lunedì 20 luglio 2009

Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili - sentenza 1 luglio 2009 n. 15377

Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili - sentenza 1 luglio 2009 n. 15377 - Pres. Carbone, Rel. Segreto - Istituto David Chiossone c. AUSL 3 Genova - (dichiara la giurisdizione del giudice ordinario).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto ingiuntivo n. 274/2 001 del tribunale di Genova, (omissis), paziente dismesso dall'ospedale psichiatrico e degente presso l'istituto David Chiossone, ente morale, convenzionato, veniva condannato al pagamento in favore di detto istituto della ed. quota alberghiera della retta di degenza dal 1998 al 2000 e con successivo decreto ingiuntivo n. 1744/2002 l'Ausl 3 Genova e lo stesso venivano condannati in solido al pagamento in favore dell'Istituto di tale quota alberghiera della retta di degenza dal 2001 al 2002. Gli ingiunti proponevano separate opposizioni, poi riunite. La Ausi eccepiva il difetto di giurisdizione.

Il Tribunale di Genova revocava i decreti ingiuntivi e condannava gli ingiunti al pagamento di somme diverse in favore dell'attore Istituto.

Su appello dell'istituto ed appello incidentale degli ingiunti, la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 145 del 16.2.2007, dichiarava il difetto di giurisdizione dell'ago, quanto alla domanda proposta nei confronti della AUSL, mentre in parziale accoglimento dell'appello incidentale del Nizzi, condannava questi al pagamento di una somma minore nei confronti dell' istituto.

Riteneva la corte territoriale che nella specie, quanto alla domanda proposta nei confronti della AUSL, la giurisdizione si appartenesse al giudice amministrativo, poiché si verteva in ipotesi di interpretazione di deliberazioni regionali circa la spettanza al SSN o al privato, ex ricoverato, della ed. quota di alberghiera di degenza, pertinente al ricovero disposto dalla AUSL nella struttura convenzionata.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'istituto attore, articolato in 4 motivi. Resiste con controricorso la AUSL 3 Genovese. Entrambe le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 5 c. 2, 1. n. 1034/1971, degli artt. 5 e 37 c.p.c., degli artt. 26,44,69 1. n. 833/1978, del d.l. n. 502/1992, 1. n. 662/1996, 1. n. 449/1997, d. lgs. n. 109/1998. Assume il ricorrente che la giurisdizione si appartiene all'A.G.O.; che l'importo della quota di degenza richiesta è quella fissata dalla AUSL; che tale costo è a carico del SSN, demandando la legge alle regioni di stabilire la misura di partecipazione del ricoverato, quale rimborso da pagare ali'AUSL, nel quale rapporto l'istituto rimane estraneo (1. r. Liguria n. 30/1998).

2.1. Il motivo è fondato e va, per l'effetto, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.

Preliminarmente va rigettata l'eccezione di inammissibilità del motivo di ricorso: questo, infatti, presenta un quesito di diritto conforme al dettato dell'art. 366 bis c.p.c.

Va anzitutto premesso che la presente controversia deve essere decisa sulla base della più limitata previsione del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, conseguente alla sentenza della Corte Cost, n. 2 04/2004, avendo questa Suprema Corte più volte stabilito (Cass. 2002/6487, 2004/20635, 2005/1362 e 2006/3370) che il principio sancito dall'art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione (e la competenza) si determinano in base alla legge vigente al momento della domanda, non opera nel caso in cui tale legge sia stata poi dichiarata illegittima, perché le pronunce di incostituzionalità comportano l’espunzione ab origine della norma che, pertanto, non può più essere applicata neppure ai limitati fini di cui all'art. 5 c.p.c.

2.2. Va osservato che l'assetto normativo derivante dalla L. 13 maggio 1978, n. 180, che ha modificato radicalmente il sistema di custodia e cura degli alienati, con la soppressione dei manicomi, e dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, che ha introdotto il Servizio Sanitario Nazionale, attribuendo agli alienati lo stesso trattamento riservato ai soggetti affetti da altre patologie, comporta l'inapplicabilità della L. 14 febbraio 1904, n. 36, art. 7, - che devolveva al Consiglio di Stato le controversie aventi ad oggetto le relative spese in cui fossero interessati lo Stato, più Province o Comuni o istituzioni di pubblica beneficenza obbligati al mantenimento degli alienati appartenenti a Province diverse - e del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 29, n. 5, che prevedeva in tale materia la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con la conseguenza che, a seguito della dichiarazione d'illegittimità costituzionale (Corte cost. n. 204/2004) del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, così come modificato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, che attribuiva al giudice amministrativo, a prescindere dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte, le controversie riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio Sanitario, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda di pagamento del corrispettivo per il servizio di degenza reso in favore di un privato, proposta da una casa di cura privata nei confronti di una unità sanitaria locale, che non implichi 1'interpretazione di una convenzione o di un atto o un provvedimento amministrativo (Cass. S.U. 30.7.2008, n. 20586; Cass. S.U. , 15/07/2005, n. 14986; Cass. S.U. 26.7.2006, n. 17000).

3.1.Sennonché, quanto a quest'ultima ipotesi, va osservato che la Corte costituzionale, con la predetta sentenza n. 204/2004, ha statuito che, a prescindere dall'ipotesi di concessione di servizi, già contemplata dalla L. n. 1034 del 1971, art. 5, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi sopravvive soltanto nelle controversie "relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento regolato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241", ovvero relative all’affidamento di un pubblico servizio e alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché alla vigilanza in settori particolari espressamente indicati. Innanzitutto, è opportuno rilevare che l'espressione "provvedimento" è da intendere in senso stretto, e cioè -secondo la nozione che si ricava dalla tradizione e dalla giurisprudenza dì questa Corte - relativa soltanto gli atti amministrativi discrezionali, autoritativi e costitutivi, essendone esclusi quelli meramente dichiarativi.

Si deve ribadire che il potere dell'amministrazione di incidere sull'assetto delle situazioni soggettive è una conseguenza della particolare efficacia dell'atto, e che il nostro sistema costituzionale non prevede alcuna riserva di amministrazione. Come rilevato dalla stessa sentenza della Corte costituzionale, ai provvedimenti devono essere equiparati i casi in cui 1'amministrazione si sia avvalsa della facoltà di adottare strumenti negoziali in sostituzione di provvedimenti (L. n. 241 del 1990, art. 11).

3.2.Quanto all'area della giurisdizione, ridisegnata dalla pronuncia costituzionale, nel sistema attualmente vigente il riferimento della controversia al provvedimento significa che, per essere attratta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, oggetto del giudizio deve essere il provvedimento di per se stesso considerato. E poiché si tratta di giurisdizione esclusiva, e perciò estesa alle controversie su diritti soggettiivi, il suo ambito non può, ovviamente, coincidere con quello della giurisdizione di legittimità, nel quale la situazione soggettiva di cui si chiede tutela è l'interesse legittimo.

La norma, nella rilettura del Giudice delle leggi, si riferisce, pertanto, oltre ai casi di lesione di interessi legittimi, anche ai casi in cui, per varie ragioni, l'atto amministrativo può essere lesivo di diritti soggettivi, come nella ed. carenza di potere in concreto e nella lesione di diritti fondamentali, in relazione ai quali, secondo la giurisprudenza della Corte, non si verifica - in considerazione della tutela rafforzata derivante direttamente dalla Costituzione - la ed. degradazione del diritto (Cass. S.U. 04/07/2006, n. 15216).

È ovvio, quindi, che l'afferenza della controversia ad un provvedimento, necessaria per radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo la norma riletta dalla Corte costituzionale, non significa che questo debba formare oggetto di sindacato, nel senso che la tutela del diritto soggettivo, affidata a tale giudice, può prescindere da qualunque questione di legittimità del provvedimento.

3.3.Applicando tali regole al caso di specie, non ricollegandosi il rapporto dedotto in giudizio ad un esercizio di poteri autoritativi dell'amministrazione, nel senso sopra chiarito, deve escludersi l'esistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche ove non volesse condividersi l’impostazione secondo cui i rapporti di carattere patrimoniale sono "ex definitione" esclusi dall'area in cui opera il potere autoritativo della p.a..

Infatti, la domanda di pagamento della quota alberghiera delle rette di degenza proposta dall’Istituto, oltre a non contenere alcun sindacato di atti provvedimentali, non afferisce a rapporti costituiti o modificati da atti di tale specie, avendo l'attore richiesto il corrispettivo per un'obbligazione di natura assistenziale, ricollegantesi a presupposti prefigurati dalla legge.

Nella specie, la disciplina legislativa (l. n. 833/1978, l. n. 180/1978 art. 2 e segg.) configura espressamente le prestazioni sanitarie come oggetto di diritto delle persone, senza che la nascita di tale diritto sia condizionata all'emanazione di atti discrezionali.

La sfera della discrezionalità riguarda, invece, la redazione dei programmi assistenziali, coi quali vengono stabilite le tipologie di interventi e determinate le risorse destinate ali 'attuazione di tali programmi , atti che sono di competenza regionale e che, secondo quanto sopra rilevato, non riguardano direttamente la costituzione del rapporto (Cass. S.U. 18.10.2005, n. 20114).

Pertanto, la controversia sull'individuazione del soggetto obbligato al pagamento della quota alberghiera della retta di degenza (1. r. Liguria 9.9.1998, n. 30 e successive delibere regionali attuative) e quindi sulla titolarità passiva del rapporto, non è elemento sufficiente per attribuirne la cognizione al giudice amministrativo, mancando nella specie un provvedimento amministrativo (nel senso sopra chiarito), della cui legittimità si discuta e la deduzione dell'esercizio d'un potere discrezionale da parte della Amministrazione (Cass. S.U. n. 17928/2008; 20586/2008).

Conseguente va affermata la giurisdizione del giudice ordinario, relativamente alla domanda proposta dall'istituto attore.

4.Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'erronea ed illegittima estensione della giurisdizione dell'Ago ai rapporti tra esso istituto ed in violazione dell'art. 5 l. 1034/1971, degli artt. 5 e 37 c.p.c. e dei principi emergenti dalla legge 833/1971; art. 26/44 e 69 del d.l. 502/1992, in relazione all'art. 360 n. l e 3 c.p.c. Ritiene il ricorrente che invece per tale rapporto andava affermata la giurisdizione del Giudice amministrativo, in quanto il (omissis) assumeva che egli non doveva partecipare alla spesa, alla quale era tenuta la AUSL. 5.1. Il motivo è inammissibile per essersi formato il giudicato implicito in merito alla giurisdizione dell'AGO, quanto al rapporto tra l'Istituto attore ed il

Va, anzitutto, osservato che queste S.U. con recente sentenza 9.10.2008, n. 24883, hanno statuito che in ogni processo vanno individuati due distinti e non confondibili oggetti del giudizio, l'uno (processuale) concernente la sussistenza o meno del dovere - potere del giudice di risolvere il merito della causa, e l'altro (sostanziale) relativo alla fondatezza o no della domanda.

Stante l'obbligo del giudice di accertare l'esistenza della propria giurisdizione prima di passare all' esame del merito o di altra questione ad essa successiva, può legittimamente presumersi che ogni statuizione al riguardo contenga implicitamente quella sull'antecedente logico da cui è condizionata, e cioè sull'esistenza della giurisdizione, in difetto della quale non avrebbe potuto essere adottata. Pertanto non si può affermare che, in mancanza di una specifica statuizione, la questione di giurisdizione (presente in ogni causa) non sia stata affrontata. Se il giudice ha deciso il merito, in forza del combinato disposto degli artt. 276, c. 2, e 37 c.p.c. (che impongono la verifica d'ufficio della potestas iudicandi) si deve ritenere che abbia già deciso in senso positivo la questione pregiudiziale della giurisdizione. In definitiva, secondo detto recente orientamento di queste S.U., che va qui condiviso e ribadito, la decisione sul merito implica la decisione sulla giurisdizione e, quindi, se le parti non impugnano la sentenza o la impugnano, ma non eccepiscono il difetto di giurisdizione, pongono in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire tale difetto e, quindi, si verifica il fenomeno dell'acquiescenza per incompatibilità con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 329, c. 2 c.p.c. e dall'art. 324 c.p.c.

5.2.Nella fattispecie il tribunale aveva pronunziato nel merito, quanto alla domanda proposta dall'Istituto nei confronti del Nizzi. Sulla statuizione implicita relativa alla giurisdizione del giudice ordinario per tale rapporto, nessuno ha proposto impugnazione, per cui sul punto si è formato il giudicato implicito.

6 .Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112-277- 342-346-352-359 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. ed il vizio motivazionale su fatto controverso, a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto : "Se la corte di appello deve pronunziare su tutte le domande formulate dall'appellante nelle conclusioni dell'atto di appello, riproposte in udienza ex art. 352 c.p.c. , trascritte in sentenza."

7.1. Il motivo è inammissibile poiché il quesito di diritto sopra esposto non è conforme ai requisiti di cui all'art. 366 bis c.p.c..

Infatti il quesito di diritto con il quale deve concludersi a pena di inammissibilità ciascuno dei motivi con i quali il ricorrente denunzia alla Corte un vizio riconducibile ad una o più fattispecie regolate nei primi quattro numeri dell'art. 360, comma primo, cod. proc. civ. deve essere risolutivo del punto

della controversia e non può definirsi nella richiesta di declaratoria di un'astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (Cass. 03/08/2007, n. 17108).La formulazione del quesito prevista dall1 art. 366-bis cod. proc. civ. postula l'enunciazione, ad opera del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e perciò tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice "a quo". Non è pertanto ammissibile un motivo di ricorso che si concluda con l'esposizione di un quesito meramente ripetitivo del contenuto della norma applicata dal giudice del merito (Cass. 22.6.2007, n. 14682).

7.2. Nella fattispecie il quesito è privo di ogni attinenza alla fattispecie concreta, non indicando quali siano le domande su cui il giudice di appello non si sarebbe pronunziato.

7.3. Quanto all'assunto vizio motivazionale, poiché esso consiste secondo il ricorrente "nella contraddittorietà della motivazione della corte di appello nell'omettere ogni statuizione sul merito di tale parte di appello pur riconosciuto dalla corte di appello espressamente proposto" va osservato che esso non integra un vizio motivazionale di cui all'art. 360 n. 5, e cioè relativo alla ricostruzione dei fatti, ma un pretesa contraddittoria motivazione giuridica, che, quindi, va sussunta nel vizio di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c. (relativamente al quale manca il quesito di diritto, come sopra detto).

Infatti il vizio di motivazione riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5 può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l'interpretazione o l'applicazione di norme giuridiche; in questo secondo caso, che invece ricade nella previsione dell'art. 360 c.p.c, n. 3 il vizio di motivazione in diritto non può avere rilievo di per sé, in quanto esso, se il giudice del merito ha deciso correttamente le questioni di diritto sottoposte al suo esame, supportando la sua decisione con argomentazioni inadeguate, illogiche o contraddittorie, o senza dare alcuna motivazione, può dar luogo alla correzione della motivazione da parte della Corte di Cassazione (Cass. 06/08/2003, n.11883).

8 - Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5-99-100-112-342-343-345- c.p.c e degli artt. 1260, 1264, 1269, 1271 ce in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se la decisione sull'appello incidentale proposto da un appellato deve essere circoscritta nei limiti oggettivi e soggettivi dell'appello incidentale, senza che sia consentito estendere d'ufficio le eccezioni nei confronti dei soggetti cui non sono dirette".

9. Il motivo è inammissibile per inadeguatezza del quesito di diritto proposto, sulla base dei principi sopra esposti. In particolare non risulta da esso alcun riferimento alla fattispecie concreta né quale fosse 1'esatta regola iuris da applicare in luogo di quella applicata erratamente dal giudice di merito.

Quanto al preteso vizio motivazionale, anche in questo caso esso si risolve non in un vizio attinente alla ricostruzione fattuale, e come tale rientrante nel paradigma di cui ali'art. 360 n. 5 c.p.c, ma alla motivazione giuridica. Infatti il ricorrente lamenta la motivazione contraddittoria per aver la corte di appello prima ritenuto che l'appello incidentale del Nizzi concernesse la pretesa di porre a carico dell'Ausi le prestazioni e poi accolto lo stesso con parziale riduzione del quantum, pur affermando che le domande contro la Aus 1 erano precluse dalla carenza di giurisdizione.

10.In definitiva va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarati inammissibili i restanti. Va cassata, in relazione al motivo accolto, l'impugnata sentenza ed affermata la giurisdizione del giudice ordinario anche relativamente alla domanda proposta dall'attore nei confronti della AUSL 3 "Genovese". Va rinviata la causa , anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Genova.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili i restanti. Cassa, in relazione al motivo accolto, l'impugnata sentenza e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario anche relativamente alla domanda proposta dall'attore nei confronti della AUSL 3 "Genovese". Rinvia la causa , anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Genova.

Così deciso in Roma, lì 26 maggio 2009.

Il cons. est.

Il Presidente

Depositata in Cancelleria in data 1 luglio 2009.

venerdì 17 luglio 2009

Corte di Giustizia Europea, Sez. IV, 19 maggio 2009, n. C-538/07

«Direttiva 92/50/CEE – Art. 29, primo comma – Appalti pubblici di servizi – Normativa nazionale che non autorizza la partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione, in modo concorrente, di società aventi fra loro un rapporto di controllo o d’influenza notevole»

Nel procedimento C 538/07,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con decisione 14 novembre 2007, pervenuta in cancelleria il 3 dicembre 2007, nella causa
Assitur Srl

contro
Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano,

e nei confronti di:
SDA Express Courier SpA,
Poste Italiane SpA,

LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász (relatore), G. Arestis e J. Malenovský, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 dicembre 2008,
considerate le osservazioni presentate:
– per l’Assitur Srl, dall’avv. S. Quadrio;
– per la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano, dall’avv. M. Bassani;
– per la SDA Express Courier SpA, dagli avv.ti A. Vallefuoco e V. Vallefuoco;
– per la Poste Italiane SpA, dall’avv. A. Fratini;
– per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. D. Kukovec e dalla sig.ra D. Recchia, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 febbraio 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 29, primo comma, della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), nonché dei principi generali del diritto comunitario in materia di appalti pubblici.
2 La questione è sorta nell’ambito di una controversia tra l’Assitur Srl (in prosieguo: l’«Assitur») e la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano, in merito alla compatibilità con le disposizioni e i principi summenzionati di una normativa nazionale che vieta la partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione di appalto, in modo separato e concorrente, di società tra le quali sussista un rapporto di controllo o delle quali una eserciti sulle altre un’influenza notevole.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 L’art. 29 della direttiva 92/50, contenuto nel capitolo 2 di quest’ultima, recante il titolo «Criteri di selezione qualitativa», al suo primo comma dispone quanto segue:
«Può venir escluso dalla partecipazione ad un appalto qualunque prestatore di servizi il quale:
a) sia in stato di fallimento, di liquidazione, di amministrazione controllata, di concordato preventivo, di sospensione dell’attività commerciale o si trovi in qualsiasi altra situazione analoga derivante da una procedura simile prevista dalle leggi e dai regolamenti nazionali;
b) sia oggetto di procedimenti di dichiarazione di fallimento, di liquidazione coatta o di amministrazione controllata, di un concordato preventivo oppure di qualunque altro procedimento simile previsto dalle leggi o dai regolamenti nazionali;
c) sia stato condannato per un reato relativo alla condotta professionale di prestatore di servizi, con sentenza passata in giudicato;
d) si sia reso responsabile di gravi violazioni dei doveri professionali, provate con qualsiasi elemento documentabile dall’amministrazione [aggiudicatrice];
e) non abbia adempiuto obblighi riguardanti il pagamento dei contributi di sicurezza sociale conformemente alle disposizioni legislative del paese in cui è stabilito o di quello dell’amministrazione [aggiudicatrice];
f) non abbia adempiuto obblighi tributari conformemente alle disposizioni legislative del paese dell’amministrazione [aggiudicatrice];
g) si sia reso colpevole di gravi inesattezze nel fornire le informazioni esigibili in applicazione del presente capitolo o non abbia fornito dette informazioni».
4 L’art. 3, n. 4, secondo e terzo comma, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), definisce le nozioni di «imprese collegate» e di «influenza dominante» tra imprese. Per quanto riguarda i contratti di concessione di lavori pubblici, esso prevede quanto segue:
«Non si considerano come terzi le imprese che si sono raggruppate per ottenere la concessione né le imprese ad esse collegate.
Per “impresa collegata” s’intende qualsiasi impresa su cui il concessionario può esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante, o qualsiasi impresa che può esercitare un’influenza dominante [sul concessionario o che, come il concessionario, è soggetta all’influenza dominante] di un’altra impresa per motivi attinenti alla proprietà, alla partecipazione finanziaria o alle norme che disciplinano l’impresa stessa. L’influenza dominante è presunta quando un’impresa direttamente o indirettamente, nei confronti di un’altra impresa:
– detiene la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa, o
– dispone della maggioranza dei voti connessi alle partecipazioni al capitale dell’impresa, o
– può designare più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, direzione o di vigilanza dell’impresa».
La normativa nazionale
5 La direttiva 92/50 è stata trasposta nel diritto italiano dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (Supplemento ordinario alla GURI n. 104 del 6 maggio 1995). Questo decreto legislativo non prevede un divieto di partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione di appalto pubblico di servizi a carico di imprese tra le quali esistano rapporti di controllo o che siano tra loro collegate.
6 L’art. 10, comma 1 bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, legge quadro in materia di lavori pubblici (GURI n. 41 del 19 febbraio 1994; in prosieguo: la «legge n. 109/1994»), stabilisce quanto segue:
«Non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo previste dall’articolo 2359 del codice civile».
7 L’art. 2359 del codice civile italiano, intitolato «Società controllate e società collegate», è così formulato:
«Sono considerate società controllate:
1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati».
8 Le procedure di affidamento degli appalti pubblici nei settori dei lavori, dei servizi e delle forniture sono disciplinate attualmente, nel loro insieme, dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Supplemento ordinario alla GURI n. 100 del 2 maggio 2006; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 163/2006»). L’art. 34, ultimo comma, di tale decreto legislativo così dispone:
«Non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile. Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi».
Causa principale e questione pregiudiziale
9 Con bando di gara del 30 settembre 2003, la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano ha indetto un pubblico incanto per l’affidamento, in base al criterio del prezzo più basso, del servizio di corriere per il ritiro e la consegna della corrispondenza e di documentazione varia per conto della Camera di Commercio stessa e della sua azienda speciale CedCamera, per un triennio corrispondente agli anni 2004-2006. Questo appalto riguardava un importo pari a EUR 530 000 non comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto.
10 In esito all’esame della documentazione presentata dagli interessati, sono risultate ammesse alla gara la SDA Express Courier SpA (in prosieguo: la «SDA»), la Poste Italiane SpA (in prosieguo: la «Poste Italiane») e l’Assitur.
11 Il 12 novembre 2003 l’Assitur ha chiesto l’esclusione dalla procedura di gara della SDA e della Poste Italiane, in ragione dei rapporti esistenti tra queste due società.
12 Dalla verifica imposta a tale riguardo dalla commissione di gara è emerso che la totalità del capitale sociale della SDA era detenuta dall’Attività Mobiliari SpA, a sua volta interamente partecipata dalla Poste Italiane. Tuttavia, dato che il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, che disciplinava gli appalti di servizi, non prevedeva alcun divieto di partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione a carico di imprese aventi fra loro un rapporto di controllo, e che la verifica effettuata non aveva messo in luce indizi gravi e concordanti che consentissero di ritenere che i principi di concorrenza e di segretezza delle offerte fossero stati violati nella fattispecie, l’ente appaltante, con determinazione del 2 dicembre 2003, n. 712, ha deciso di aggiudicare l’appalto alla SDA, che aveva presentato l’offerta più bassa.
13 L’Assitur ha chiesto l’annullamento di questa decisione dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia. Essa ha fatto valere che, conformemente all’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994, a suo parere applicabile anche agli appalti di servizi in assenza di una diversa normativa espressa, l’amministrazione aggiudicatrice avrebbe dovuto escludere dalla gara d’appalto le società che si trovavano fra loro in una delle situazioni di controllo previste dall’articolo 2359 del codice civile italiano.
14 Il giudice del rinvio rileva che l’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994, che disciplina specificamente gli appalti di lavori, stabilisce una presunzione assoluta di conoscibilità dell’offerta della controllata da parte della controllante. Di conseguenza, gli operatori economici interessati non sarebbero ritenuti dal legislatore in grado di formulare offerte tali da dimostrare l’indipendenza, la serietà e l’affidabilità necessarie, in quanto essi sarebbero legati da una stretta comunanza di interessi. La disposizione suddetta vieterebbe dunque alle imprese aventi rapporti siffatti di partecipare in modo concorrente ad una medesima gara e, nel caso in cui sia accertata una simile partecipazione, queste imprese sarebbero obbligatoriamente escluse dalla procedura di aggiudicazione. Tale giudice osserva altresì che la nozione di «impresa controllata» nel diritto italiano è analoga a quella di «impresa collegata» quale definita all’art. 3, n. 4, della direttiva 93/37.
15 Il giudice del rinvio rileva anche che la giurisprudenza italiana riconosce ad una statuizione come quella enunciata all’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994 il valore di norma di ordine pubblico, applicabile in via generale. Questa norma sarebbe in realtà l’espressione di un principio generale che trascende la materia dei lavori pubblici proiettandosi altresì alle procedure di aggiudicazione nei settori dei servizi e delle forniture, nonostante il fatto che, in questi ultimi, non esista una siffatta specifica disposizione. Il legislatore avrebbe confermato tale approccio giurisprudenziale con l’adozione dell’art. 34, ultimo comma, del decreto legislativo n. 163/2006, che disciplina attualmente l’intera materia degli appalti pubblici; quest’ultima normativa, tuttavia, non è applicabile, ratione temporis, alla presente causa.
16 Il giudice nazionale si chiede nondimeno se il regime così delineato sia compatibile con l’ordinamento giuridico comunitario e, in particolare, con l’art. 29 della direttiva 92/50, come interpretato dalla Corte nella sentenza 9 febbraio 2006, cause riunite C 226/04 e C 228/04, La Cascina e a. (Racc. pag. I 1347, punti 21-23). Tale disposizione, che costituisce l’espressione del principio del «favor participationis», vale a dire dell’interesse a che il maggior numero possibile di imprese partecipi ad una gara d’appalto, conterrebbe, secondo detta pronuncia, un elenco tassativo delle cause di esclusione dalla partecipazione ad un appalto di servizi. Tra queste cause non rientrerebbe il caso di società legate fra loro da un rapporto di controllo o d’influenza notevole.
17 Il giudice del rinvio, tuttavia, ritiene che l’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994 costituisca l’espressione del principio di libera concorrenza, in quanto è diretto a sanzionare ogni comportamento collusivo di imprese nell’ambito di una procedura di gara. Di conseguenza, esso sarebbe stato adottato in rigorosa conformità al Trattato CE, in particolare agli artt. 81 e segg. di quest’ultimo, e non sarebbe realmente in contrasto con l’art. 29 della direttiva 92/50.
18 Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’art. 29 della direttiva 92/50 (…), nel prevedere sette ipotesi di esclusione dalla partecipazione agli appalti di servizi, configuri un “numerus clausus” di ipotesi ostative e, quindi, inibisca all’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/94 (ora sostituito dall’art. 34, ultimo comma, del decreto legislativo n. 163/06) di stabilire il divieto di partecipazione simultanea alla gara per le imprese che si trovino fra loro in rapporto di controllo».
Sulla questione pregiudiziale
19 Al fine di risolvere tale questione si deve rilevare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, le sette ipotesi di esclusione di un imprenditore dalla partecipazione ad un appalto pubblico previste dall’art. 29, primo comma, della direttiva 92/50 si riferiscono all’onestà professionale, alla solvibilità o all’affidabilità dell’interessato, vale a dire alle qualità professionali di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza La Cascina e a., cit., punto 21).
20 La Corte, per quanto riguarda l’art. 24, primo comma, della direttiva 93/37, che riprende le stesse ipotesi di esclusione previste dall’art. 29, primo comma, della direttiva 92/50, ha sottolineato che la volontà del legislatore comunitario è stata quella di prendere in considerazione in tale disposizione soltanto cause di esclusione riguardanti unicamente le qualità professionali degli interessati. Nella misura in cui essa ribadisce siffatte cause di esclusione, tale elenco è stato considerato tassativo dalla Corte (v., in tal senso, sentenza 16 dicembre 2008, causa C 213/07, Michaniki, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 42 e 43 nonché la giurisprudenza ivi citata).
21 La Corte ha aggiunto che questo elenco tassativo non esclude tuttavia la facoltà degli Stati membri di mantenere o di stabilire, in aggiunta a tali cause di esclusione, norme sostanziali dirette, in particolare, a garantire, in materia di appalti pubblici, il rispetto dei principi di parità di trattamento di tutti gli offerenti e di trasparenza, che costituiscono la base delle direttive comunitarie relative alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, a condizione però che venga rispettato il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza Michaniki, cit., punti 44-48 e la giurisprudenza ivi citata).
22 È palese che una misura legislativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale è intesa a scongiurare ogni possibile forma di collusione tra i partecipanti ad una medesima procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico nonché a tutelare la parità di trattamento dei candidati e la trasparenza della procedura.
23 Si deve dunque affermare che l’art. 29, primo comma, della direttiva 92/50 non osta a che uno Stato membro, in aggiunta alle cause di esclusione contemplate da tale disposizione, preveda ulteriori cause di esclusione finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per conseguire la suddetta finalità.
24 Ne consegue che la conformità al diritto comunitario della normativa nazionale in questione nella causa principale deve essere ulteriormente esaminata alla luce del principio di proporzionalità.
25 A tale riguardo, va ricordato che le norme comunitarie in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici sono state adottate nell’ambito della realizzazione del mercato interno, nel quale è assicurata la libera circolazione e sono eliminate le restrizioni alla concorrenza (v., in tal senso, sentenza 21 febbraio 2008, causa C 412/04, Commissione/Italia, Racc. pag. I 619, punto 2).
26 In tale contesto di un mercato interno unico e di concorrenza effettiva, è nell’interesse del diritto comunitario che venga garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti ad una gara d’appalto.
27 Dalla decisione di rinvio risulta che la disposizione in questione nel procedimento a quo, redatta in termini chiari e perentori, comporta per le amministrazioni aggiudicatrici un obbligo assoluto di escludere dalla procedura di gara d’appalto le imprese che presentino offerte separate e concorrenti, qualora tali imprese siano legate fra loro da rapporti di controllo, quali quelli previsti dalla normativa nazionale oggetto della causa principale.
28 Tuttavia, sarebbe contraria ad un’efficace applicazione del diritto comunitario l’esclusione sistematica delle imprese tra loro collegate dal diritto di partecipare ad una medesima procedura di aggiudicazione di appalto pubblico. Una soluzione siffatta, infatti, ridurrebbe notevolmente la concorrenza a livello comunitario.
29 Pertanto, è giocoforza constatare che la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale, nella misura in cui estende il divieto di partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione alle situazioni in cui il rapporto di controllo tra le imprese interessate rimane ininfluente sul comportamento di queste ultime nell’ambito di siffatte procedure, eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo di garantire l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di trasparenza.
30 Una tale normativa, basata su una presunzione assoluta secondo cui le diverse offerte presentate per un medesimo appalto da imprese collegate si sarebbero necessariamente influenzate l’una con l’altra, viola il principio di proporzionalità, in quanto non lascia a tali imprese la possibilità di dimostrare che, nel loro caso, non sussistono reali rischi di insorgenza di pratiche atte a minacciare la trasparenza e a falsare la concorrenza tra gli offerenti (v., in tal senso, sentenze 3 marzo 2005, cause riunite C 21/03 e C-34/03, Fabricom, Racc. pag. I 1559, punti 33 e 35, nonché Michaniki, cit., punto 62).
31 A tale riguardo va sottolineato che i raggruppamenti di imprese possono presentare forme e obiettivi variabili, e non escludono necessariamente che le imprese controllate godano di una certa autonomia nella gestione della loro politica commerciale e delle loro attività economiche, in particolare nel settore della partecipazione a pubblici incanti. Del resto, come rilevato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, i rapporti tra imprese di un medesimo gruppo possono essere disciplinati da disposizioni particolari, ad esempio di tipo contrattuale, atte a garantire tanto l’indipendenza quanto la segretezza in sede di elaborazione di offerte che vengano poi presentate contemporaneamente dalle imprese in questione nell’ambito di una medesima gara d’appalto.
32 In tale contesto, il compito di accertare se il rapporto di controllo in questione abbia esercitato un’influenza sul contenuto delle rispettive offerte depositate dalle imprese interessate nell’ambito di una stessa procedura di aggiudicazione pubblica richiede un esame e una valutazione dei fatti che spetta alle amministrazioni aggiudicatrici effettuare. La constatazione di un’influenza siffatta, in qualunque forma, è sufficiente per escludere tali imprese dalla procedura di cui trattasi. Per contro, la semplice constatazione dell’esistenza di un rapporto di controllo tra le imprese considerate, risultante dall’assetto proprietario o dal numero dei diritti di voto che possono esercitarsi nelle assemblee ordinarie, non è sufficiente affinché l’amministrazione aggiudicatrice possa escludere automaticamente tali imprese dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, senza verificare se un tale rapporto abbia avuto un impatto concreto sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di questa procedura.
33 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere la questione sollevata dichiarando quanto segue:
– l’art. 29, primo comma, della direttiva 92/50 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro, in aggiunta alle cause di esclusione contemplate da tale disposizione, preveda ulteriori cause di esclusione finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per conseguire la suddetta finalità, e
– il diritto comunitario osta ad una disposizione nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara.
Sulle spese
34 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi,

la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

L’art. 29, primo comma, della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro, in aggiunta alle cause di esclusione contemplate da tale disposizione, preveda ulteriori cause di esclusione finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per conseguire la suddetta finalità.

Il diritto comunitario osta ad una disposizione nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara.