giovedì 9 aprile 2009

Consiglio di Stato, IV, 31 marzo 2009, n. 1917

N.1917/2009 Reg. Dec.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso iscritto al NRG 4301/2004 proposto da NAPOLI Roberto, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Campagnola e Francesco Rossi ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, via Lutezia 8;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, CESIS, SISDE, in persona del Presidente in carica e dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato presso la quale sono per legge domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, sez. I , n. 7078 del 2003.
Visto il ricorso in appello;
visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 13 gennaio 2009 la relazione del consigliere Armando Pozzi e uditi, per le parti, gli avvocati Antonio Campagnola e l’avvocato dello Stato Ferrante;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
L’odierno appellante in data 1 ottobre 1982 transitava dall’Arma dei Carabinieri, con il grado di Tenente, alle dipendenze del SISDE — Presidenza del Consiglio dei Ministri, con inquadramento nel relativo ruolo, svolgendo per oltre dieci anni attività di indagine all’interno di reparti operativi.
Con D.P.C.M. del 29 settembre 1993 veniva trasferito ad altra Amministrazione dello Stato, ex art. 6 lett. b) del D.P.C.M. n. 7 del 1980.
L’allontanamento, a detta dell’appellante, celava un intento sanzionatorio; esso veniva infatti richiesto con nota in data 19.7.1993, dal Direttore pro-tempore del SISDE, sulla scorta di una valutazione negativa sulle qualità professionali e morali del Napoli e non già sul presupposto di esigenze di servizio.
Solo in seguito alla presa visione degli atti dell’Amministrazione, volti a giustificare l’allontanamento del Napoli dal Servizio, questi ha impugnato il passaggio dal SISDE ad altra amministrazione al TAR del Lazio, che con sentenza n. 3261/1998 respingeva il ricorso dichiarandolo irricevibile per decorso del termine decadenziale. Tale pronuncia veniva confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 2742/2000.
Successivamente, il Napoli adiva il Tribunale del Lavoro onde ottenere il risarcimento dei danni morali, alla vita di relazione, biologici, alla professionalità, sofferti in conseguenza dell’ingiustificato trasferimento.
Il giudice del lavoro rigettava la domanda ritenendo il proprio difetto di giurisdizione, stante l’accadimento dei fatti in data anteriore al 30 giugno 1998, limite temporale fissato ex D.lgs. n. 80/1998 per il passaggio delle controversie in materia di pubblico impiego dal giudice amministrativo al giudice ordinario.
A seguito della sentenza del Giudice del Lavoro l’odierno appellante invocava la medesima tutela risarcitoria dinanzi al TAR del Lazio, il quale, tuttavia, con la sentenza qui appellata, ha dichiarato inammissibile il ricorso, sul presupposto dell’inoppugnabilità del provvedimento risolutivo del rapporto alle dipendenze del SISDE e della non proponibilità della domanda risarcitoria in via autonoma.
Il Napoli impugna la sentenza n. 7078/2003 del TAR del Lazio, per i seguenti motivi, peraltro non affidati alle formule tipiche del processo amministrativo.
A) Illegittimamente il TAR ha fatto applicazione dell’istituto della pregiudiziale amministrativa sulla base dell’erroneo presupposto che si controvertesse su un interesse legittimo, laddove la controversia si riferiva bensì ad una posizione di diritto soggettivo nell’ambito della gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze del SISDE; ossia, il diritto all’ufficio che si sostanzia nella pretesa a non essere arbitrariamente rimosso dal proprio incarico se non nei casi espressamente previsti dalla legge; nonché il diritto alla funzione, consistente nel diritto all’esercizio delle mansioni connesse alla propria qualifica, senza svilimento della professionalità acquisita.
Il Napoli avrebbe subìto un’ingiusta prevaricazione di tali diritti, in seguito alla richiesta di allontanamento fondata sull’asserito difetto di qualità morali e professionali, smentito peraltro dagli encomiabili precedenti di carriera e senza che siffatta negativa valutazione sia stata preceduta da elementi di istruzione.
Al contrario, come risulta dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado, l’Amministrazione ha tentato artatamente di giustificare il trasferimento dell’appellante come conseguenza delle indagini relative alla professionalità ed affidabilità degli appartenenti ai Servizi, disposte dal Presidente del Consiglio dei Ministri in risposta alla situazione emergenziale creatasi in seguito agli episodi delle bombe di Milano, Roma e Firenze.
Tuttavia, il Napoli è stato rimosso dall’ufficio ben prima dell’espletamento delle predette indagini che, peraltro, si sono concluse con una valutazione senz’altro positiva della professionalità del ricorrente, giudicato meritevole di far parte dell’organismo di sicurezza.
E’ pur vero che l’Amministrazione ha tentato di rimediare alle accennate incongruenze, anche attraverso la istituzione di una Commissione di inchiesta da parte del Ministero degli Interni, con il compito di far luce sui criteri utilizzati al fine di procedere all’allontanamento del personale del SISDE, ma i lavori della predetta commissione hanno accresciuto i profili di incongruità e contraddittorietà, avendo fatto riferimento ad un inesistente rapporto informativo in data 30.6.1993.
Dalla natura di diritto soggettivo delle posizioni dedotte in giudizio, discenderebbe l’erroneità in punto di diritto della motivazione della sentenza, la quale, sul presupposto della riconducibilità dell’illecito della P.A. nella giurisdizione amministrativa, ha ritenuto applicabili le regole che sono peculiari di tale giurisdizione, cioè la necessaria impugnazione del provvedimento arrecante il danno nei termini decadenziali.
Da una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 7 della legge n. 205/2000 discenderebbe, invece, che l’esperibilità dell’azione risarcitoria, ancorché siano decorsi i termini decadenziali e nonostante l’intervenuta inoppugnabilità del provvedimento, lungi dal determinare una situazione di incertezza, rappresenta al contrario l’unico strumento di adeguato e giusto contemperamento dell’interesse pubblico all’intangibilità dell’agire amministrativo con l’interesse del privato a non subire ingiusti sacrifici della propria sfera giuridica.
Ciò, del resto, risulterebbe confermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, secondo cui resta avvalorata una connotazione della tutela risarcitoria invocabile al giudice a prescindere dall’annullamento - quale misura minore rispetto alla rimozione dell’atto - che è ben più impegnativa per l’amministrazione che non la tutela riparatoria, attesa la diversità di presupposti, e quindi la reciproca non interferenza, tra le vicende risarcitoria e demolitoria.
B) Ulteriore vizio della sentenza sarebbe costituito dall’errata premessa secondo cui il provvedimento amministrativo non impugnato nei termini, divenuto pertanto inoppugnabile, debba considerarsi anche legittimo a tutti gli effetti, con la conseguenza che, anche a fronte della lesione subita dal destinatario del provvedimento medesimo, sia da ritenersi preclusa l‘esperibilità dell’azione risarcitoria.
Secondo tale errata concezione, dunque, la tutela reintegratoria per danni derivanti da provvedimenti adottati dalla P.A. non può essere fatta valere se non in via consequenziale rispetto alla tutela propria del giudizio di legittimità, posto che l’illegittimo esercizio della funzione inciderebbe su una situazione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo da far valere nel termine perentorio di sessanta giorni, decorso il quale il provvedimento tacciato di illegittimità ma non eliminato, divenuto per ciò stesso intangibile, non può che essere considerato legittimo ed inidoneo a fondare qualsivoglia pretesa risarcitoria.
Tale parallelismo tra atto amministrativo inoppugnabile ed atto legittimo secondo il ricorrente non troverebbe fondamento giuridico alcuno, poiché mentre l’inoppugnabilità rileva unicamente sul piano processuale, al contrario, il concetto di legittimità attiene al piano sostanziale. Quindi, se da un lato l’illegittimo esercizio della funzione è suscettibile di recar danno ad una situazione di interesse legittimo, determinando la titolarità di azioni ordinarie di legittimità; dall’altro lato, ben può ravvisarsi un pregiudizio a situazioni qualificabili in termini di diritto soggettivo distinte e non consequenziali all’interesse legittimo, configurandosi così una autonoma e specifica azione risarcitoria.
L’appellante aggiunge un ulteriore rilievo in ordine alla sentenza impugnata.
Condizionare il diritto al risarcimento del danno ingiusto arrecato al ricorrente dall’attività provvedimentale posta in essere dall’Amministrazione, che ha inciso sul diritto soggettivo perfetto del Napoli a non vedere compromessa e svilita la propria professionalità e la propria reputazione, al previo e non più consentito annullamento dell’atto di allontanamento, equivale a negare tutela giurisdizionale al ricorrente con conseguente violazione degli artt. 2, 24 e 111 della Costituzione.
Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri che, con memoria, deduce l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 13 gennaio 2009.
D I R I T T O
1 - Come già esposto in fatto, con la sentenza appellata il TAR Lazio ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento del danno causato, a detta dell’appellante, alla propria sfera professionale, all’immagine nella vita di relazione ed alla sfera biologica, dal provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del direttore del SISDE del 29.10.1993, di trasferimento ad altra amministrazione dello Stato per esigenze di servizio. Ciò, in quanto l’azione risarcitoria introduceva un sindacato giurisdizionale che investiva la legittimità della determinazione estintiva del rapporto di impiego alle dipendenze del medesimo Servizio Informazioni; sindacato che, in quanto comportava l’accertamento della legittimità dell’atto, era inammissibile poiché quell’ accertamento ormai precluso dopo che il TAR, prima ed il Consiglio di Stato, poi, rispettivamente con sentenze nn. 3261/1998 e 2742/2000 avevano dichiarato irricevibile il ricorso impugnatorio avverso l’atto di trasferimento ad altra amministrazione assunto in data 29.10.1993, divenuto perciò inoppugnabile.
2- L’appello è infondato nel merito.
Il punto prioritario di diritto portato all’esame del Collegio consiste nel valutare la correttezza della sentenza, laddove essa ha fatto uso dell’istituto della pregiudizialità amministrativa.
Il Collegio non ritiene infatti, di doversi discostare dal principio della sussistenza della c.d. pregiudiziale amministrativa, affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. plen. n. 12/2007) e dai propri recenti precedenti specifici (Cons. Stato, VI, 3 febbraio 2009. n. 587; 19 giugno 2008 n. 3059) con i quali questo Consiglio in relazione alle contrarie pronunce della Cassazione (Cass., sez. un., 13 giugno 2006 n. 13659 e n. 13660), ha già rilevato che l’applicazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all’esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determina un esito negativo nel merito dell’azione di risarcimento.
Ne consegue che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato (o tardivamente impugnato, come nel caso di specie) è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno consente a tale atto di operare in modo precettivo dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone l’osservanza ai consociati ed impedisce così che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto inoppugnato.
Il principio della pregiudiziale non si fonda, quindi, sull’impossibilità per il giudice amministrativo di esercitare il potere di disapplicazione, ma sull’impossibilità per qualunque giudice di accertare in via incidentale e senza efficacia di giudicato l’illegittimità dell’atto, quale elemento costitutivo della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ.; in sostanza, ove l’accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio in quanto l’interessato non sperimenta, o non può sperimentare (a seguito di giudicato, decadenza, ecc.), i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la domanda risarcitoria deve essere respinta nel merito perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito (cfr., Cass. civ., II, 27 marzo 2003 n. 4538).
La pregiudiziale amministrativa è, quindi, strettamente connessa al principio della certezza della situazioni giuridiche di diritto pubblico, al cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi.
Non appare condivisibile la tesi contraria, secondo cui il termine decadenziale non rileva ai fini del risarcimento del danno, trattandosi di un termine previsto per garantire in breve tempo la certezza dell’intangibilità alla fattispecie provvedimentale, mentre la regolazione degli interessi in gioco non verrebbe posta in discussione da un’azione solo risarcitoria, nella quale la verifica della legittimità dell’atto è operata incidentalmente.
Infatti, del complessivo assetto degli interessi regolato da un atto non impugnato fa parte anche la componente economica, su cui influisce il risarcimento del danno ed, inoltre, in presenza di una decisione del giudice di accertamento dell’illegittimità di un provvedimento ai soli fini dell’esame di una domanda risarcitoria, l’obbligo di conformazione al giudicato dovrebbe implicare l’annullamento dell’atto ritenuto illegittimo, con conseguente elusione del termine decadenziale.
Rispetto alle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, cui il termine breve di impugnazione è funzionale, risulta di difficile compatibilità una fattispecie in cui il privato dopo essere rimasto silente (nel senso di non avere impugnato l’atto) dopo l’emanazione di un provvedimento amministrativo a lui sfavorevole agisca in via giurisdizionale nel più ampio termine prescrizionale di cinque anni, chiedendo il risarcimento del danno.
All’obiezione che si tratta della stessa situazione prevista dall’art. 2043 c.c. nei rapporti interprivatistici, si può replicare, evidenziando che anche in relazione all’esercizio del potere nei rapporti di diritto privato e all’impugnazione davanti al G.O. di atti amministrativi, in molti casi viene privilegiata tale esigenza di certezza con la previsione di termini decadenziali entro cui contestare la conformità a diritto di determinate situazioni giuridiche, la cui scadenza preclude anche l’azione risarcitoria: non è consentito domandare il risarcimento del danno per essere stati assoggettati illegittimamente a sanzione amministrativa mediante ordinanza-ingiunzione non impugnata ai sensi della l. 689/81; il lavoratore licenziato non può scegliere di optare per il risarcimento del danno, senza impugnare il recesso secondo le prescrizioni della l. 604/66; non può essere chiesto il risarcimento del danno in assenza di impugnativa di delibere condominiali o societarie, che hanno costituito la fonte del danno (per le seconde v. l’art. 2377, comma 6, c.c.).
Del resto, l’art. 7, terzo comma, della L. Tar prevede che "Il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.
Il comma 5 dell’art. 35 del D. Lgs. n. 80/98 stabilisce che "Sono abrogati l'articolo 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi".
In entrambe le disposizioni il legislatore, pur non affrontando direttamente la questione, ha qualificato le questioni risarcitorie collegate ad un provvedimento illegittimo, come questioni "consequenziali" rispetto all'annullamento di quest'ultimo, riconoscendo implicitamente che il risarcimento presuppone non un semplice accertamento incidentale dell’atto, ma il suo annullamento.
La disposizione implica, cioè, che, come si è rilevato, l’elemento oggettivo della fattispecie dell’illecito non sia l’atto amministrativo illegittimo, ma l’atto amministrativo annullato.
Va, infine, rilevato che l’applicazione del principio della c.d. pregiudiziale amministrativa non comporta alcuna restrizione della tutela giurisdizionale.
Dalle pronunce della Corte Costituzionale emerge che il risarcimento del danno è uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione (Corte Cost. n. 204/2004; n. 191/2006).
Il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale può essere aggredito in via impugnatoria, per la sua demolizione, e "conseguenzialmente" in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell’ uno e nell’altro caso, la questione della sua legittimità; nelle citate sentenze del giudice costituzionale, non vi è traccia di alcun sospetto di illegittimità costituzionale di siffatto disegno ed, anzi, sembra agevole inferirne il contrario (v. Cons. Stato, Ad. plen., n. 12/2007). Peraltro, in quei casi richiamati in precedenza in cui la contestazione dell’esercizio di poteri privatistici è assoggettata a termini decadenziali, il giudice ordinario mai si è posto il problema della costituzionalità della preclusione anche dell’azione risarcitoria in ipotesi di assenza di contestazioni nei termini di decadenza.
In conformità con l’orientamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, deve, quindi, ritenersi che la mancata tempestiva impugnazione di un provvedimento amministrativo impedisca di considerare illecita la condotta della p.a. e di conseguire il risarcimento del danno derivante da quel medesimo atto.
Facendo applicazione di tale principio al caso di specie, deve quindi essere respinta (nel merito) la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente di primo grado.
3- A non diverse conclusioni si perviene anche ove si voglia prescindere dalla pregiudiziale amministrativa, posto che l’ azione risarcitoria appare in concreto infondata.
Ed, invero, è da escludere che situazione giuridica scaturita dal provvedimento amministrativo contestato possa qualificarsi non conforme a legge e fondare il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 2043.
L’indagine sulla sussistenza del primo in ordine logico-giuridico degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 2043 cod.civ., vale a dire la valutazione della legittimità dell’atto amministrativo, conduce a risultato palesemente negativo.
Al riguardo, in disparte il rilievo che l’attuale appellante non ha riproposto in questa sede le specifiche censure formulate in primo grado contro tale provvedimento, per cui di esse sarebbe precluso ogni esame, è decisiva la considerazione che il contestato trasferimento si sottrae alle doglianze dedotte dall’odierno appellante ed originario ricorrente.
Com’è noto, la disciplina dell'attività degli apparati preposti alla sicurezza dello Stato deve conformarsi innanzitutto al principio fondamentale ed irrinunciabile della riservatezza, desumibile dall'intero impianto della normativa contenuta nella legge n. 801 del 1977 e che è alla base della stessa costituzione del Comitato parlamentare di controllo, al quale soltanto il Presidente del Consiglio dei ministri e il Comitato interministeriale per le informazioni la sicurezza sono tenuti, ai sensi dell'articolo 11 della legge citata, a fornire informazioni, per altro limitatamente alle linee essenziali delle strutture e dell'attività svolta. Ora, proprio ai fini di consentire una piena assunzione di responsabilità per l'attività svolta dagli apparati preposti alla sicurezza dello Stato da parte del livello dirigenziale e del livello politico (Presidenza del Consiglio dei ministri, Comitato interministeriale, Comitato parlamentare di controllo), indispensabile contrappeso del principio di riservatezza proprio ai fini della salvaguardia dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione e in conformità di apposita direttiva emanata dal Presidente del Consiglio dei ministri in data 30 luglio 1985, in attuazione dell'articolo 1 della citata legge n. 801 del 1977, la normativa regolamentare che disciplina il rapporto di lavoro del personale degli organismi informativi deve essere interpretata ed applicata in coerenza con la natura essenzialmente fiduciaria e precaria dello stesso rapporto, suscettibile di essere interrotto unilateralmente da ciascuna delle parti, rispettivamente a domanda o ad iniziativa d'ufficio, anche al fine di agevolare gli opportuni avvicendamenti. In questa ottica si giustifica il comma 2 dell'articolo 6 del regolamento adottato con D.P.C.M. n. 7 del 1980, applicabile anche ai trasferimenti del personale assunto direttamente in forza del richiamo operato dal successivo articolo 9, secondo cui il rientro nelle Amministrazioni di provenienza e il trasferimento ad altra Amministrazione dello Stato del personale degli organismi informativi possono essere disposti d'ufficio per esigenze di servizio con provvedimento ampiamente discrezionale, specificando soltanto che il provvedimento stesso è stato adottato a questo titolo.
4- In conclusione, l’appello va respinto. Le spese del grado possono essere compensate sussistendo giusti motivi
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello indicato in epigrafe, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei magistrati:
Costantino SALVATORE - Presidente f.f.
Luigi MARUOTTI - Consigliere
Armando POZZI - Consigliere, est.
Anna LEONI - Consigliere
Bruno MOLLICA - Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE F.F.
Armando Pozzi Costantino Salvatore
Depositata in Segreteria il 31/3/2009.

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