giovedì 14 maggio 2009

TAR Piemonte, Sez. I, 24 aprile 2009, n. 1180


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1347 del 2006, proposto da: Prucca Giuseppina, rappresentata e difesa dagli avv. Fernando Bracco e Stefania Pedace, con domicilio eletto presso l’avv. Stefania Pedace in Torino, corso Re Umberto, 65;

contro
Sindaco del Comune di Montaldo di Mondovì, in qualità di ufficiale del governo, rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Martinetti, con domicilio eletto presso la dott. Elena Martinetti in Torino, corso Cairoli, 8-bis;
Ministero dell’interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45;

per l'annullamento
dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 5 emessa dal Sindaco del Comune di Montaldo Mondovì il 27.5.2004, con la quale è stato ordinato alla Ditta Galleano Giovanni, corrente in Montaldo di Mondovì, di provvedere, con estrema sollecitudine, all'esecuzione dell'intervento demolitorio del fabbricato rurale prospiciente la via di Circonvallazione della Frazione Roamarenca, distinto al catasto terreni al Foglio 4, mappali 14, 16, 17 e 23,

nonché occorrendo,
per l'annullamento
delle delibere della G.M. nn. 1/2004 e 16/2004 e del C.C. n. 13/2004 con le quali la Giunta Municipale prima ed il Consiglio Comunale poi hanno deciso di procedere all'acquisizione del predetto edificio pericolante al demanio pubblico, necessaria ai fini della demolizione dello stesso, indispensabile per la messa in sicurezza dell'area sulla quale detto fabbricato insiste e per la salvaguardia della pubblica incolumità e della costruzione, al suo posto, di una piazza occorrente per la Frazione Roamarenca,

e per la conseguente condanna
del Ministero dell'interno al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Sindaco del Comune di Montaldo di Mondovi;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9/4/2009 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori intervenuti, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
La ricorrente era proprietaria di un fabbricato rurale ubicato nel territorio del Comune Montaldo di Mondovì, facente parte di un più esteso edificio di proprietà di terzi.
Accertata la sussistenza di condizioni di pericolo riguardo alla stabilità di tale edificio, il Comune di Montaldo di Mondovì, con ordinanza sindacale del 4 aprile 2003, aveva chiuso al transito veicolare e pedonale la strada ad esso prospiciente.
Nel corso del 2003, anche altre autorità avevano segnalato al Comune il pericolo di crollo di parti dell’edificio e suggerito l’adozione di misure volte alla tutela della pubblica incolumità.
Faceva seguito l’adozione di appositi atti deliberativi volti all’acquisizione della proprietà della porzione di edificio dell’attuale ricorrente (a quanto consta, non perfezionatasi) e alla sua successiva demolizione, fino al provvedimento d’urgenza n. 5 del 27 maggio 2004, con cui il Sindaco di Montaldo di Mondovì ordinava alla ditta Galleano Giovanni di procedere alla demolizione del fabbricato rurale, intervento portato a compimento nello stesso mese di maggio del 2004.
Con atto di citazione notificato il 19 aprile 2005, l’attuale ricorrente conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Mondovì, il Comune di Montaldo di Mondovì, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per la demolizione del fabbricato di proprietà.
Il giudizio venne definito con sentenza n. 227 del 31 agosto 2006, declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo.
Preso atto di tale pronuncia, l’interessata proponeva il ricorso in trattazione, notificato al Sindaco del Comune di Montaldo di Mondovì in data 9 novembre 2006 e al Ministero dell’interno in data 10 novembre 2006, instando per l’annullamento della suindicata ordinanza n. 5/2004 (e, occorrendo, degli altri provvedimenti indicati in epigrafe) nonché per la condanna del Ministero dell’interno al risarcimento dei danni, trattandosi di provvedimento adottato dal Sindaco in qualità di ufficiale del governo.
In via preliminare, l’esponente chiede di essere rimessa in termini ai fini dell’impugnazione dei provvedimenti lesivi dei suoi interessi, qualora detta impugnativa venga considerata dal giudicante alla stregua di condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria.
Nel merito, deduce i seguenti motivi di gravame:
I) Violazione degli artt. 7, 8 e 10 della l. 7.8.1990, n. 241.
La censura si riferisce alla mancata comunicazione di avvio del procedimento definito con l’ordinanza impugnata in principalità e all’omessa indicazione, nel provvedimento medesimo, di specifiche ragioni di urgenza atte a giustificare l’omissione, peraltro ritenute indimostrabili in ragione del lungo tempo intercorso dalla prima ordinanza d’urgenza (quella del 4 aprile 2003 di chiusura della strada).
II) Violazione degli artt. 54, secondo e quarto comma, del d.lgs. 18.8.2000, n. 267 e 30 del d.lgs. 30.4.1992, n. 285. Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento.
Prima di disporre l’abbattimento dell’edificio, il Sindaco, nel rispetto della corretta sequenza procedimentale disegnata dalla legge, avrebbe dovuto invitare la ricorrente a mettere in sicurezza il fabbricato di sua proprietà.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 54, secondo comma, del d.lgs. 18.8.2000, n. 267. Eccesso di potere per difetto di motivazione e per erroneità dei presupposti nonché per difetto di istruttoria.
Il provvedimento impugnato in principalità sarebbe del tutto carente in relazione alla qualificazione del fatto giustificativo quale evento imprevisto ed eccezionale e non sarebbe stato preceduto da un’attività istruttoria idonea ad accertare l’effettivo pericolo di crollo del fabbricato.
In contrasto con la sua natura, inoltre, detto provvedimento sarebbe destinato a regolare la situazione in modo stabile e duraturo.
IV) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e per violazione del principio di proporzionalità nella comparazione degli interessi in gioco.
Vertendosi in materia nella quale la giurisdizione del giudice amministrativo è estesa al merito, il giudicante dovrebbe valutare la possibilità, asseritamente sussistente nella fattispecie, di tutelare la pubblica incolumità mediante misure meno lesive degli interessi del privato, concretamente volte alla conservazione dell’edificio anziché alla sua demolizione.
In punto risarcimento del danno, l’esponente precisa che esso dovrebbe comprendere i costi per la ricostruzione del fabbricato, per la rimozione delle macerie e il ripristino dell’area, il danno sofferto per l’indisponibilità del fabbricato e il valore dei beni mobili che si trovavano al suo interno (la ricorrente, in seguito, ha formalmente rinunciato a quest’ultima voce di danno).
Si è costituito in giudizio il Comune di Montaldo di Mondovì, eccependo, in via preliminare, l’irricevibilità del ricorso per tardività e l’insussistenza delle condizioni per dare luogo alla rimessione in termini della ricorrente.
Nel merito, la difesa comunale argomenta nel senso dell’infondatezza del gravame.
Si è anche costituita l’Avvocatura distrettuale dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’interno.
Con memorie depositate in prossimità della pubblica udienza, la difesa della ricorrente e del Comune hanno ulteriormente articolato le proprie argomentazioni.
Chiamato alla pubblica udienza del 9 aprile 2009, infine, il ricorso è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) Oggetto della presenta impugnazione è l’ordinanza contingibile e urgente n. 5 del 27 maggio 2004, con cui il Sindaco di Montaldo di Mondovì, accertata la precaria stabilità del fabbricato rurale di proprietà della ricorrente e i conseguenti pericoli per la pubblica incolumità, ha ingiunto a una ditta terza di provvedere alla demolizione del fabbricato medesimo.
Nell’epigrafe e nelle conclusioni del ricorso si chiede, ove occorra, l’annullamento di altri atti adottati dagli organi deliberativi del Comune, peraltro rimasti privi di esecuzione e non costituenti presupposto del provvedimento impugnato in principalità.
Atteso che l’ordinanza contestata era stata integralmente eseguita prima della proposizione del gravame giurisdizionale amministrativo, l’interesse della ricorrente si concentra sul risarcimento dei danni cagionati dall’intervento demolitorio e individuati con riferimento ai costi per la ricostruzione del fabbricato, per la rimozione delle macerie e il ripristino dell’area e al pregiudizio derivante dall’indisponibilità del fabbricato stesso.
2) Prima di vagliare il merito del ricorso, occorre soffermarsi sull’eccezione di tardività concordemente proposta dalle parti resistenti, ad avviso delle quali l’attuale ricorrente avrebbe avuto piena conoscenza dei provvedimenti impugnati nell’immediatezza della loro adozione.
Premesso che l’ordinanza impugnata in principalità era stata adottata il 27 maggio 2004 e il ricorso giurisdizionale è stato notificato solamente in data 9 e 10 novembre 2006, ampiamente oltre il termine decadenziale di legge, la dimostrazione della fondatezza dell’eccezione di irricevibilità è fornita dalla stessa parte ricorrente la quale ha spontaneamente formulato, nell’atto introduttivo del giudizio, una richiesta di rimessione in termini ai fini dell’impugnazione che assume quale necessitato presupposto logico il riconoscimento della tardività del gravame.
Equivale a dire che la richiesta di rimessione in termini non avrebbe avuto senso qualora l’istante, contrariamente a quanto sostenuto nel prosieguo del giudizio, avesse avuto ragione di confidare nella tempestività del gravame.
Ulteriore e decisiva conferma in tal senso si riviene alla pagina 9 del ricorso introduttivo, ove si afferma che la mancata comunicazione dei provvedimenti impugnati aveva impedito alla destinataria di acquisirne immediata contezza e si precisa che la stessa ne è "venuta a conoscenza solo a seguito del giudizio promosso davanti al Tribunale di Mondovì".
Quest’ultima affermazione comprova che la piena conoscenza dell’ordinanza contingibile e urgente impugnata in principalità risale, al più tardi, al momento in cui detto provvedimento è stato prodotto dalla difesa comunale nel giudizio davanti al Tribunale di Mondovì, quindi in data 4 luglio 2005.
Per completezza, si precisa che l’adempimento processuale da ultimo indicato sarebbe risultato, in ogni caso, idoneo ex se a determinare la decorrenza del termine di impugnazione.
Se è vero, infatti, che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il deposito in giudizio di un atto ne comporta la conoscenza in capo al solo difensore, va anche rilevato come il conferimento della procura alle liti, che comporta il potere di compiere e ricevere tutti gli atti del processo, fa sì che la conoscenza del difensore sia da considerarsi ad ogni effetto come conoscenza della parte (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 18 agosto 2008, n. 2394).
Tale affermazione non comporta alcuna lesione del principio di effettività della difesa, posto che la parte la quale si avvantaggia dell’attività processuale svolta dal proprio avvocato è anche tenuta a subire le conseguenze degli stati soggettivi rilevanti che sussistono in capo ad esso.
3) Deve essere esaminata, a questo punto, l’istanza di rimessione in termini proposta dalla parte ricorrente con riferimento a presunte difficoltà interpretative e oscillazioni giurisprudenziali che varrebbero a rendere scusabile l’errore in cui essa è incorsa in relazione alla tardiva notifica del ricorso.
Nella memoria difensiva depositata il 26 marzo 2009, l’istante precisa che il preteso diritto alla rimessione in termini va riconosciuto "in relazione all’obiettiva incertezza che nel 2005 si registrava ancora in tema di autorità deputata a conoscere delle domande di risarcimento dei danni derivanti dall’esecuzione di provvedimenti amministrativi illegittimi".
La prospettazione difensiva non è condivisibile, essendo indubbio che, nel sistema normativo conseguente alla legge 21 luglio 2000, n. 205, le questioni afferenti il risarcimento del danno configurantesi quale appendice fisiologica dell’attività provvedimentale della pubblica amministrazione appartenevano pacificamente alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo.
Ne consegue che la ricorrente, intenzionata nel 2005 a far valere la responsabilità della pubblica amministrazione da attività procedimentale illegittima, non poteva errare, anche avendo riguardo alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 204 del 6 luglio 2004 e n. 281 del 28 luglio 2004, nell’individuazione del giudice munito di giurisdizione.
A conclusioni non dissimili si perviene ove si ritenga che l’interessata avesse inteso reagire, in origine, contro un mero comportamento materiale della pubblica amministrazione ed abbia appreso solo in seguito dell’esistenza del provvedimento lesivo, poiché la conoscenza dell’atto acquisita nel corso del giudizio davanti al giudice ordinario la onerava, in ogni caso, a dispiegare immediata impugnativa dinanzi al giudice amministrativo.
Non rileva, infine, il fatto, denunciato dalla ricorrente, che non fosse stato indicato nell’atto l’organo davanti al quale doveva essere proposta l’impugnativa giurisdizionale, poiché tale omissione può costituire presupposto per il riconoscimento dell’errore scusabile solo nel caso in cui sia apprezzabile una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del soggetto leso dall’atto stesso.
Nel caso in esame, l’esclusione di una situazione obiettiva di incertezza comporta l’irrilevanza dell’omissione de qua in quanto, in caso contrario, la mancanza di un adempimento formale varrebbe quale indiscriminata esenzione dall’onere di ottemperare a prescrizioni vincolanti ex lege (Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2008, n. 5860).
4) Il tema affrontato sub 3) si allaccia, anche nelle prospettazioni della parte ricorrente, con quello della translatio iudicii.
Sostiene l’esponente che il presente giudizio costituisce prosecuzione o riassunzione di quello incardinato nel 2005 davanti al giudice ordinario e definito con pronuncia declinatoria della giurisdizione; essa precisa, altresì, che la continuità dei giudizi andrebbe riconosciuta nonostante il primo giudice non avesse adottato espresse statuizioni in merito alla riassunzione e alla conservazione degli effetti della domanda.
Nel caso in esame, però, l’applicazione del menzionato principio della translatio iudicii – affermato, con percorsi argomentativi differenti, sia dalla Corte costituzionale sia dalla Corte di cassazione – non può comportare gli effetti auspicati dalla parte ricorrente.
Infatti, la salvaguardia degli effetti sostanziali e processuali conseguenti alla proposizione della domanda davanti al giudice sfornito di giurisdizione non può costituire, de iure condito, un mezzo per aggirare i termini decadenziali previsti dalla legge per la tutela dei diritti e degli interessi legittimi nella sede propria, ossia davanti al giudice munito di giurisdizione (Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1606).
Diversamente opinando, la proposizione della domanda risarcitoria davanti al giudice civile, anche laddove esso sia pacificamente sfornito di giurisdizione, costituirebbe strumento di agevole utilizzazione per eludere il rispetto dei termini decadenziali di impugnazione degli atti amministrativi illegittimi, nel caso in cui l’inerzia dell’interessato li abbia fatti spirare inutilmente.
5) Per tali ragioni, l’azione di annullamento esplicata dalla parte ricorrente è tardiva e il ricorso deve essere dichiarato irricevibile in parte qua.
Viene ora in considerazione la domanda di risarcimento del danno asseritamente cagionato dall’esecuzione del provvedimento impugnato e, in tale ambito, deve preliminarmente valutarsi se l’irricevibilità dell’azione di annullamento osti allo scrutinio delle censure di legittimità dedotte dalla parte ricorrente.
Si pone, in altre parole, la nota questione della sussistenza della cosiddetta pregiudiziale amministrativa, rispetto alla quale, nonostante le contrarie argomentazioni sviluppate dalla ricorrente, anche richiamandosi alle pronunce della Corte di cassazione contrarie all’affermazione del principio, non si ritiene di doversi discostare dai propri precedenti specifici (T.A.R Piemonte, sez. I, 13 novembre 2006, n. 4130) e dai principi affermati ancora del tutto recentemente dal Consiglio di Stato (sez. VI, 3 febbraio 2009, n. 578).
E’ appena il caso di rammentare, al riguardo, come il principio della pregiudiziale, fondato sull’impossibilità di accertare in via incidentale l’illegittimità dell’atto quale elemento costitutivo della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione, costituisca fondamentale presidio a tutela della certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, in connessione con il termine decadenziale prescritto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi.
Le accennate esigenze di certezza, infatti, risulterebbero inevitabilmente compromesse laddove fosse consentito al privato, rimasto inerte di fronte ad un provvedimento a lui sfavorevole (nel senso di non averlo impugnato o di averlo impugnato tardivamente), di agire per il risarcimento del danno nel più ampio termine prescrizionale di cinque anni.
Né si può ritenere che l’applicazione del principio controverso comporti alcuna restrizione della tutela giurisdizionale: in primo luogo, perché il risarcimento del danno costituisce uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello demolitorio, per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione (cfr. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204); inoltre, perché l’ordinamento conosce molteplici casi di contestazione di atti amministrativi davanti al giudice ordinario in cui, privilegiando l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, vengono previsti termini decadenziali la cui scadenza preclude l’esercizio dell’azione risarcitoria (così, ad esempio, in materia di sanzioni amministrative irrogate mediante ordinanze-ingiunzioni, di recesso del datore di lavoro ovvero, ancora, di delibere condominiali e societarie non impugnate), senza che sia stata posta in discussione la costituzionalità di dette preclusioni.
Va ancora precisato che l’affermazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all’esame della domanda risarcitoria, ma ne determina l’esito negativo nel merito (Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2009 n. 578 e 19 giugno 2008, n. 3059).
La domanda di risarcimento del danno derivante da un provvedimento che, come nel caso in esame, è stato tardivamente impugnato è, quindi, ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la tardiva impugnazione consente all’atto fonte del danno di operare in modo precettivo, dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone l’osservanza ai consociati, così impedendo che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’amministrazione in esecuzione dell’atto medesimo.
Per tali ragioni, deve essere respinta la domanda risarcitoria proposta dalla parte ricorrente.
6) In conclusione, il ricorso deve essere in parte dichiarato irricevibile, con riferimento all’azione di annullamento, e in parte respinto, con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni.
7) La peculiarità delle questioni affrontate consente di compensare integralmente le spese di lite fra le parti costituite.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara in parte irricevibile e in parte lo respinge, come da motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 09/04/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Franco Bianchi, Presidente
Richard Goso, Primo Referendario, Estensore
Alfonso Graziano, Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/04/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO

mercoledì 13 maggio 2009

Corte di Cassazione, SS.UU., ordinanza 17 aprile 2009 n. 9151

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI - ordinanza 17 aprile 2009 n. 9151 - Pres. ff. Vittoria, Rel. Goldoni - Immobiliare La Stazione s.r.l. (Avv. Bertolani) c. Comune di Castelnuovo di Sotto (Avv.ti Alb. Romano, Cugurra e Bassi).

PREMESSO IN FATTO

che la Immobiliare La Stazione srl ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione nella causa introdotta nei suoi confronti dal comune di Castelnuovo di Sotto, con ricorso al TAR per l'Emilia Romagna di Parma;

che la società premetteva che con atto notarile del 24.2.1997, tra le parti era stata stipulata una convenzione urbanistica attuati va di un programma integrato di intervento;

che, insorta controversia tra le parti, le stesse avevano transatto la lite con atto del 25.2.2002 alle condizioni ivi previste;

che successivamente era insorta altra controversia tra le parti, che, malgrado tentativi di bonaria composizione, aveva indotto il Comune ad adire il TAR, chiedendo l'accertamento dell'obbligo della società a realizzare un Centro culturale polivalente e la condanna della società medesima al pagamento del danno derivato dalla mancata esecuzione dell'opera, con richiesta di provvedimento cautelare contenente l'ordine di inizio della realizzazione dell'opera suddetta;

che la ricorrente sostiene che la giurisdizione spetti al Giudice ordinario, in quanto la controversia ha ad oggetto l'esecuzione non di un accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990, art. 11), ma un atto di transazione, venendo quindi in evidenza l'adempimento di obbligazioni di natura privatistica, e ciò in riferimento a tutte le domande del Comune; che il Comune sostiene, nel proposto controricorso, che i rapporti tra le parti resterebbero pur sempre regolati da una convenzione urbanistica, per cui la causa resterebbe attratta nella giurisdizione esclusiva prevista per tali controversie, non operando nella specie la L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2, invocato dal ricorrente;

che entrambe le parti hanno presentato memoria;

che il P. G. ha rassegnato conclusioni scritte, instando per la declaratoria della giurisdizione del Giudice amministrativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

la convenzione urbanistica diretta a disciplinare il rilascio di concessioni edilizie e la realizzazione di opere di urbanizzazione costituisce una convenzione di lottizzazione, rientrante tra gli accordi sostitutivi del provvedimento rispetto a cui la L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 5, prevede la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo per le controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione di detti accordi.

La giurisdizione esclusiva non viene meno nell'ipotesi in cui, insorti alcuni contenziosi e concluso tra la parte privata ed il Comune un accordo transattivo con modifica della convenzione originaria, venga giudizialmente richiesta l'esecuzione di una determinata opera da parte dell'Ente comunale e la condanna della società al risarcimento del danno per la ritardata esecuzione dell'opera stessa. L'accordo transattivo e la successiva variante alla convenzione originaria sono infatti comunque collegati a detta convenzione, per cui si tratta di atti - con contenuto riconducibile alle problematiche relative agli oneri di urbanizzazione - endoprocedimentali all'interno di un procedimento amministrativo complesso, finalizzato a consentire al privato di edificare su terreni di sua proprietà e la controversia non attiene ad aspetti meramente patrimoniali del rapporto concessorio, involgendo invece valutazioni strettamente inerenti a detto rapporto nel momento funzionale (v. Cass. 20.11.2007, n. 24009).

Tali conclusioni sono sostenute da un ormai consolidato e condiviso, completamente e con assoluta convinzione, avviso che attinge alla radici stesse della tematica e si atteggia pertanto a principio generale nella subiecta materia (cfr. Cass. nn 19494, 18630 del 2008 e 2029 (ordza) dello stesso anno), che non può pertanto risultare scalfito da considerazioni di specie relativa alla domanda di risarcimento del danno, che non valgono a svilire la analisi intrinseca del rapporto, che mantiene la sua connotazione proprio in ragione dell'inevitabile collegamento alla convenzione originaria.

Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento e va conseguentemente dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dichiara la giurisdizione del Giudice amministrativo e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in 2.000,00 Euro, di cui 1.800,00 Euro per onorari, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2009.

Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2009.