lunedì 29 settembre 2008

CORTE DI CASSAZIONE SEZ. I CIVILE - sentenza 5 settembre 2008 n. 22399


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 22.11.1995 V. e S.S. convenivano avanti al Tribunale di Brindisi l'Impresa A. S., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in relazione all'occupazione su un terreno di loro proprietà di circa mq. 300 avvenuta in forza del decreto prefettizio del 5.7.1989 per la realizzazione di un'opera pubblica per conto dell'ANAS. Si costituiva il convenuto, eccependo pregiudizialmente l'incompetenza del Tribunale sul rilievo che il decreto di esproprio era stato pronunciato tempestivamente in quanto l'occupazione era stata prorogata in un primo tempo dal decreto del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3504 del 5.3.1991 e successivamente con L. 20 maggio 1991, n. 158 con la conseguente competenza della Corte d'Appello in ordine alla determinazione della relativa indennità.
Dopo l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio il Tribunale con sentenza in data 1.10.1999 accoglieva la domanda attribuendo agli attori la somma di L. 16.000.000 a titolo di risarcimento danni per occupazione appropriativa, ritenendo che le due proroghe, di giorni 1440 concessa dal decreto ministeriale e quella di due anni prevista da detta legge, non fossero cumulabili, con la conseguenza che, essendo scaduta la prima nel Marzo 1995, il decreto di esproprio era inutilmente intervenuto nell'Agosto 1995 quando ormai era intervenuta l'acquisizione del terreno all'Amministrazione.
Proponeva impugnazione l' A..
Si costituivano le controparti che proponevano appello incidentale.
Con sentenza non definitiva del 6.7.2001 - 11.1.2002 la Corte d'Appello di Lecce rigettava il primo motivo dell'appello principale, riguardante la tempestività del decreto di esproprio, sul rilievo della sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità all'atto dell'emissione del decreto di esproprio (24.8.1995). Al riguardo precisava che con il D.M. 5 marzo 1991 erano stati prorogati i termini finali della pubblica utilità dell'opera che erano scaduti il 13.2.1995, vale a dire precedentemente all'emissione del decreto di esproprio, mentre con la L. 20 maggio 1991, n. 158 (art. 22) era stato prorogato di due anni il termine per l'occupazione che era così scaduto il 29.8.1993 e cioè sempre precedentemente al decreto di esproprio. Rilevata inoltre la necessità di disporre una nuova C.T.U., rigettava il profilo dell'appello incidentale relativo al mancato risarcimento del danno conseguente alla riduzione del valore della parte residua del terreno in quanto proposto per la prima volta in sede di gravame.
Rimessi gli atti in istruttoria e disposta la rinnovazione della C.T.U., la Corte d'Appello con sentenza definitiva del 2.7 - 16.9.2004 rigettava anche il secondo motivo dell'appello principale riguardante l'entità del risarcimento.
Dopo aver richiamato la C.T.U alla quale riteneva di aderire, osservava la Corte di merito che trattasi di un terreno di mq. 212 classificato dallo strumento urbanistico come "Zona (omissis) - Agricola Costiera", inserita in un contesto (località (omissis) del Comune di (omissis)) altamente urbanizzato per la presenza di numerose costruzioni di natura abitativa estivo - balneare, fornito di una cospicua rete viaria ed ubucato a breve distanza da centri turistici di livello nazionale ed internazionale. Condivideva quindi il valore di mercato di L. 15.900.000 (in ragione di L. 75.000 al mq.) indicato dal C.T.U, come pure i danni conseguenti all'eliminazione dei manufatti determinati in L. 3.587.000 e così complessivamente in L. 19.487.000, vale a dire in misura superiore a quello riconosciuto dal primo giudice che però manteneva fermo in mancanza di appello sul punto da parte dei S.. Riconosceva infine il danno da svalutazione monetaria, trattandosi di debito di valore.
Avverso entrambe le sentenze propone ricorso per Cassazione A. S., deducendo tre motivi di censura.
Resistono con controricorso, illustrato anche con memoria, V. e S.S..

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso A.S. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 158 del 1991, art. 22, dell'art. 132 c.p.c., n. 4, e dell'art. 118 disp. att. c.p.c., nonché omessa, insufficiente e perplessa motivazione. Deduce che erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto tardiva l'emissione del decreto di esproprio tenuto conto che il decreto di occupazione previsto per la durata di anni due scadeva il 29.8.1991, che prima di tale scadenza, in data 5.3.1991, era intervenuto il decreto del Ministero LL.PP. che aveva fissato i nuovi termini per l'inizio dei lavori e l'ultimazione delle espropriazioni rispettivamente in giorni 1.080 e 1440 con decorrenza dalla data del decreto medesimo con conseguente proroga dell'occupazione fino alla data del 13.2.1995, che in pendenza dell'occupazione interveniva la L. 20 maggio 1991, n. 158 la quale all'art. 22 disponeva, per le occupazioni in corso alla data di entrata in vigore della stessa legge, la proroga di ulteriori due anni, portando così il nuovo termine di occupazione fino al 14.2.1997, vale a dire in data successiva al decreto di esproprio intervenuto il 24.8.1995. Sostiene che non poteva essere condivisa la statuizione resa al riguardo dalla Corte di merito la quale ha ritenuto che nessuna proroga la occupazione aveva subito per effetto del decreto ministeriale ma solo quella di due anni prevista dalla L. n. 158 del 1991 con scadenza quindi al 29.8.1993 in quanto con il suddetto decreto ministeriale sarebbero stati prorogati i diversi termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1224 c.c.. Sostiene che, trattandosi di somma dovuta a titolo di indennità, il debito deve ritenersi di valuta, con la conseguenza che devono essere riconosciuti solo gli interessi, senza peraltro il riconoscimento del maggior danno di cui all'art. 1224 c.c. in mancanza di una prova al riguardo.
Va premesso che le recenti sentenze della Corte Costituzionale nn.348 e 349 del 207 - in base alle quali sia l'indennità di esproprio di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2, che il risarcimento del danno di cui al successivo comma 7 bis sono stati sostanzialmente commisurati al valore venale del bene oblato - nonchè la L. n. 244 del 1977, art. 2, commi 89 e 90 - che hanno ancorato espressamente la determinazione sia dell'indennità che del risarcimento al valore venale del bene e previsto l'applicazione di tali norme a tutti i procedimenti espropriativi in corso "nei quali tale determinazione non sia divenuta irrevocabile" - rendono sostanzialmente irrilevante ai fini della determinazione dell'importo dovuto la soluzione della questione prospettata la quale incide in tal modo unicamente sulla natura del debito, da considerarsi di valuta o di valore a seconda che il procedimento si sia svolto con l'osservanza delle disposizioni in materia od in violazione di esse e, di conseguenza, sugli accessori.
Orbene, ferma restando l'esposta premessa, entrambi i motivi sopra esposti, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati.
Il ricorrente, nel riproporre in questa sede la tesi della cumulabilità della proroga del termine disposta con il decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 5.3.1991 con la proroga prevista dalla L. 20 maggio 1991, n. 158, art. 22 persiste, nonostante la chiara esposizione sul punto contenuta nella sentenza non definitiva della Corte d'Appello, nel non considerare su piani distinti detti termini, destinati ad assolvere una diversa funzione nell'ambito dello stesso procedimento espropriativo.
Come risulta infatti da detta sentenza, con il decreto ministeriale "furono prorogati i termini finali di pubblica utilità". Trattasi cioè dei termini per il compimento dei lavori e delle espropriazioni richiesti della L. n. 2359 del 1865, art. 13 ai fini della giuridica esistenza e validità della dichiarazione di pubblica utilità, in osservanza del principio generale contenuto nell'art. 42 Cost. in base al quale la espropriazione della proprietà privata può essere giustificata solo in relazione ad interessi generali concreti ed attuali e non già per esigenze future ed ipotetiche (Sez. Un. 460/99; Cass. 11351/98; Cass. 1907/97), con la conseguenza che il loro inutile decorso, comportando la cessazione della programmata destinazione del bene all'interesse generale, determina l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità ed il venir meno del potere di espropriazione su quel bene.
Con la L. 20 maggio 1991, n. 158, art. 22, invece è stato prorogato di ulteriori due anni il termine di occupazione inizialmente fissato in anni due, come risulta chiaramente dalla lettera della norma che fa espresso riferimento dalla L. n. 865 del 1971, art. 20.
Con l'occupazione temporanea infatti - che da vicenda eventuale ed eccezionale secondo la previsione della L. n. 2359 del 1865, art. 71, è divenuta sempre più una fase comune ed ordinaria del procedimento espropriativo anticipando nel tempo gli effetti del decreto di esproprio - viene consentita l'apprensione del bene per l'inizio dei lavori ed il completamento delle procedure per un periodo rimesso al potere discrezionale della Amministrazione espropriante entro il limite massimo di cinque anni fissato dalla citata L. n. 865 del 1971, art. 20, salva la previsione di proroghe, come è avvenuto nel caso in esame.
Da tale diversa funzione discendono la non cumulabilità delle due proroghe e l'inutile decorso di entrambi i termini (quello relativo all'occupazione scaduto il 29.8.1993 e quello di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità scaduto il 13.2.1995) in quanto scaduti precedentemente all'emissione del decreto di esproprio (avvenuto il 24.8.1995), come accertato dalla Corte d'Appello.
Correttamente pertanto la sentenza non definitiva impugnata in questa sede ha ritenuto che si vertesse nell'ambito dell'istituto della occupazione usurpativa e, conseguentemente, di un fatto illecito della P.A. produttivo di danno che va risarcito.
Le esposte considerazioni comportano il rigetto anche del terzo motivo, essendosi in presenza, come si è già detto, di un debito di valore, con conseguente riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e L. n. 865 del 1971, art. 16, nonché erronea e contraddittoria motivazione. Lamenta che il terreno in questione, pur essendo qualificato come Agricolo - Costiera con indice di fabbricabilità 0,01 mc/mq con altezza massima delle costruzioni di m. 4,00 e ad una distanza dalla strada di tipi B di m. 15,00 e quindi con vincolo di inedificabilità direttamente previsto dalla legge (artt. 16 C.d.S. e 26 relativo Reg.) e pur essendo stato ritenuto agricolo anche dalla sentenza non definitiva, sia stato poi considerato dalla Corte d'Appello con la sentenza definitiva, in adesione alla C.T.U., come edificabile di fatto in considerazione della rilevante edificazione avvenuta nella zona anche in violazione dei vincoli legali e dello strumento urbanistico, determinando così il valore all'epoca del terreno in L. 75.000 al mq..
La censura è fondata.
Con la sentenza definitiva la Corte d'Appello, dopo aver accertato che il terreno in questione è compreso in una zona classificata dallo strumento urbanistico come "Zona (omissis) - Agricola - Costiera", ha ritenuto decisivo, nell'effettuare la stima, che esso è inserito in un contesto "altamente urbanizzato per la presenza di numerose costruzioni di natura abitativa (nella massima parte ad utilizzazione estivo - balneare) e di una cospicua rete viaria.
Ora, una tale motivazione evoca all'evidenza la figura della edificabilità di fatto abbandonata ormai dalla unanime giurisprudenza la quale, nei Comuni provvisti, come quello in esame, dello strumento urbanistico, attribuisce rilievo unicamente all'edificabilità legale a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis non travolto sul punto dalle recenti sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, con la conseguenza che un'area va ritenuta edificabile per il solo fatto che essa risulti tale in base alle previsioni urbanistiche, indipendentemente da ogni valutazione circa l'edificabilità di fatto la quale incide, nell'ambito dell'edificabilità legale, solo quale causa di riduzione o di esclusione delle possibilità effettive di edificazione e, conseguentemente, nella determinazione del valore di mercato.
Peraltro, anche nell'ipotesi di edificabilità legale, qualora, come sostiene il ricorrente, il terreno in questione fosse posto a confine con la strada statale (SS (omissis)) di tipo B, sarebbe stato necessario considerare anche i limiti legali previsti al riguardo, vale a dire la distanza da osservarsi nell'edificazione dal ciglio della strada - distanza che in base al D.M. 1 aprile 1968, art. 4 e del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 26 (Regol. al C.d.S.) è in tal caso di m. 40,00 - e, di conseguenza, valutare anche sotto tale profilo la possibilità di edificazione della parte residua.
Nè ha tenuto conto la sentenza definitiva che la precedente sentenza non definitiva, sia pure senza il dovuto approfondimento attraverso il necessario riferimento allo strumento urbanistico, aveva già ritenuto agricolo nell'ambito della sua motivazione (pag. 6) il terreno in questione. Pertanto, anche se non si voglia considerare che vi sia stata al riguardo una statuizione vincolante per la stessa Corte d'Appello in sede di decisione definitiva, la stessa non avrebbe dovuto comunque ignorare una tale affermazione, sia pure per rilevare che trattavasi di un "obiter" nel convincimento che la relativa questione era stata demandata, unitamente alla determinazione del "quantum", alla decisione definitiva.
La sentenza definitiva deve essere pertanto cassata ed il giudice di rinvio - che si individua nella stessa Corte d'Appello di Lecce e che provvedere anche alle spese del presente giudizio di legittimità - dovrà accertare la natura del terreno ablato unicamente sulla base dello strumento urbanistico vigente con riferimento all'epoca della cessazione del decreto di occupazione (29.8.1993), se successivo alla irreversibile trasformazione del terreno ed, in caso contrario, dalla data di tale trasformazione, tenendo presente il valore di mercato che, nell'ipotesi si tratti di terreno agricolo e comunque non classificabile come edificabile, deve ancorarsi al valore tabellare delle colture, come prevede la L. n. 865 del 1981, art. 5 bis, comma 4, Titolo II che rinvia a tal fine.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il primo ed il terzo motivo. Accoglie il secondo. Cassa la sentenza definitiva impugnata e rinvia, anche per le spese alla Corte d'Appello di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2008.
Depositata in Cancelleria il 5 settembre 2008.

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