martedì 2 settembre 2008

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 19 giugno 2008 n. 3065


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 7409/2003 proposto da ROTONDO NICOLA, rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Palmisano, Pietrantonio De Nuzzo, Tommaso Carone, con domicilio eletto in Roma via A. Farnese n. 12, l’avv. Pierfrancesco Bruno;

contro

il Ministero dell’Istruzione, in persona del Ministro p.t., il Centro Servizi Amministrativi per la Provincia di Brindisi, in persona del legale rappresentante p.t., entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;

l’Istituto Tecnico Commerciale per Geometri "J Monet",
l’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia, entrambi non costituiti;

Camarda Giovanni, rappresentato e difeso dall’avv. Claudio Consales con domicilio eletto in Roma via Cosseria n. 2 presso l’avv. Alfredo Placidi;

per la riforma e/o l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sede di Lecce, n. 4559/2003;

visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
visti gli atti tutti di causa;
relatore, alla pubblica udienza del 15 aprile 2008, il Cons. Fabio Taormina;
Uditi l’Avvocato dello Stato Giannuzzi e l’avv. Cimino per delega dell’avv. Palmisano;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

FATTO

Con il ricorso di primo grado, era stato chiesto dall’odierno appellato Camarda Giuseppe, l’annullamento della nota n. 1111/C-21 del Dirigente Scolastico dell’ITCG di Ostini in data 10.4.2003, la quale questi era stato dichiarato docente soprannumerario nell’organico 2003/2004 dell’ITCG di Ostuni;
del trasferimento d’ufficio, pubblicato all’albo del CSA di Brindisi il 23.5.2003;
di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale
I primi Giudici, hanno in primis ritenuta sussistere la propria giurisdizione, con riferimento al primo degli atti suindicati, avendo qualificato il provvedimento impugnato quale atto incidente " sul lato esterno dell’organizzazione del Servizio scolastico (cioè sulle linee fondamentali dell’organizzazione dell’Amministrazione scolastica), e pertanto rientrante nel novero degli atti cd. di macro organizzazione ex art. 2, comma 1, D.Lg.vo n. 165/2001.
Hanno poi, in secondo luogo, accolto il ricorso, limitatamente alla parte in cui è stata impugnata la nota del Dirigente Scolastico dell’ ITCG di Ostuni, con la quale l’odierno appellato era stato illegittimamente qualificato docente soprannumerario, mentre hanno invece dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione, nella parte in cui è stato impugnato il trasferimento d’ufficio, dal momento che il predetto atto di trasferimento costituiva "un cd. atto di micro organizzazione (cioè un atto paritetico implicante l’esercizio dei poteri del datore di lavoro privato, a fronte dei quali il dipendente vanta solo diritti soggettivi e non interessi legittimi), attinente alla gestione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti privatizzati (cfr. art. 4, comma 2, e art. 5, comma 2, D.Lg.vo n. 165/2001), il quale spetta ai sensi dell’art. 63, comma 1, D.Lg.vo n. 165/2001 alla cognizione del Giudice Ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro."
L’odierno appellante, già resistente in primo grado, ha proposto un articolato atto d’appello- ed una successiva diffusa memoria- con cui ha censurato la predetta sentenza chiedendone l’annullamento in quanto viziata da errore ed illegittima.
Il Tar avrebbe dovuto declinare integralmente la propria giurisdizione, anche all’elementare scopo di evitare conflitti di giudicati con il G.O. Nel merito, la sentenza era palesemente errata e resa in violazione di legge.
L’appellato ha depositato una memoria chiedendo la reiezione dell’appello e la conferma dell’impugnata sentenza, in quanto la medesima era da ritenersi corretta e priva di emende.
Alla camera di consiglio del 28.2.2003 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione con ordinanza n. 3800/2003 ha accolto la predetta istanza e sospeso la esecutività della impugnata decisione.

DIRITTO

La sentenza deve essere annullata senza rinvio, ravvisandosi ricorrere nel caso di specie la giurisdizione del Giudice ordinario.
Invero la ricostruzione contenuta nell’appellata sentenza non tiene conto del costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione -condiviso dalla Sezione in quanto rispondente ad elementari esigenze di certezza in ordine alla individuazione del Giudice fornito del potere di decidere la controversia- a tenore del quale, salve le ipotesi c.d. di provvedimenti macro organizzatori, il Giudice competente a conoscere le controversie in materia di pubblico impiego è il Giudice Ordinario.
Ancora di recente, il Supremo Collegio ha affermato (e la ratio della decisione la cui massima di seguito si riporta ben può essere trasposta al caso in questione) che
"Ai sensi dell'art. 68 del d.lg. n. 29 del 1993 (nel testo modificato dall'art. 29 del d.lg. n. 80 del 1998, trasfuso nell'art. 63 del d.lg. n. 165 del 2001) sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in ogni sua fase, dalla instaurazione sino all'estinzione, mentre sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dalle pubbliche amministrazioni nell'esercizio del potere loro conferito dall'art. 2, comma 1, del d.lg. n. 29 del 1993 (riprodotto nell'art. 2 del d.lg. n. 165 del 2001) aventi ad oggetto la fissazione delle linee e dei principi fondamentali delle organizzazioni degli uffici - nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono - caratterizzati da uno scopo esclusivamente pubblicistico, sul quale non incide la circostanza che gli stessi, eventualmente, influiscono sullo status di una categoria di dipendenti, costituendo quest'ultimo un effetto riflesso, inidoneo ed insufficiente a connotarli delle caratteristiche degli atti adottati iure privatorum. "(Cassazione civile , sez. un., 13 luglio 2006, n. 15904).
Ritiene la Sezione di potere affermare che perché possa ravvisarsi provvedimento organizzatorio devoluto alla cognizione del plesso giurisdizionale amministrativo debba necessariamente possedere natura estesa, sotto il profilo oggettivo, ovvero "categoriale", mentre non appare errato definire l’ipotesi in oggetto limitata e residuale.
Ciò discende non soltanto dal testo della norma di riferimento, ma deriva altresì da esigenze di semplificazione della tutela giurisdizionale, chè altrimenti si onererebbe il dipendente che si sentisse leso da un atto reso dall’amministrazione ed incidente sulla propria posizione lavorativa, a proporre una doppia impugnativa, innanzi a due distinti plessi giurisdizionali, con evidenti inconvenienti in termini di aggravio dell’accesso alla tutela giustiziale (si veda, in tema di esigenza di concentrazione del giudizio, tra le tante, Cass. Civ., sez. un., 7 marzo 2003, n. 3508).
Orbene, nel caso di specie, ci si trova al cospetto di un atto, avente sì natura provvedi mentale "organizzatoria", ma prodromico e connesso rispetto a quello concernente l’odierno appellante in relazione al quale correttamente il Tar ha declinato la propria giurisdizione.
Concerne sì il "lato esterno" del servizio scolastico: ma non possiede caratteristiche organizzatorio/categoriali e, per di più, riguarda un singolo soggetto.
Aderendo alla impostazione seguita dai primi Giudici, sarebbe ben arduo individuare un atto non "organizzatorio" ogniqualvolta l’amministrazione scolastica deliberi in ordine alla posizione di un docente: volendo fare un esempio che può apparire paradossale, anche allorchè viene autorizzata la frequenza di un corso di aggiornamento, ovvero concesso un periodo di aspettativa, si incide sul "lato esterno del servizio"; ciò non implica, tuttavia, che della cognizione della legittimità di detti provvedimenti debba essere investito il plesso giurisdizionale amministrativo.
Anche nelle ipotesi dianzi citate ricorrerebbe per il vero quella che i Giudici di primo grado hanno definito "l’adeguamento dell’organico assegnato alle esigenze in concreto manifestatesi, determinante cioè il cd. "organico di fatto" e l’effettiva dotazione organica complessiva, incidente così sul lato esterno dell’organizzazione del Servizio scolastico".
Una simile estensiva interpretazione del concetto di atto "macroorganizzatorio", si risolverebbe in un appesantimento dell’accesso alla tutela giustiziale.
Frustrerebbe la esigenze di concentrazione del giudizio a più riprese affermate dalla Corte regolatrice della giurisdizione. Ed appare già distonica rispetto al referente legislativo, ove si consideri che l’atto riguarda un singolo e determinato docente.
Al contrario, giova evidenziare che la concorde giurisprudenza di primo grado civile ed amministrativa (Tribunale Isernia, 20 gennaio 1999, T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 1 giugno 2002, n. 1985), ha condivisibilmente ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice ordinario in materia di sindacato dei criteri di assegnazione di cattedre a personale docente di ruolo (altresì ritenendo, sotto altro profilo, che "la pretesa, concernente l'annullamento del provvedimento del dirigente del liceo scientifico in assegnazione delle cattedre di matematica e fisica, con specifico riferimento all'assegnazione al corso sperimentale per la sola fisica, riguarda questioni attinenti al rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a., devolute al giudice ordinario").
Nel caso di specie, ricorre una ipotesi di atto non macrorganizzatorio, spettante alla cognizione del giudice ordinario ex art. 63, d.lg. 30 marzo 2001 n. 165, considerato che, ai sensi dell'art. 5 del citato decreto, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
Deve pertanto rilevarsi il difetto di giurisdizione del Tar adito con riferimento alla controversia in esame.
Occorre a questo punto verificare quali provvedimenti la Sezione debba adottare per dare attuazione al principio - affermato, sia pure sulla base di percorsi argomentativi in parte divergenti, tanto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (22 febbraio 2007, n. 4109) tanto dalla Corte costituzionale (12 marzo 2007, n. 77) – secondo il quale, allorquando un giudice declini al propria giurisdizione affermando quella di un altro giudice, il processo può proseguire innanzi al giudice fornito di giurisdizione e rimangono salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice giurisdizionalmente incompetente.
In attesa dell’intervento legislativo auspicato dalla Corte costituzionale, il Collegio ritiene che per dare attuazione al principio enunciato dalle sopra indicate sentenze sia necessario:
a) rimettere le parti davanti al Giudice ordinario affinché dia luogo al processo di merito: tale rimessione, invero, da un lato, evita "l'inaccettabile conseguenza di un processo, che si debba concludere con una sentenza che confermi soltanto la giurisdizione del giudice adito senza decidere sull'esistenza o meno della pretesa" (Cass. sez. un. n. 4109/2007), e, dall’altro, è funzionale alla riconosciuta esigenza di far salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda;
b) precisare, comunque, che sono salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda: a tale precisazione da parte di questo Giudice non osta, infatti, la circostanza che sarà poi il Giudice ad quem a dover fare applicazione del principio della salvezza degli effetti. Del resto, è la stessa sentenza della Corte costituzionale n. 77/2007, a confermare implicitamente che la dichiarazione della salvezza degli effetti non è prerogativa esclusiva del Giudice ad quem, perché, altrimenti, la questione di costituzionalità dell’art. 30 L. n. 1034/1971 (e cioè di una norma che trova applicazione nel processo amministrativo) avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. La Corte costituzionale, invece, ha dichiarato illegittima tale norma nella parte in cui non prevede che "gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione". In tal modo la Corte sembra riconoscere che quella relativa alla conservazione degli effetti della domanda è una questione che rileva, in primo luogo, davanti al Giudice che declina la giurisdizione;
c) infine, onde, evitare l’inconveniente, evidenziato in dottrina, di una azione sospesa sine die, e come tale sine die nella disponibilità assoluta di una delle parti, insieme alla precisazione della salvezza degli effetti, fissare un termine entro cui tale salvezza opera (il che conferma ulteriormente che la sentenza che declina la giurisdizione debba contenere la dichiarazione della salvezza degli effetti, anche al fine di delimitarne la durata),
Ai fini dell’individuazione di tale termine può essere applicato analogicamente, come hanno già affermato alcune sentenze di primo grado - seguendo le indicazioni fornite da autorevole dottrina - l’art. 50 c.p.c., anche perché, con l’affermazione del principio della translatio anche tra diverse giurisdizioni (e non solo tra diversi giudici appartenenti allo stresso plesso giurisdizionale), il difetto di giurisdizione diventa per molti aspetti analogo al difetto di competenza del giudice adito.
L’art. 50 c.p.c. prevede che sia lo stesso giudice che si dichiara incompetente a fissare il termine per la riassunzione davanti al giudice ritenuto competente; in mancanza di tale indicazione, il termine per la riassunzione è di sei mesi dalla comunicazione della sentenza.
Il Collegio, applicando tale norma, fissa il termine per la riassunzione davanti al giudice ordinario – termine fino alla scadenza del quale saranno salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda – in sei mesi decorrenti dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente decisione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza di primo grado deve essere annullata per difetto di giurisdizione, con rinvio davanti al giudice ordinario perché dia luogo al giudizio di merito.
Sono dichiarati salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda e si fissa il termine di sei mesi dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente decisione, per la riassunzione davanti al giudice ordinario.
Le spese del giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi, anche in considerazione delle alterne interpretazioni giurisprudenziali anche di recente succedutesi in subiecta materia

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, annulla per difetto di giurisdizione la sentenza di primo grado. Rimette le parti davanti al giudice ordinario perché dia vita al giudizio di merito, fissando per la riassunzione il termine di mesi sei dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente decisione.
Spese del giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2008, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Carmine Volpe Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere
Fabio Taormina Consigliere Rel.

Presidente
GIOVANNI RUOPPOLO
Consigliere Segretario
FABIO TAORMINA GIOVANNI CECI

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/06/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA

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