venerdì 3 aprile 2009

T.A.R. Lombardia, II, 29 dicembre 2008, n. 6188

sentenza
29 dicembre 2008
n. 6188

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione 2^
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sui ricorsi nn. 111 e 918 del 2008 proposti
[ricorso n. 111/08]
da
Guidi Franco e Nespor Stefano
rappresentati e difesi dagli avv.ti Ada Lucia De Cesaris e Claudia Galdenzi, elettivamente domiciliati presso la prima in Milano, via Fogazzaro 1
contro
Comune di Milano
in persona del Sindaco pro tempore Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Rita Surano, Armando Tempesta, Antonello Mandarano, Anna Maria Moramarco, Alessandra Montagnani Amendolea, con domicilio eletto presso i medesimi in Milano, via della Guastalla 8, negli uffici dell’Avvocatura comunale
nei confronti di
Nuovi Progetti Immobiliari s.r.l.
con sede in Milano, in persona dell’A.U. signor Virgilio Braga, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Mangialardi, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano, via dei Bossi 4
per l’annullamento
a) del titolo abilitativo formatosi col decorso del termine di legge sulla d.i.a. presentata il 12.10.2006 (pratica n. 8371/2006) per la realizzazione di un intervento edilizio in via privata Lecce n. 6;
b) del parere espresso il 4 (recte, 24) settembre 2007 dallo Sportello Unico per l’edilizia del Comune, che ha reso efficace la d.i.a. indicata sub a);
[ricorso n. 918/08]
da
Nespor Stefano
rappresentato e difeso dagli avv.ti Ada Lucia De Cesaris ed Ercole Romano, elettivamente domiciliato presso la prima in Milano, via Fogazzaro 1
contro
Comune di Milano
rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Rita Surano, Armando Tempesta e Antonello Mandarano, elettivamente domiciliato come sopra
nei confronti di
Nuovi Progetti Immobiliari s.r.l.
non costituita in giudizio
per l'annullamento
a) della comunicazione dirigenziale 8 gennaio 2008 (p.g. 131266/2008; pratica n. 8371/2006), ricevuta il 19.2.08, proveniente dallo Sportello unico per l’edilizia, Servizio interventi edilizi maggiori, Ufficio trattazioni gruppo 3);
b) del titolo abilitativo formatosi col decorso del termine di legge sulla d.i.a. presentata il 12.10.2006 (pratica n. 8371/2006) per la realizzazione di un intervento edilizio in via privata Lecce n. 6;
c) del parere espresso il 4 (recte, 24) settembre 2007 dallo Sportello Unico per l’edilizia del Comune, che ha reso efficace la d.i.a. indicata sub a);
d) del Regolamento edilizio del Comune di Milano e delle norme tecniche di attuazione del PRG vigente.
Visto il ricorso n. 111/08, notificato il 18 dicembre 2007 e l’8 gennaio 2008, depositato il 15 gennaio 2008;
Visto il ricorso n. 918/08, notificato il 18/21 e depositato il 24 aprile 2008;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e la memoria di costituzione della Società controinteressata sul ricorso n. 111/08;
Viste le memorie delle parti;
Visti atti e documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 18 dicembre 2008, relatore il dott. Carmine Spadavecchia, l’avv. De Cesaris, l’avv. Anna Maria Moramarco (per delega dell’avv. Mandarano) e l’avv. Mangialardi;
Considerato quanto segue in
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti sono, l’uno (signor Franco Guidi) comproprietario dell’immobile ubicato in via Lecce 4, l’altro (signor Stefano Nespor) proprietario di una unità immobiliare sita al quarto ed ultimo piano del condominio di via Lecce 5.
La via Lecce è una via privata a fondo cieco, che per ciascuna mezzeria è di comune proprietà dei frontisti per tutta la lunghezza delle rispettive fronti.
Di fronte allo stabile di via Lecce 5, e a fianco dell’immobile di via Lecce 4, vi è un’area di mq 204,62, appartenente alla Società controinteressata, sulla quale sorgeva un magazzino/laboratorio artigianale avente altezza di ml. 4,50 circa.
Detta area - sita in zona a destinazione B1, funzione R/I, con indice di fabbricazione (If) di 3mc/mq (ex art. 19, 2.2 n.t.a.) - è oggetto dell’intervento edilizio in contestazione.
Secondo la denuncia di inizio attività (d.i.a.) presentata il 12.1.2006, l’intervento consiste in una ristrutturazione edilizia unitamente ad una nuova costruzione; esso è volto a trasformare la struttura presesistente (ex magazzino/laboratorio, alto ml. 4,50) in sette box, con ampi spazi chiusi sovrastanti i volumi destinati a parcheggio, e a realizzare al di sopra di tale struttura due nuovi piani, ciascuno avente altezza di ml. 4,85, dotato di ampi spazi con soppalchi attrezzati e finestrati, e un sottotetto senza permanenza di persone con altezza media interna di ml. 2,35.
In sede di istruttoria tecnica lo Sportello unico per l’edilizia ha rilasciato il 24 settembre 2007 un parere favorevole che: qualifica l’intervento come di ristrutturazione e ampliamento; precisa che il progetto, inerente un edificio artigianale, prevede la traslazione e il cambio di destinazione d’uso (da artigianale a residenziale) della Slp esistente al piano terreno (mq 195,20) con un modesto ampliamento di Slp (mq 1,73), per una Slp complessiva di mq 196,93; ritiene “non pertinente” la verifica della necessità di una pianificazione attuativa; classifica l’accessibilità dell’area come “sufficiente”; conclude che “l’intervento rientra nella volumetria ammissibile con uno sfruttamento dell’area pari a 2,887 mc/mq calcolato su una superficie fondiaria di mq 204,62”.
2. Con il primo dei ricorsi in epigrafe (n. 111/08) i ricorrenti hanno impugnato il titolo abilitativo formatosi sulla d.i.a. ed il parere tecnico 24 settembre 2007 dello Sportello unico edilizia.
Con atto in data 27.9.07 il signor Nespor ha diffidato il Comune a verificare la conformità del progetto alle prescrizioni di legge e di regolamento. Con nota 20.11.2007 ha segnalato illegittimità dell’intervento edilizio, invitando il Comune a interdire l’avvio o la prosecuzione dei lavori. Con nota 8 gennaio 2008 il dirigente del Servizio lo ha informato che l’esame della pratica edilizia era stato favorevolmente concluso sulla scorta di quanto rappresentato sugli elaborati grafici asseverati dal progettista.
Col secondo dei ricorsi in epigrafe (ricorso n. 918/08) il sig. Nespor ha impugnato, unitamente agli atti investiti dal primo ricorso, la menzionata nota dirigenziale 8 gennaio 2008, il Regolamento edilizio e le n.t.a. del PRG.
3. Il Comune e la Società controinteressata, costituiti in giudizio, hanno controdedotto.
La domanda cautelare presentata col primo ricorso, motivatamente accolta dalla Sezione (ord.za 30.11.08 n. 167), è stata respinta dal giudice di appello (Cons. Stato IV, 15.4.08 n. 2065), che, valutati i contrapposti interessi, ha considerato “prevalente quello della società appellante”.
4. I ricorrenti premettono che il calcolo della volumetria è stato effettuato in base all’art. 11 del Regolamento edilizio, il quale fa riferimento alla volumetria virtuale risultante dal prodotto della superficie per un’altezza virtuale dell’interpiano di ml 3,00, indipendentemente dalla sua altezza effettiva.
Essi rilevano che, tenendo conto delle altezze reali, e non virtuali, lo sfruttamento effettivo dell’area (di 204,62 mq) è di mc 2.307, il che corrisponde a 11,27 mc/mq, ben superiori all’indice (3 mc/mq) previsto dall’art. 19 n.t.a. per le zone B1.
Rilevano altresì che l’altezza dello stabile in progetto è di oltre 18 ml, mentre lo stabile di fronte è alto circa 11 metri, e lo stabile adiacente (proprietà Guidi) è altro circa 8,5 metri.
Su tali premesse formulano i seguenti motivi di impugnazione, comuni ai due ricorsi:
- violazione del Regolamento edilizio (art. 11) e delle n.t.a. del p.r.g. (art. 19, par. 2.2, e art. 17, par. 1.2): il criterio virtuale previsto dall’art. 11 R.E., finalizzato a valutare la capacità insediativa dell’intervento edilizio, non può essere utilizzato per calcolare l’indice di fabbricabilità indicato dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore (nella specie, 3 mc/mq), che identifica il reale volume costruibile sulla c.d. area di pertinenza, in base ad una valutazione non del peso insediativo, ma del sostenibile assetto ed uso del territorio sotto il profilo urbanistico e morfologico; detto indice (3 mc/mq) corrisponde del resto a quello previsto da una norma primaria tuttora vigente (art. 41-quinquies, sesto comma, legge n. 1150 del 1942), che - assumono i ricorrenti - fa riferimento ai volumi reali realizzabili su aree di pertinenza, ed è superabile solo con apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi all’intera zona; l’art. 17, par. 1.2 n.t.a., peraltro, esclude per le zone B1 particolari modificazioni dell’attuale stato di fatto [primo motivo (ric. 111/08) e quarto motivo (ric. 918/08)];
- violazione del decreto ministeriale n. 1444/1968 (art. 8) e delle n.t.a. del p.r.g. (art. 17, par. 1.2, e art. 19, par. 2.2): l’altezza dell’edificio (oltre 18 mt) contrasta con l’art. 8 d.m. 1444/1968 (reso inderogabile dall’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, legge n. 1150/1942), il quale dispone che nelle zone B l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, nonché con l’art. 17 n.t.a., che per le zone B1 intende salvaguardare l’attuale stato di fatto, escludendo modificazioni sostanziali [secondo motivo (ric. 111/08) e sesto motivo (ric. 918/08)];
- sviamento e carenza di istruttoria: la Società controinteressata non ha dimostrato di avere acquisito anche la quota indivisa di proprietà della mezzeria della strada privata, il che pone, in ordine all’accessibilità dell’edificio e dei box, problemi che il Comune avrebbe dovuto, nell’istruttoria della pratica edilizia, approfondire [terzo motivo (ric. 111/08) e secondo motivo (ric. 918/08)];
- in subordine, violazione dell’art. 41-quinquies, comma sesto, della legge n. 1150/1942: calcolando l’indice di fabbricabilità ex art. 19 n.t.a. in modo virtuale, il Comune ha violato la norma primaria (art. 41-quinquies cit.) che consente il superamento dell’indice di 3 mc/mq solo previa approvazione di piano attuativo (ovvero, secondo la giurisprudenza, in caso di area già urbanizzata): infatti, in mancanza di piano particolareggiato, ed essendo la volumetria in progetto vicina a 12 mc/mq, il Comune avrebbe dovuto verificare in concreto l’urbanizzazione esistente e la sua idoneità a sopportare il nuovo intervento; sarebbe errata, inoltre, la valutazione di accessibilità dell’area, posto che la strada privata esistente, a fondo cieco e transitabile da un solo veicolo per volta, è insufficiente a fronte del traffico indotto dal nuovo insediamento; lo stesso art. 19 n.t.a., ove ammettesse il calcolo virtuale della volumetria, sarebbe illegittimo perché, consentendo di edificare con concessione edilizia semplice, senza piano particolareggiato e senza preesistente urbanizzazione, finirebbe per aggirare i limiti reali posti dalla norma primaria, superando altresì il limite massimo di densità fondiaria (7 mc/mq) posto dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 [quarto motivo (ric. 111/08), settimo e ottavo motivo (ric. 918/08)].
5. Il ricorso n. 918/08 investe anche la nota dirigenziale 8 gennaio 2008 (che risponde alla diffida dell’interessato), imputando al Comune difetto di istruttoria e di motivazione: a) per avere valutato la d.i.a. sulla base di un riscontro meramente cartolare, senza sopralluogo, senza verifica delle dichiarazioni inerenti allo stato dei luoghi, senza un accertamento concreto sullo stato di urbanizzazione della zona (primo motivo); b) per avere omesso di valutare osservazioni formulate dall’interessato con la propria diffida (terzo motivo).
Il ricorso denuncia anche l’illegittimità dell’art. 11 del Regolamento edilizio a fronte dell’art. 41-quinquies, comma sesto, legge n. 1150/1942, chiedendone la disapplicazione (quarto motivo). Contesta comunque l’applicabilità del calcolo virtuale nel caso in esame, in cui ogni piano risulta composto da due volumi ben distinti (volume del piano e volume sovrastante i soppalchi, ciascuno con autonoma finestrazione), sicché verrebbe meno il presupposto (l’unitarietà del volume interno ai singoli piani) di siffatta modalità di calcolo (quinto motivo).
6. Il Comune, costituito in entrambi i giudizi, ha controdedotto.
La controinteressata - costituita solo sul primo ricorso - ha controdedotto anch’essa nel merito, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso sul rilievo che, risolvendosi la denuncia di inizio attività (d.i.a.) in un atto privato, che non varrebbe né come provvedimento amministrativo, né come atto abilitativo, l’unico rimedio esperibile da parte del soggetto che si ritenga leso da una d.i.a. nei cui riguardi l’Amministrazione non abbia esercitato alcuna potestà repressiva consisterebbe nel rivolgere formale istanza all’Amministrazione stessa e nell’impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto formatosi su detta istanza.
7. Ciò premesso, il Collegio osserva quanto segue.
I ricorsi, avendo lo stesso oggetto, possono essere riuniti e decisi con un’unica sentenza.
Per quanto concerne l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla controinteressata, il Collegio non ritiene di soffermarsi sugli indirizzi giurisprudenziali concernenti i mezzi di tutela del terzo leso dalla denuncia di inizio attività (d.i.a.) - indirizzi tra i quali sembra in via di consolidamento quello favorevole alla diretta impugnabilità della d.i.a. (Cons. Stato VI 5.4.07 n. 1550, IV 29.7.08 n. 3742) - dal momento che nel caso in esame i ricorsi investono anche due atti emanati dallo Sportello unico edilizia: il parere tecnico 4 settembre 2007 (con cui il Comune ha verificato la legittimità della d.i.a.) e la nota 8 gennaio 2008 (con cui ha ribadito la legittimità della d.i.a. in risposta alla diffida formulata da uno dei ricorrenti).
Ciò rende ammissibili i ricorsi, dal momento che, quali che siano lo stato del dibattito sulla questione relativa all’impugnabilità della d.i.a. e gli orientamenti giurisprudenziali sul tema, l’impugnazione di atti amministrativi emessi nell’esercizio del potere di controllo dell’attività edilizia consente comunque un sindacato ad ampio spettro sulla legittimità dell’intervento edilizio avviato con la denuncia di inizio attività, che il Comune non ha ritenuto di interdire, né di reprimere.
8. Nel merito, il ricorso è fondato.
La volumetria edificabile è un dato che ha a che fare non solo col peso insediativo (cioè con il carico urbanistico indotto da un nuovo insediamento), ma anche con la morfologia del territorio, e con l’ingombro fisico ritenuto compatibile con la fisionomia e l’assetto di una determinata zona.
Se è vero che il calcolo della volumetria può essere orientato da criteri regolamentari volti a stabilire quali spazi non siano computabili (spazi accessori non abitabili, volumi tecnici, vani di servizio, ecc.), il volume virtuale non può essere sganciato da quello fisico fino al punto da alterare sensibilmente il dato reale.
Ove le singole Amministrazioni fossero libere di fissare per il computo del volume criteri del tutto avulsi da una base reale, la norma primaria (art. 41-quinquies, sesto comma, legge n. 1150 del 1942), e il decreto ministeriale applicativo (art. 7 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444), che pongono limiti di densità edilizia valevoli su tutto il territorio nazionale senza stabilire criteri uniformi per il calcolo della volumetria, verrebbero diversamente applicati e sostanzialmente vanificati.
Ora, l’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942 n. 1150 (aggiunto dall’art. 17 legge 6 agosto 1967 n. 765) dispone che nei comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero altezze superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e contenenti la disposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.
L’art. 19 n.t.a., laddove prevede, nelle zone B1, l’edificabilità a concessione edilizia semplice secondo un indice massimo pari a 3 mc/mq., è in linea con la norma primaria.
Senonchè, l’art. 11 del Regolamento edilizio del 1999, riducendo ulteriormente l’altezza “virtuale” già fissata in m. 3,30 dall’art. 6.10 delle n.t.a., stabilisce che “il volume delle costruzioni è da ricavarsi convenzionalmente moltiplicando la superficie lorda complessiva di pavimento (S.l.p.) dei singoli piani per l’altezza virtuale dell’interpiano di m. 3,00 indipendentemente dalla sua altezza effettiva”.
9. Ora, qualunque sia la ratio della norma (computare a tre metri anche altezze inferiori; utilizzare un criterio uniforme di calcolo indipendentemente dalle differenze di altezza dei singoli piani interni allo stesso edificio; ecc.), essa non può essere intesa nel senso di autorizzare la progettazione e la realizzazione di edifici pluripiano come se le altezze interpiano, qualunque sia la loro estensione, fossero pari a tre metri.
L’applicazione indiscriminata del criterio virtuale finirebbe per alterare la regola posta dalla norma primaria fino al punto di ammettere volumetrie del tutto avulse dalla realtà: come avviene nel caso di specie, in cui l’altezza effettiva interpiano (m. 4,85), di gran lunga superiore a quella virtuale (m. 3,00), tende a sfruttare attraverso l’uso di soppalchi spazi interni artificiosamente dilatati in altezza.
Intesa altrimenti, la norma finirebbe per aggirare lo stesso limite volumetrico (conforme alla norma primaria) dettato in sede di pianificazione, autorizzando la realizzazione con concessione semplice di volumetrie che richiederebbero (in base alla medesima norma primaria) la redazione di un piano attuativo e - verosimilmente - il potenziamento delle opere di urbanizzazione, la cui verifica è invece da escludersi laddove l’edificazione, mantenendosi nel limite di 3 mc/mq, sia consentita con semplice concessione (ora permesso di costruire).
Così interpretata, ed escluso che essa possa “interpolare” l’art. 19. n.t.a. al fine di rendere assentibili interventi come quello in contestazione, la norma regolamentare - peraltro suscettibile di disapplicazione in caso di contrasto con fonti normative superiori: cfr. Cons. Stato V 4.2.04 n. 367, 10.1.03 n. 35 - si sottrae a censure di illegittimità.
Lo stesso dicasi dell’art. 19 n.t.a., che rettamente inteso non si espone né a disapplicazione (peraltro consentita dalla sua natura normativa: cfr. TAR Brescia 4.11.03 n. 1344), né ad annullamento (chiesto in ricorso, ancorché in via subordinata).
10. I motivi che denunciano la violazione dell’art. 8 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 e dell’art. 17 delle n.t.a. non sono invece fondati.
L’art. 8 del decreto ministeriale (che stabilisce limiti inderogabili di altezza in forza dell’art. 41-quinquies della legge urbanistica) dispone che l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con l’eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7.
In base al rilievo prodotto dalla controinteressata (allegato al doc. 9), e non contestato, l’edificio in progetto ha un’altezza di 18,06 metri. Sebbene tutti gli edifici che affacciano sulla via Lecce siano di altezza inferiore (compresa tra 8,33 mt e 16,32), esistono nelle immediate vicinanze, e dunque nel contesto degli edifici “circostanti”, fabbricati di altezza superiore (24,18 e 22,42 metri).
Non può indurre a diversa conclusione la circostanza che le zone B1 vengano definite (art. 17, punto 1.2 n.t.a.) come “parti del territorio per le quali il Piano non prevede particolari modificazioni dell’attuale stato di fatto”, trattandosi di definizione generica, che attiene alla fisionomia generale della zona, e che non può essere intesa come volta a precludere ogni immutazione dell’esistente, se non a costo di vanificare le stesse previsioni di edificabilità poste dall’art. 19.
11. Da ultimo, i ricorrenti dubitano dell’accessibilità dell’edificio in progetto e dei relativi box, addebitando al Comune carenze istruttorie per non avere verificato se la Società controinteressata abbia acquisito, assieme all’immobile oggetto di trasformazione edilizia, anche la quota indivisa di proprietà della mezzeria della strada privata.
Il motivo è infondato. Nessuna approfondimento ulteriore il Comune era tenuto a fare ove si consideri che: l’atto di compravendita dell’immobile di via Lecce 6 (cfr. scrittura privata autenticata il 13.1.2006, registrata il 25.5.06) precisa che la proprietà viene acquistata con ogni accessione e pertinenza, oneri e servitù attive e passive, e che la proprietà della via privata Lecce è normata da due atti notarili del 1923 e del 1930; l’atto del 1930 ha ad oggetto il terreno (all’epoca area nuda) comprensivo di una porzione, tinteggiata in giallo, destinata a strada privata e confinante con l’altra metà della strada privata; l’atto di compravendita 25.6.1926 prodotto dai ricorrenti precisa che la via privata Lecce “è di comune proprietà dei singoli fronteggianti per tutta la lunghezza delle rispettive fronti e da considerarsi strada in comune fra i frontisti”.
12 Per le considerazioni esposte, che assorbono ogni altro motivo di censura, i ricorsi vanno accolti, nei limiti sopra precisati, con conseguente annullamento del titolo abilitativo formatosi sulla d.i.a. 12.10.2006 (pratica n. 8371/2006) e degli atti emessi dallo Sportello unico edilizia. Si ravvisano tuttavia ragioni sufficienti per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, riuniti i ricorsi in epigrafe, li accoglie, e per l’effetto annulla il titolo abilitativo formatosi sulla d.i.a., il parere 4 settembre 2007 e la nota 8 gennaio 2008 dello Sportello unico per l’edilizia.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 18 dicembre 2008, con l'intervento dei magistrati:
Mario Arosio presidente
Carmine Spadavecchia consigliere, estensore
Fabrizio D’Alessandri referendario
L’estensore Il presidente

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