato dalla mancata percezione degli emolumenti altrimenti spettanti.
Ciò non toglie, però, che l'ingiustizia del licenziamento resta tale ed è perciò suscettibile di accertamento se si presenta come componente di una più ampia condotta lesiva, cioè quando ha concorso a provocare un danno, diverso da quello patrimoniale costituito dalla perdita degli emolumenti.
12.4.5. - Nei rapporti tra privati ed in materia contrattuale, la scelta tra i mezzi di reazione all'inadempimento - la condanna all'adempimento o la risoluzione del contratto - è lasciata alla parte che lo subisce, ma vige la regola di coordinamento per cui la prima non può essere più chiesta, quando lo è stata la seconda, mentre ad ambedue ed a loro completamento si accompagna la tutela risarcitoria, che tuttavia può essere esperita al posto delle altre (art. 1453 cod. civ.).
12.5.1. - Le situazioni qui considerate - non a caso desunte dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ferve sull'argomento - mostrano che, nel campo del diritto civile, rispetto ad uno schema generale di raccordo tra le tutele, rappresentato dalla soluzione offerta dell'art. 1453 cod. civ., soluzioni specifiche sono approntate in riferimento a rapporti, che vivono in un più complesso quadro organizzativo, e nei quali, siccome si considera prevalente l'esigenza di stabilità dello stato di fatto originato dall'atto, si tende a limitare nel tempo la sua invalidibilità, non escludendo la tutela risarcitoria.
Tecnica non ignota, ora, anche al diritto amministrativo (art. 246.4. del Codice dei contratti pubblici, il D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
12.5.2. - Appare dunque che la regolazione del rapporto, tra le forme di tutela che rendono possibile soddisfare l'interesse protetto e tutela risarcitoria dello stesso interesse, può essere attuata in modi diversi, che a loro volta riflettono da parte del legislatore la valutazione delle esigenze proprie di specifici tipi di rapporti, sicché a proposito di tale regolazione non si può affermare la necessità logica che riguardi nello stesso modo ogni concreta situazione di interesse riconducibile ad un medesimo schema tipico.
13.1. - Nelle ordinanze del 2006 le sezioni unite hanno osservato che è certo nella disponibilità del legislatore disciplinare la tutela delle situazioni soggettive assoggettando a termini di decadenza l'esercizio dell'azione, come si è visto quando ha assoggettato in campo societario al medesimo termine l'azione di impugnazione e quella di risarcimento spettante ai soci non legittimati all'esercizio della prima.
Ma si è anche osservato che una norma siffatta oggi manca.
13.2. - Si postula, però, che dall'art. 7, quarto comma, della legge TAR - quale è risultato dalle modificazioni, che vi sono state apportate, per il tramite dell'art. 35.4. del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dall'art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205 - si trae che il previo annullamento dell'atto impugnato costituisca presupposto del riconoscimento di un diritto al risarcimento.
Ciò, perché il risarcimento v'è detto eventuale ed è considerato quale oggetto di un diritto, che come specie rientra tra gli altri diritti patrimoniali consequenziali.
E perché, si potrebbe forse aggiungere, vi si dice che il tribunale conosce "di tutte le questioni relative al risarcimento del danno" e non - come in disposizioni dettate in tema di giurisdizione esclusiva - anche delle "controversie risarcitorie".
Se non che, se il significato da attribuire alla disposizione fosse questo, la replica sarebbe allora che la norma ha tratto alla tutela risarcitoria che completa quella di annullamento e non alla tutela risarcitoria autonoma, che è oggetto dì discussione.
13.3. - Che la tutela risarcitoria autonoma rientri tra quelle che secondo l'ordinamento pertengono all'interesse legittimo deriva dalla natura sostanziale di tale situazione giuridica soggettiva e, se corrisponde alle viste esigenze di effettività della tutela giurisdizionale degli interessi che ad erogarla sia il giudice amministrativo, non può poi dipendere da questo che la fruizione concreta di tale tutela sia condizionata da un presupposto che attiene invece alla tutela di annullamento.
La tutela giurisdizionale si dimensiona su quella sostanziale e non viceversa.
13.4. - Anche là dove regole di comportamento si traducono in regole di validità dell'atto, la circostanza che la parte che potrebbe avere interesse all'annullamento dell'atto non lo chieda non comporta che esso divenga valido o cessi di essere rilevante la contrarietà del comportamento alla sua regola.
Nel diritto civile, la parte non perde il diritto di far valere l'invalidità se l'altra pretende l'esecuzione del contratto (art. 1442, quarto comma, cod. civ.) e d'altro canto può sempre chiedere il risarcimento del danno derivato dal comportamento che l'altra ha tenuto nell'indurla a contrarre.
Nel diritto amministrativo, l'inoppugnabilità non si traduce in convalidazione del provvedimento illegittimo, di cui resta possibile l'annullamento dall'amministrazione che lo ha emesso.
E perciò se, per non esserne stata chiesta la sospensione, l'atto non perde efficacia e può continuare ad essere eseguito, il comportamento tenuto, prima nell'adottarlo e poi nell'eseguirlo, non perde i suoi tratti di comportamento illegittimo, fonte di responsabilità, per il fatto che dell'atto neppure sia stato poi chiesto l'annullamento.
Lo stesso vale a proposito del comportamento consistito nel mantenere l'atto o nel darvi esecuzione per essere mancata la domanda di annullamento, anche se il non averlo la parte chiesto può rilevare come comportamento che ha concorso a provocare il danno.
Pensare diversamente significa trasformare l'onere della parte di attivarsi nel proprio interesse per l'annullamento in un dovere della parte di collaborare con l'amministrazione a renderla edotta della illegittimità dei propri atti.
Passando poi dal piano del diritto sostanziale a quello del diritto processuale, la pregiudizialità dell'annullamento non può essere desunta sul piano sistematico da caratteristiche che si dicono intrinseche alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto giudice cui è commessa rispetto agli interessi legittimi la tutela demolitoria.
Dal fatto che il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione generale di legittimità, non abbia il potere di dichiarare il dovuto modo d'essere del rapporto, ma solo quello di accertare la illegittimità dell'atto ed annullarlo, sì che è all'amministrazione che torna a spettare di dover provvedere (peraltro nel rispetto dell'effetto conformativo della pronuncia di annullamento), non segue che non possa accertare la responsabilità derivante alla P.A. dall'esercizio illegittimo della funzione.
Oggetto della domanda di risarcimento del danno è il diritto a ad ottenerlo e su ciò si forma il giudicato, mentre l'accertamento sui singoli aspetti della situazione di fatto che genera la responsabilità sono accertati in via incidentale.
Quando si discute sul se spetti il diritto al risarcimento del danno, per pervenire a riconoscerlo, si deve accertare che la parte ha subito un danno per effetto della mancata realizzazione del suo interesse e questo a causa dell'esercizio illegittimo della funzione pubblica e dunque si esercita un potere che nulla ha a che vedere con quello di disapplicazione, che al contrario consiste nel tenere per non prodotti quegli effetti di un atto, che rilevano come presupposto della legittimità del provvedimento, esso oggetto della domanda di annullamento.
13.5. - La teoria della pregiudizialità affonda del resto la sua origine in presupposti che l'attuale stadio di evoluzione della tutela giurisdizionale degli interessi mostra non essere più riferibili all'intero spettro di questa.
Più indici normativi testimoniano della trasformazione in atto dello stesso giudizio sulla domanda di annullamento, da giudizio sul provvedimento in giudizio sul rapporto: ciò che è stato puntualmente messo in rilievo dalla dottrina, in riferimento all'impugnazione, con motivi aggiunti, dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all'oggetto del ricorso (art. 21, primo comma, legge TAR, modificato dall'art. 1 della legge 205 del 2000); al potere del giudice di negare l'annullamento dell'atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando giudichi palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21-octies, comma 1, della legge 241 del 1990, introdotto dall'art. 21-bis della L. 11 febbraio 2005, n. 15); al potere del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dell'istanza nei casi di silenzio (art. 2, comma 5, della L. 241 del 1990, come modificato dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 in sede di conversione del D. L. 14 marzo 2005, n. 35.
13.6. - Non mancano poi i casi in cui l'annullamento non è in grado di procurare alcuna soddisfazione all'interesse protetto, perché era in giuoco il solo interesse del ricorrente ed è trascorso il tempo in cui avrebbe potuto esserlo: ed allora, per ammettere il ricorso, si è costretti a postulare un interesse all'annullamento, perché questo sarebbe il tramite necessario per accedere ad una pronuncia di condanna al risarcimento del danno.
Come non mancano i casi in cui il danno deriva non dall'atto, infine adottato in senso conforme all'interesse di chi lo ha richiesto, ma dal ritardo con cui è stato emesso.
14. - Si può dire in definitiva - nel solco delle ordinanze del 2006 - che la parte, titolare d'una situazione di interesse legittimo, se pretende che questa sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, ha diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela risarcitoria anziché a quella demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo non è quello che l'atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente annullato in sede giurisdizionale o amministrativa.
Il principio di diritto che ne discende e che le sezioni unite enunciano in applicazione dell'art. 363 cod. proc. civ. è dunque questo: - "Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento".
15. - Le spese di questo grado del giudizio si prestano ad essere dichiarate interamente compensate in ragione dell'eguale negativo esito dei ricorsi proposti dalle due parti.

P.Q.M.

La Corte di cassazione, a sezioni unite, riuniti i ricorsi, rigetta l'incidentale e dichiara inammissibile il principale; pronuncia, ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ., il seguente principio di diritto: - "Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso il giorno 21 ottobre 2008, in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili della Corte suprema di cassazione.

Il relatore ed estensore (Paolo Vittoria)
Il Presidente (Vincenzo Carbone)

Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2008.