giovedì 15 maggio 2008

T.A.R. Lombardia - Milano, SEZ. I - sentenza 8 maggio 2008 n. 1380

T.A.R. LOMBARDIA
SEZ. I DI MILANO
S E N T E N Z A

Sul ricorso n. 183 del 2008 proposto da
ALESSIO s.p.a., con sede in Caresanablot (VC), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Edoardo Canali e Maurizio Zoppolato presso il cui studio di Milano alla Via Dante 16 ha eletto domicilio, come da procura a margine del ricorso introduttivo.

contro

COMUNE di MAGENTA, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandra Bazzani e Paolo Bertacco presso il cui studio di Milano, alla Via Cordusio 2, ha eletto domicilio come da procura a margine della memoria di costituzione.

e nei confronti di

GEMEAZ CUSINI RISTORAZIONE s.r.l., con sede in Segrate (Mi), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Giustino Ciampoli e Francesco Bellocchio presso il cui studio in Milano, alla Via Marina 6, ha eletto domicilio come da procura a margine della memoria di costituzione .

per l'annullamento previa sospensione

della determinazione dirigenziale 21.11.2007 n. 239 con la quale il Comune di Magenta ha aggiudicato definitivamente l’appalto relativo alla "gestione del servizio di ristorazione per gli asili nido e le scuole d’infanzia, scuole primarie, scuole secondarie di primo grado e servizio agli anziani" alla Gemeaz Cusin Ristorazione s.r.l.;
di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso ai precedenti e, in particolare, dei verbali della Commissione di gara 3.9.2007, 9-31.10.2007 e 14.11.2007, del bando di gara e del disciplinare di gara nonché, ove già stipulato del contratto di appalto;

e per la conseguente condanna

dell’ente intimato al risarcimento del danno derivante alla società ricorrente dall’esecuzione del provvedimenti impugnati.
Visti il ricorso introduttivo ed i documenti allegati di ALESSIO s.p.a.;
visti gli atti di costituzione del Comune di MAGENTA e di GEMEAZ CUSIN RISTORAZIONE s.r.l.;
viste le memorie depositate dalle parti costituite in uno con i documenti prodotti;
Relatore alla pubblica udienza del 2.4.2008 il referendario Hadrian Simonetti;
Uditi altresì i procuratori delle parti, come da verbale in atti;
Ritenuto in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Il Comune di Magenta ha indetto una procedura aperta di gara, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’assegnazione del servizio, della durata di nove anni scolastici, di "ristorazione per gli asili nido e le scuole d’infanzia, scuole primarie, scuole secondarie di primo grado e servizio agli anziani. Connessa alla gestione del servizio vi è, a cura e spese dell’aggiudicataria, la ristrutturazione del centro cottura comunale e l’allestimento della cucina dell’asilo nido".
La gara, alla quale hanno partecipato cinque concorrenti, è stata aggiudicata all’odierna controinteressata che ha ottenuto per l’offerta tecnica un punteggio di 46,61 e per quella economica un punteggio di 44, 34 per un totale di 90,95. L’odierna ricorrente si è classificata al secondo posto con i punteggi, rispettivamente, di 39,55 e 49,84 per un totale di 89,39.
Avverso l’aggiudicazione, e gli atti ad essa presupposti tra cui in particolare il bando ed il disciplinare di gara, ha presentato ricorso ALESSIO s.p.a., deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sulla base di un’articolata serie di motivi quali, in sintesi:
1) violazione e falsa applicazione art. 86, 87, 88 d.lgs. 163/2006; violazione principi di imparzialità, efficienza e buona amministrazione; eccesso di potere per carenza di istruttoria, difetto di motivazione e contraddittorietà tra atti.
Lamenta sul punto la ricorrente l’omessa verifica di anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria.
2) violazione dei principi generali in tema di gare; eccesso di potere per illogicità manifesta, contraddittorietà tra atti, violazione del principio della par condicio.
La censura si appunta sul punteggio relativo al monte ore del personale e sulla previsione, contenuta nel disciplinare, di premiare i concorrenti che avessero offerto un numero ore prossimo al valore medio, anziché i concorrenti che avessero offerto il maggior numero di ore.
3) violazione art. 83 d.lgs. 163/2006; violazione principi di imparzialità, trasparenza, efficienza e buona amministrazione; contraddittorietà intrinseca; difetto di motivazione.
Si lamenta la mancata determinazione, da parte della Commissione di gara, dei criteri motivazionali per l’attribuzione dei punteggi numerici, con particolare riferimento alla voce B.1. dell’offerta tecnica per la quale il disciplinare aveva previsto l’attribuzione di un punteggio sino a 20 punti.
4) violazione art. 83 d.lgs. 163/2006; violazione principi di imparzialità, trasparenza, efficienza e buona amministrazione; contraddittorietà intrinseca; difetto di motivazione; violazione par condicio.
Si contesta alla Commissione di gara il fatto di avere introdotto dei sottocriteri successivamente all’apertura delle offerte, con particolare riferimento alle voci B.3, B.4 e B.8.
5) violazione art. 83 d.lgs. 163/2006; violazione artt. 5 e 7 del disciplinare di gara; violazione principi di imparzialità, trasparenza; contraddittorietà intrinseca; difetto di motivazione; violazione par condicio.
Si contesta l’incoerenza dei sottocriteri con quanto previsto dal disciplinare di gara.
Si sono costituiti il Comune di MAGENTA e GEMEAZ CUSIN controdeducendo su ciascuno dei motivi di ricorso, contestandone la fondatezza e chiedendone il rigetto.
Dopo avere rinunciato all’istanza cautelare, con memoria del 26.3.2008 parte ricorrente ha insistito nei motivi di ricorso e, preso atto della stipulazione avvenuta nelle more del giudizio, ha chiesto l’annullamento del contratto.
L’amministrazione resistente ha eccepito l’inammissibilità di siffatta domanda per difetto di giurisdizione.
All’udienza del 2.4.2008, su queste conclusioni, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente censura l’omessa verifica di anomalia dell’offerta presentata dalla controinteressata, sottolineando in particolare come la verifica fosse obbligatoria, a norma dell’art. 86 co. 2, dal momento che l’offerta dell’aggiudicataria aveva ricevuto punteggi superiori ai 4/5 dei punti massimi previsti (il massimo era di 100 punti, ripartito in eguale misura tra l’offerta economica e quella tecnica).
Replica l’amministrazione, da un lato, affermando di avere proceduto alla verifica in ordine all’affidabilità dell’offerta, come la Commissione giudicatrice si era riservata di fare all’esito della seduta di gara del 14.11.2007; dall’altro, assumendo la non applicabilità della disciplina invocata da parte ricorrente, trattandosi di un appalto di servizi tra quelli elencati nell’allegato IIB cui non si applicano gli artt. 86, 87, 88 Codice dei Contratti.
Sottolinea inoltre l’amministrazione, sempre a confutazione del motivo, che l’offerta economica della controinteresata è risultata solamente terza in graduatoria (con 44,34 punti), con un sensibile distacco da quella dell’odierna ricorrente che ha avuto 49,84 punti.
Il motivo è fondato
Al cospetto, infatti, di un appalto di servizi in materia di ristorazione – al quale, a norma dell’art. 20, si applicano solamente gli artt. 65, 68 e 225 del Codice – l’esistenza di un obbligo di procedere alla verifica di anomalia dell’offerta può trovare il suo fondamento esclusivamente nella legge di gara e, quindi, nella scelta della stazione appaltante di autovincolarsi in tal senso.
Nel caso di specie, poiché l’art. 6 del disciplinare di gara, richiamando espressamente gli artt. 86 co. 5 e 87 co. 2 del Codice, ha previsto l’obbligo per i concorrenti di fornire giustificazioni preventive a corredo dell’offerta economica, appare ragionevole inferire da tale clausola del disciplinare la volontà dell’amministrazione di assoggettarsi alla disciplina sull’anomalia delle offerte nel suo insieme. Qualunque interpretazione di segno diverso priverebbe infatti di effetto pratico la clausola ed il relativo adempimento di cui all’art. 6 del disciplinare, in contrasto quindi con il principio di conservazione di cui all’art. 1367 c.c.; e sarebbe, inoltre, contraria al canone di buona fede di cui all’art. 1366 c.c. posto, in materia di contratti (della p.a.), a tutela del preminente interesse pubblico a che sia assicurata una concorrenza seria ed effettiva tra i partecipanti alla gara.
Da ciò consegue ulteriormente che, avendo l’offerta economica dell’odierna controinteressata raggiunto comunque un punteggio superiore ai 4/5 del massimo, la stazione appaltante aveva l’obbligo di valutarne la congruità e, all’esito della relativa istruttoria, di motivare in ordine alle proprie determinazioni.
La circostanza ricordata dall’amministrazione che, per la parte economica, l’offerta di ALESSIO s.p.a. fosse risultata migliore di quella di GEMEAZ appare priva di pregio, dal momento che nel computo globale, tenuto conto anche della parte tecnica, il primo posto in graduatoria era stato attribuito alla GEMEAZ e che l’art. 88 co. 7 impone di sottoporre a verifica la prima migliore offerta.
Una volta accertato l’obbligo a carico della stazione appaltante di procedere alla verifica di anomalia dell’offerta di GEMEAZ, occorre chiarire come nella vicenda in esame, sebbene nella seduta del 14.11.2007 la Commissione giudicatrice si fosse riservata di procedere ad ulteriori verifiche, in una ulteriore seduta, non risulta in alcun modo che tale verifica sia avvenuta, dal momento che a distanza di appena una settimana l’Amministrazione ha proceduto all’aggiudicazione definitiva del servizio.
Anche a voler ritenere, sulla scorta della prevalente giurisprudenza (ma v., nel senso di richiedere comunque una motivazione accurata, Cons. St., IV, n. 1231/2005), che nelle ipotesi in cui la verifica abbia esito positivo (pervenendosi ad un giudizio di non anomalia dell’offerta), la motivazione possa essere meno accurata di quella richiesta in caso di verifica negativa, osserva tuttavia il Collegio come ciò non autorizzi l’integrale omissione della motivazione, occorrendo quanto meno fare richiamo alle giustificazioni fornite dal concorrente (nel senso che il giudizio debba pur sempre fondarsi su di un’adeguata istruttoria e una congrua motivazione cfr. TAR Toscana, II, n. 78/2006), il che nel caso in esame non è avvenuto.
2. Con il secondo motivo di ricorso si censurano le modalità attraverso le quali la commissione ha attribuito il punteggio relativamente alla voce B.2 dell’offerta tecnica: "Monte ore del personale per tutta la durata del contratto". In particolare lamenta il ricorrente il fatto che, sulla base del disciplinare di gara, sia stato premiato con il punteggio massimo di 5 punti, non già il concorrente che aveva offerto il maggior numero di ore ma, quello che aveva offerto un numero di ore più prossimo al valore medio.
Alle censure di irragionevolezza e di distorsione della concorrenza ha replicato l’amministrazione assumendo, nell’ordine, l’insindacabilità di tale profilo in quanto afferente al merito, l’inammissibilità della doglianza per mancata tempestiva impugnazione della legge di gara, la sua infondatezza.
Osserva preliminarmente il Collegio come il motivo sia ammissibile vertendo su un profilo di dedotta illegittimità del disciplinare di gara, in punto di ragionevolezza e congruità, e come non sussistesse un onere gravante sulla ricorrente di immediata impugnazione della clausola in oggetto, che non definisce i requisiti di partecipazione alla gara quanto, piuttosto, le sue modalità di svolgimento e che ha comportato una concreta lesione della posizione del concorrente solamente all’esito della gara.
Nel merito il motivo è anche fondato, nei seguenti termini.
Va, in proposito, premesso che il numero di ore lavorative offerte dal concorrente è un dato diretto ad assicurare l’esecuzione del servizio nel migliore dei modi possibili, essendo di tutta evidenza che maggiore è il numero di persone addette, maggiori sono le garanzie di una efficiente espletazione del servizio. Ne consegue, ovviamente che tale dato deve essere ancorato a parametri obiettivi e facilmente controllabili, e non ricavato da una mera combinazione casuale.
È vero che così operando, si potrebbe finire col valorizzare, le offerte che presentino un monte ore sproporzionato all’effettiva consistenza del servizio da espletare, finendo col premiare concorrenti in mala fede, ma è anche vero che un simile inconveniente appare rimediabile sia in via preventiva, mediante una corretta applicazione dell’istituto dell’anomalia, sia in via successiva, mediante un accurato controllo – in sede di esecuzione – del personale effettivamente utilizzato dall’aggiudicatario e con l’adozione degli ordinari rimedi previsti dal codice civile in materia di inadempimento contrattuale.
La scelta di escludere come criterio l’attribuzione del punteggio massimo al concorrente che avesse offerto il monte ore più alto, in linea di principio legittima, avrebbe dovuto pertanto comportare l’adozione di un criterio alternativo non meno oggettivo di quello scartato. Tale non essendo quello prescelto nel disciplinare, in quanto incentrato su di una formula matematica che premiava il concorrente che avesse offerto un monte ore più prossimo al valore medio, risultante tale valore medio solamente dalla combinazione casuale e non preventivabile delle offerte presentate dai diversi concorrenti.
Si vuole in particolare sottolineare come, in alternativa al criterio lineare del massimo punteggio al monte ore più alto, la stazione appaltante avrebbe dovuto prevedere un criterio alternativo pur sempre legato a parametri oggettivi e prevedibili, tali quindi da permettere ai concorrenti di determinarsi nelle loro offerte in modo consapevole e ponderato.
In assenza di tali parametri la clausola deve ritenersi illogica e quindi viziata da eccesso di potere.
3. Con il terzo motivo parte ricorrente censura, sempre per la parte tecnica, l’omessa specificazione dei criteri di valutazione dell’offerta, con particolare riferimento alla voce B.1 – "coerenza generale dell’organizzazione del servizio per le attività richieste dal CSO". Al cospetto del criterio di valutazione indicato sul punto nel disciplinare di gara, asseritamente generico, assume parte ricorrente che la Commissione aveva il dovere di fissare i criteri motivazionali di cui all’art. 83 co. 4 Codice contratti.
Tanto più – sottolinea sempre parte ricorrente – in considerazione dell’elevato punteggio massimo attribuito alla voce in esame e riconosciuto di fatto alla GEMEAZ (pari a 20 punti), a confronto con la differenza complessiva di punteggio tra la prima e la seconda classificata, risultata pari ad appena 1,56 punti.
Giova chiarire come la ricorrente non contesti il fatto che la legge di gara attribuisse alla voce B.1 sino a 20 punti quanto, piuttosto, la mancata specificazione dei criteri di valutazione indicati nel disciplinare, ovvero l’assenza di criteri motivazionali tali da superare, altrimenti, la censura di genericità.
Sempre per una migliore interpretazione dei fatti di causa, osserva il Collegio come, dei 50 punti massimi previsti per la parte tecnica dell’offerta, alla voce B.1 fosse attribuito un punteggio massimo di ben 20 punti, di gran lunga superiore a quello riconosciuto singolarmente ad ogni altro elemento qualitativo dell’offerta. E come, nella concreta dinamica della gara in oggetto, l’odierna controinteressata abbia ottenuto sub B.1 il massimo del punteggio possibile, distanziando di molte lunghezze gli altri concorrenti (di ben 6 punti l’odierna ricorrente). Sicché, in definitiva, l’elemento B.1 si è rivelato decisivo nell’economia della gara, nel senso di determinare l’aggiudicazione in favore di GEMEAZ (risultata la migliore offerente con uno scarto complessivo di circa un punto e mezzo sull’odierna ricorrente).
Tanto premesso, stabiliva il disciplinare che "per l’elemento B.1 il punteggio verrà assegnato in base alla chiarezza, la puntualità, l’accuratezza e la coerenza complessiva dell’offerta in relazione all’organizzazione complessiva del servizio per le attività richieste dal CSO".
Trattasi all’evidenza di una formula di sintesi di non comune vaghezza, che da sola non specifica affatto i criteri impiegati per l’attribuzione del punteggio numerico in merito all’elemento B.1.
Dopodiché, dalla lettura degli altri atti di gara, nulla risulta in ordine all’adozione di criteri motivazionali idonei a guidare la Commissione nell’attribuzione dei singoli punteggi nella forbice assai ampia – sino a 20 punti - prevista per l’elemento B.1; né a tanto potevano servire i riferimenti, appunto generici, contenuti nel disciplinare appena riprodotto sul punto.
E del resto, secondo l’orientamento del Consiglio di Stato, il punteggio numerico può essere considerato sufficiente a motivare gli elementi dell’offerta economicamente più vantaggiosa soltanto nell’ipotesi in cui il bando di gara abbia espressamente predefinito specifici, obiettivi e puntuali criteri di valutazione, visto che tale criterio di aggiudicazione svincola l’amministrazione da una valutazione meccanica, attribuendole un potere fortemente discrezionale. Tale esigenza risponde, infatti, al principio di correttezza dell’azione amministrativa, ineludibile per tutte le procedure di evidenza pubblica, a garanzia dell’imparziale svolgimento di tali procedimenti ed al fine di consentire la verifica dell’operato dell’Amministrazione sia da parte del privato interessato, che del Giudice Amministrativo, al quale deve essere permesso di poter ricostruire l’iter logico seguito dalla stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 2379/2003; Cons. Stato, Sez. V, n. 374/ 2004).
In questa prospettiva si osserva in particolare come l’utilizzo del solo punteggio numerico si dimostri insufficiente laddove i criteri di massima siano formulati sulla base di espressioni generiche (v., tra le tante pronunce sul punto, TAR Umbria, n. 243/2007).
Nel caso di specie, per quanto attiene sempre all’elemento B.1 dell’offerta tecnica, seppure è in astratto possibile che fosse oggettivamente difficile predeterminare dei criteri puntuali con riferimento ad un fattore che altro non esprimeva, nella sostanza, se non il gradimento dell’amministrazione; cionondimeno, l’inerente punteggio assegnato ai singoli concorrenti avrebbe dovuto essere motivato caso per caso, in considerazione proprio del contenuto indeterminato e della natura ampiamente discrezionale del fattore in esame e della sua decisiva incidenza ai fini dell’aggiudicazione del servizio
Ciò non è avvenuto, con particolare riferimento al punteggio massimo attribuito alla GEMEAZ, e tanto è già sufficiente per ritenere fondato anche questo motivo di ricorso.
L’accoglimento delle prime tre censure, conseguendone la caducazione dell’intera gara, dispensa il Collegio dall’esaminare i restanti due motivi di ricorso, atteso che dal loro ipotetico accoglimento non deriverebbe, comunque, alcun ulteriore vantaggio per la società ricorrente (v. Cons. Stato, VI, n. 213/2008).
In conclusione il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento dell’aggiudicazione e dei verbali di gara, oltre che del disciplinare nella parte relativa al calcolo del monte ore.
4. Si deve ora esaminare la questione, introdotta in giudizio da parte ricorrente con apposita domanda, circa gli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione sulla sorte del contratto frattanto stipulato dalla stazione appaltante con l’impresa aggiudicataria.
Il tema, al centro di un vasto dibattito dottrinale e giurisprudenziale che è venuto sempre più intensificandosi nel corso dell’ultimo decennio, impone alcune premesse di ordine generale.
4.1. Il discorso deve naturalmente prendere le mosse dal dato normativo offerto dall’art. 244 d.lgs. 163/2006 che, come noto e sulla scorta di quanto già disponeva l’art. 6 l. 205/2000, ha devoluto "alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale".
Alla devoluzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva in ordine alla fase pubblicistica che precede la stipula del contratto, e che va dalla determina a contrarre sino all’aggiudicazione definitiva, si accompagna il permanere della giurisdizione del giudice ordinario nella fase dell’esecuzione del contratto medesimo. Secondo una lettura generalmente condivisa che valorizza anche il disposto dell’art. 244 co. 3 laddove, affermando espressamente che "sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'art. 115, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'art. 133 commi 3 e 4", sembra muovere dalla premessa che ogni altra controversia relativa all’esecuzione del contratto sia riservata invece alla cognizione del giudice ordinario.
In particolare debbono ricomprendersi agevolmente, nel novero delle controversie relative all’esecuzione del contratto, le questioni relative ai vizi funzionali che investono il rapporto contrattuale, in specie quelle legate alla sua possibile risoluzione a norma degli artt. 1453 e ss c.c.
Per quanto attiene ai vizi genetici del contratto, inerenti la stipulazione, ed in particolare alle diverse cause di invalidità (nullità, annullabilità, inesistenza ove si continui ad ammettere questa categoria), l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità è sempre stato nel senso di riservare la loro cognizione alla giurisdizione del giudice ordinario (cfr. in passato, ad esempio, Cass. SS.UU., n. 1507/1987).
Siffatto orientamento non è mutato dopo la devoluzione della "materia" degli appalti pubblici alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e dopo l’ampliamento della gamma delle azioni proponibili in questa sede (a cominciare da quella risarcitoria, in forma specifica o per equivalente), sulla base della fondamentale motivazione che, nella fase successiva all’aggiudicazione, l’amministrazione non disporrebbe (più) di poteri autoritativi e non porrebbe (più) in essere atti aventi natura provvedimentale, i soli che possano giustificare la devoluzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo a norma dell’art. 103 Cost., nella lettura datane dalla Corte Costituzionale nella sentenza 204 del 2004 (per la legittimità costituzionale dell’art. 6 l. 205/2000 v. Cons. St. Ad. Plen. N. 6/2005) .
Tale assunto – concernente la natura dei poteri dell’amministrazione nelle procedure di evidenza pubblica – è peraltro sottoposto a revisione critica da parte della dottrina. In particolare, sono stati avanzati seri dubbi circa la natura provvedimentale degli atti di gara, tanto più al cospetto di una disciplina normativa delle procedure di evidenza pubblica, di matrice prevalentemente comunitaria, che è divenuta progressivamente sempre più puntuale e vincolante le amministrazioni e gli altri soggetti (non di rado, privati) aggiudicatori.
4.2. La tematica presenta indubbia rilevanza perché – ed è la seconda premessa generale che il Collegio reputa utile svolgere - i mutati profili di diritto sostanziale paiono avere determinato, sempre sotto l’influenza decisiva del diritto comunitario, effetti importanti anche in ambito processuale investendo l’oggetto stesso del giudizio amministrativo.
E’ opinione sempre più diffusa, in dottrina, che l’erosione della discrezionalità amministrativa sul terreno delle procedure di gara, in applicazione del diritto comunitario (Trattati, direttive, sentenze della Corte di Giustizia), permetta di ricondurre in tali materie le relazioni tra amministrazione e privati, in via di principio, al fondamentale concetto di rapporto giuridico che implica, a sua volta, un confronto tendenzialmente paritario tra due soggetti. Trattasi peraltro di una tendenza più generale dell’ordinamento nazionale, contrassegnata dal crescente uso di strumenti privatistici, o comunque non autoritativi, nell’esercizio dell’azione amministrativa come è comprovato, per citare un solo ma rilevante esempio, dall’art. 1 co. 1 bis della l. 241/1990.
Sulla base di queste e di altre considerazioni, con particolare riguardo alla giurisdizione esclusiva, sempre più l’oggetto del giudizio va dunque spostandosi dall’atto all’accertamento del rapporto giuridico controverso nel suo insieme, sulla scorta di opinioni dottrinali anche risalenti nel tempo (che per lungo tempo erano rimaste minoritarie). Ciò sembra confermato dalle recenti norme in tema di azione amministrativa introdotte nel 2005, laddove attribuiscono al giudice il compito di accertare la fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio (v. artt. 2, co. 5, e 21 octies, co. 2, l. 241/1990) secondo la logica propria del "giudizio di spettanza". Ed è soprattutto imposto dal principio di effettività della tutela giurisdizionale, che campeggia nella giurisprudenza consolidata della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia e che impone al giudice interno di assicurare una tutela piena alle situazioni giuridiche soggettive direttamente protette dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’ordinamento comunitario (con particolare riferimento al diritto CEDU, le cui norme sono riconosciute ora integrare, secondo la tecnica delle norme interposte, il parametro di costituzionalità introdotto dal novellato art. 117 co. 1 Cost, v. Corte cost. n. 348-349/2007).
Ed è noto come proprio questa esigenza di effettività di tutela – che autorevole dottrina interpretava già venti anni orsono come "necessità che il processo assicuri la soddisfazione dell’interesse materiale" in quanto "Il raggiungimento di traguardi formali non basta più" - abbia comportato nell’ultimo decennio, in specie in occasione del d.lgs. 80/1998 e della l. 205/2000, l’introduzione di importanti riforme all’interno del nostro processo amministrativo. Riforme che hanno investito in particolare il processo cautelare e quello di cognizione, ampliando la gamma delle azioni proponibili in giudizio dal privato e di conseguenza il novero delle decisioni adottabili dal giudice amministrativo (si pensi alla tutela cautelare atipica e a quella sommaria, all’ampliamento dei mezzi di istruzione probatoria e alla tutela risarcitoria nella fase di cognizione piena).
Del resto, anche sul piano giurisprudenziale si sono fatte frequenti le pronunce del giudice amministrativo che, implicitamente o esplicitamente, parlano di una trasformazione dell’originario "giudizio sull’atto" ad un vero e proprio "giudizio sul rapporto".
4.3. Tutti questi cambiamenti di diritto sostanziale e processuale paiono rispondere, a ben considerare e quanto meno in materia di attività contrattuale della p.a., alla finalità ultima di assicurare al massimo grado la tutela della concorrenza (seria ed effettiva). Un principio questo che ormai, anche nella recente e fondamentale sentenza n. 401 del 2007 della Corte Costituzionale sul Codice dei contratti, assurge nella fase pubblicistica delle procedure di gara a criterio guida della pubblica amministrazione, nel senso che l’intera normativa di derivazione comunitaria è, anche nelle sue regole più di dettaglio, riconosciuta come volta alla tutela della concorrenza nel mercato delle commesse pubbliche. Il che determina di contro – si legge in un punto della sentenza da ultimo citata, che il Collegio reputa assai rilevante per decidere sulla questione qui in esame – "il definitivo superamento della cosiddetta concezione contabilistica, che qualificava tale normativa interna come posta esclusivamente nell’interesse dell’amministrazione, anche ai fini della corretta formazione della sua volontà negoziale".
4.4. Giurisdizione esclusiva come giurisdizione piena ed effettiva sul rapporto controverso; procedure di affidamento dei contratti pubblici disciplinate dal diritto comunitario nel rispetto della concorrenza "per" il mercato: sono queste, a parere del Collegio, le direttrici lungo le quali collocare la questione del legame tra l’annullamento dell’aggiudicazione e la sorte del contratto.
4.5. E’ noto come l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità sia (stato) nel senso dell’annullabilità del contratto, per (sopravvenuto) difetto di legittimazione a negoziare, quale conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione; annullabilità da far valere con specifica domanda proposta dall’amministrazione stessa, unico soggetto a ciò legittimato ex art. 1441 c.c., in un giudizio davanti al giudice ordinario (v., ad esempio, Cass. I, n. 14901/2000 e Cass., II, n. 4269/1996).
Questa soluzione, peraltro condivisa da voci autorevoli della dottrina, è stata in anni più recenti sottoposta a revisione critica per la sostanziale elusione del principio di effettività della tutela giurisdizionale che determinerebbe, lasciando all’amministrazione – già soccombente nel giudizio amministrativo – ogni decisione sulla sorte del contratto facendone valere o meno l’annullabilità.
La stessa soluzione, oltre che nelle conseguenze pratiche, non pare più accettabile anche nelle sue premesse teoriche. Si è già ricordato al riguardo come, sotto l’influsso del diritto comunitario, la disciplina dell’evidenza pubblica non possa più ritenersi come unicamente volta a garanzia del solo interesse contabilistico della stazione appaltante ma sia, piuttosto, preordinata alla tutela della concorrenza tra le diverse imprese nel mercato delle commesse pubbliche (v. Corte cost. n. 401/2007).
Tutto ciò non può non avere ricadute anche sulla sorte del contratto e sulla legittimazione ad agire in giudizio nei suoi confronti.
4.6. In questa prospettiva, ancora una volta, l’ampliamento della giurisdizione esclusiva registratosi con l’art. 6 della l. 205/2000 da un lato, il riconoscimento del potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto dall’altro, hanno creato le premesse perché la questione circa la sorte del contratto divenisse centrale anche nella riflessione del giudice amministrativo.
In forza dell’assunto che la questione circa la sorte del contratto in conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione rientri ormai nella propria giurisdizione, la giurisprudenza amministrativa ha elaborato e proposto una serie di soluzioni alternative al problema, che vanno tutte nella direzione di accrescere l’effettività della tutela riservata al ricorrente contro l’aggiudicazione della gara.
4.6.1. In estrema sintesi – le diverse posizioni sono peraltro bene riassunte da Cons. St., V, n. 1328/2008 che ha nuovamente rimesso la questione all’Adunanza Plenaria – per un verso si è affermata la tesi della nullità del contratto ex art. 1418 co. 1 c.c. (nullità virtuale), sul presupposto della natura imperativa ed inderogabile delle norme di evidenza pubblica (Cons. St., V, n. 1281/2003); ovvero, in forza del combinato disposto degli artt. 1418 co. 2 e 1325, n. 1 c.c., per assenza del requisito dell’accordo, assumendo che con l’annullamento dell’aggiudicazione sia venuto meno anche il consenso dell’amministrazione alla stipulazione (Cons. St., IV, n. 3355/2004).
4.6.2. Per un altro verso e forse in termini prevalenti, è stata prospettata la tesi dell’inefficacia del contratto, stante il nesso di presupposizione ed interdipendenza che lega la fase pubblicistica dell’evidenza pubblica alla successiva stipulazione e la possibilità, quindi, di configurare l’aggiudicazione alla stregua di un presupposto di efficacia del contratto (Cons. St., VI, n. 2332/2003, IV, n. 6666/2003) .
In particolare, tra i fautori della tesi dell’inefficacia, la V Sezione del Consiglio di Stato, assumendo l’efficacia caducante nel caso di annullamento degli atti della procedura amministrativa, in forza del rapporto di consequenzialità necessaria tra la procedura di gara ed il contratto successivamente stipulato, e, mantenendo ferma l’adesione alla teoria della caducazione automatica, ha ritenuto che i termini della questione debbano essere ricostruiti alla luce della categoria dell’inefficacia successiva, da intendersi quale "inidoneità funzionale" del programma negoziale a spiegare ulteriori effetti successivamente alla pronuncia di annullamento (cfr. Cons. Stato, V, n. 7402/2006; id., n. 6579/2005; id., n. 5194/2005; id., 7346/2004).
La VI sezione (Cons. St., VI, n. 2332/2003; VI, n. 2992/2003) ha ascritto la fattispecie allo schema della caducazione automatica, che comporta la necessaria ed immediata cessazione dell’efficacia del contratto per il solo effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione (senza bisogno, cioè, di pronunce costitutive), sulla base del rilievo della sussistenza di una connessione funzionale tra la sequenza procedimentale pubblicistica e la conseguente stipula del contratto che implica, in analogia alle fattispecie privatistiche del collegamento negoziale, la caducazione del negozio dipendente, nel caso di annullamento di quello presupposto (cfr. anche Cass. Civ. n. 12629/2006).
La IV sezione (Cons. St., IV, n. 6666/2003) ha, invece, optato per la diversa catalogazione della fattispecie in termini di inefficacia sopravvenuta relativa, che comporta la cessazione degli effetti del contratto non in via automatica, ma per effetto della necessaria iniziativa giurisdizionale del contraente pretermesso (unico legittimato ad invocarla in suo favore) e con il duplice limite della buona fede dei terzi, in applicazione analogica degli artt. 23, comma 2, e 25, comma 2 cod. civ. (nel medesimo senso anche Cons. St., sez. VI, n. 2992/03 cit.), e dell’eccessiva onerosità della sostituzione del contraente per la pubblica amministrazione, debitrice nella relativa domanda di reintegrazione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058 c.c.
Le recenti ricostruzioni giurisprudenziali che ammettono (su questo punto, concordemente tra loro) la sola conseguenza dell’inefficacia del contratto all’annullamento dell’aggiudicazione argomentano, inoltre, a contrario tale conclusione dal rilievo che se l’art. 246, comma 4, d.lgs. 163/2006 ha espressamente escluso la caducazione del contratto quale conseguenza dell’annullamento e della sospensione dell’aggiudicazione per i soli appalti relativi alle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, da ciò discenderebbe che, per i contratti aventi ad oggetto appalti diversi da questi ultimi, la conseguenza dell’annullamento degli atti della procedura ad evidenza pubblica sarebbe proprio quella che l’art. 246, comma 4 ha inteso scongiurare per gli appalti compresi nel suo ambito applicativo, e cioè la caducazione, da intendersi, tuttavia, come espressione atecnicamente usata dal legislatore per indicare la perdita di efficacia del negozio giuridico (qualora, come meglio si dirà in seguito, non si intenda ritenere che con tale termine – caducazione – non si sia inteso introdurre un nuovo istituto, di natura ovviamente civilistica, da affiancare agli altri istituti previsti dal Codice civile in materia di patologia del contratto).
4.7. Da ultimo, come già ampiamente noto e discusso, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 27169 pubblicata il 28 dicembre 2007 rivendicando in via esclusiva la cognizione del giudice ordinario sulla domanda volta ad ottenere tanto la dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia o l’annullamento del contratto di appalto, a seguito dell'annullamento della delibera di scelta dell'altro contraente, adottata all'esito di una procedura ad evidenza pubblica. In ciascuno di questi casi infatti – osserva la Cassazione - la controversia non ha ad oggetto i provvedimenti riguardanti la scelta suddetta, ma il successivo rapporto di esecuzione che si concreta nella stipulazione del contratto di appalto, del quale i soggetti interessati chiedono di accertare un aspetto patologico, al fine di impedirne l'adempimento; inoltre le situazioni giuridiche soggettive delle quali si chiede l'accertamento negativo hanno consistenza di diritti soggettivi pieni ed il giudice è comunque chiamato a verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui l'atto negoziale è sorto, ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici.
La sentenza ha suscitato, come era prevedibile, ampia attenzione in dottrina e in giurisprudenza.
4.7.1. Da più parti si è posto subito in evidenza il problema di conciliare la cognizione esclusiva del giudice ordinario sulla sorte del contratto, da un lato, con il potere riconosciuto dalla legge al giudice amministrativo di disporre il risarcimento, anche in forma specifica, dall’altro, non potendosi negare che tale potere sia in ogni caso destinato ad incidere anche sul contratto.
Né può ritenersi che l’avvenuta stipulazione medio tempore del contratto determini il venir meno dell’interesse all’impugnazione dell’aggiudicazione o precluda al giudice amministrativo di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria (v. Cons. St., Ad. Plen. N. 1/2003). Come si ricava, sempre a contrario, anche dal richiamato art. 246 co. 4 d.lgs. 163/2006 (per la domanda di reintegrazione in forma specifica la questione è più complessa come dimostra il suo deferimento all’Adunanza Plenaria da parte di Cons. St., V, n. 1328/2008).
4.7.2. Ancora, si è evidenziato come la soluzione delle Sezioni Unite n. 27169/2007, laddove ripropone lo schema un tempo abusato del "doppio binario", non sembra conciliarsi con i valori oggi correlati al giusto processo (art. 111 co. 1 Cost.) della effettività/tempestività e della concentrazione della tutela giurisdizionale. Valori che sono stati riconosciuti a fondamento della scelta legislativa di attribuire al giudice amministrativo la tutela risarcitoria intesa quale strumento di tutela ulteriore a quello tradizionale demolitorio (Corte cost. n. 204/2004; n. 191/2006; Cons. St. Ad. Plen. N. 12/2007).
Sul piano prettamente pratico, la soluzione delle Sezioni Unite non sembra garantire l’effettivo soddisfacimento della pretesa del ricorrente, risultato vittorioso all’esito dell’impugnazione della gara, di conseguire (ove possibile) il "bene della vita" rappresentato dall’aggiudicazione in suo favore dell’appalto (nel senso che la tutela in forma specifica vada sempre privilegiata, eccezion fatta per i casi in essa non risulti materialmente possibile o appaia obiettivamente non satisfattiva per la parte ricorrente v. Cons. St., V, n. 490/2008).
Per la ragione evidente che così si costringerebbe la parte a rivolgersi, in sequenza, a due giurisdizioni diverse, con più gradi di giudizio, ciò determinando – nella fisiologia del sistema, senza considerare non infrequenti aspetti patologici legati alla durata dei processi, che pure sono sotto gli occhi di tutti - una dilatazione dei tempi per cui è ragionevole ritenere che la decisione definitiva del giudice ordinario sul contratto interverrebbe quando ormai l’appalto è stato già interamente eseguito dal precedente aggiudicatario.
4.8. La soluzione probabilmente ottimale, osserva a questo punto il Collegio, potrebbe aversi sul piano preventivo ampliando il termine dilatorio di 30 giorni tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto già previsto dall’art. 11 co. 10 d.lgs. 163/2006, coordinandolo con il diverso e più lungo termine di 60 giorni previsto per la proposizione del ricorso. Si dovrebbero inoltre precisare le conseguenze dell’eventuale violazione della prescrizione.
Il superamento dell’asimmetria tra i due termini e la previsioni di sanzioni specifiche in caso di violazione – legandosi all’avanzato sistema di tutela cautelare, anche ante causam, già disponibile - potrebbero così avere l’effetto di scongiurare il pericolo che il giudizio amministrativo, sulla legittimità della procedura di affidamento, si sviluppi in un contesto oramai mutato, sul piano giuridico e fattuale, a seguito dell’intervenuta stipulazione del contratto.
In questa direzione, del resto, si è avviato anche il legislatore comunitario con la recente direttiva 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007, che modifica le direttive ricorsi in materia di appalti pubblici.
4.9. La nuova disciplina comunitaria, che dovrà essere recepita entro il 31 dicembre 2009, per quanto qui rileva, presenta notevole interesse almeno sotto due profili:
1) il primo è appunto l’obbligo per le stazioni appaltanti di rispettare un congruo termine dilatorio o sospensivo tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto. Con l’avvertenza che gli Stati membri possono prevedere che questo termine sia ulteriormente prorogato ove l’interessato proponga un ricorso in opposizione alla stessa amministrazione aggiudicatrice o chieda al giudice l’adozione di misure cautelari;
2) il secondo è dato dalla previsione di ipotesi tipiche nelle quali l’accertata violazione di determinate regole comporta, di conseguenza, la privazione di effetti del contratto eventualmente già stipulato ("le conseguenze di un contratto considerato privo di effetti sono previste dal diritto nazionale" recita l’art. 2 quinquies co. 2). Tale conseguenza è prevista in termini obbligatori per le violazioni ritenute più gravi ed è, invece, rimessa alla discrezionalità degli stati in altre ipotesi, meno gravi, nelle quali possono prevedersi sanzioni alternative, ad esempio pecuniarie. Degno poi di attenta considerazione è quanto si legge all’art. 2 sexies u.c. dove si afferma che "la concessione del risarcimento danni (da intendersi per equivalente) non rappresenta una sanzione adeguata".
Non è dato, ovviamente sapere quando e come la richiamata "Direttiva ricorsi" sarà recepita dal nostro legislatore. Appare peraltro opportuno ricordare che non solo essa afferma – in ogni caso – un principio con valore ermeneutico, da tenere presente e da applicare in situazioni dubbie, ma che – al limite – essa presenta caratteri che possono consentirne l’applicazione anche in assenza di uno specifico atto di recepimento. Invero in presenza del richiamato principio, la circostanza che nel nostro ordinamento esistono già strumenti che disciplinano le conseguenze di un contratto invalido, potrebbe superare agevolmente l’affermazione secondo cui "le conseguenze di un contratto considerato privo di effetti sono previste dal diritto nazionale"(art. 2 quinquies co. 2).
4.10. E’ sulla base di tutte queste considerazioni che il Collegio ritiene di dovere esaminare e decidere la questione in ordine alla sussistenza della propria giurisdizione sulla domanda di annullamento del contratto proposta in questa sede dalla ALESSIO s.p.a.
Al riguardo l’orientamento della Cassazione espresso con la sentenza n. 27169/2007 - sebbene non immune da rilievi critici e sebbene non ancora consolidato come è comprovato dalla successiva Cass. I sez., n. 9906/2008 (che sposa la tesi della caducazione automatica del contratto "senza necessità di pronunce costitutive del suo cessato effetto") e dalla ricordata ordinanza del Cons. St., V, n. 1328/2008 che ha rimesso la questione all’adunanza plenaria - non può essere ignorato e neppure disatteso, provenendo dal giudice della giurisdizione (art. 111, u.c., Cost.).
4.10.1. Alla luce di tale indicazione quindi, allo stato attuale e con le riserve precedentemente illustrate, le questioni concernenti i requisiti di validità e/o di efficacia del contratto devono ritenersi spettare al giudice ordinario a prescindere dall’origine del vizio che inficia il contratto, ed anche qualora, some nel caso di specie, l’origine discenda dall’annullamento della procedura di gara che costituisce il presupposto della stipulazione del contratto.
4.10.2. L’esclusione di un potere di cognizione diretta del giudice amministrativo in ordine all’invalidità o all’inefficacia del contratto, con attitudine di giudicato, non esclude tuttavia la possibilità di una cognizione indiretta, ovvero incidentale, della relativa questione.
L’art. 8 l. TAR (ma già l’art. 28 del r.d. 1054/1924) autorizza infatti il giudice amministrativo, nelle materie (ovvero nei settori di materia) in cui non ha giurisdizione, a decidere "con efficacia limitata di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale".
Nel caso in esame, in coerenza con la ricordata evoluzione dell’oggetto del giudizio amministrativo nel ricorso di piena giurisdizione, la questione principale è data dalla pretesa del ricorrente al "bene della vita" aggiudicazione dell’appalto. Di questa pretesa fatta valere anche con la domanda di risarcimento in forma specifica, la permanenza del contratto ad onta dell’annullamento dell’aggiudicazione che ne costituisce il presupposto, costituisce all’evidenza un fatto impeditivo.
Il che giustifica una pronuncia incidenter tantum sul contratto (per un precedente nel quale questa stessa sezione si era pronunciata incidentalmente su di un negozio di diritto privato, in quel caso nel senso della nullità v. TAR Lombardia, Milano, I sez., n. 236/2007.
Una simile soluzione, osserva il Collegio, appare da un lato pienamente rispettosa dell’orientamento attuale delle Sezioni Unite della Cassazione – mantenendo quindi ferma la spettanza al giudice ordinario della pronuncia dichiarativa o costitutiva sul contratto con attitudine al giudicato (per questa soluzione cfr. già in precedenza TAR Lombardia, Milano, I sez., n. 335/2007) - e, dall’altro, in grado comunque di assicurare, nelle condizioni date, in via diretta il rispetto del principio comunitario di effettività della tutela giurisdizionale e in via mediata quella della tutela della concorrenza.
4.10.3. Altrimenti opinando, una soluzione che precludesse al giudice amministrativo anche (solo) un accertamento incidentale sul contratto sarebbe molto difficilmente compatibile con l’ordinamento comunitario ed imporrebbe a questo giudice, nel caso di specie, la prospettazione di una "pregiudiziale comunitaria" alla Corte di Giustizia nei termini indicati da parte ricorrente nella memoria 26.3.2008 (in estrema sintesi, se ostino alle direttive ricorsi e al principio di effettività della tutela le disposizioni nazionali ove interpretate nel senso di escludere in sede di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni cognizione sulle controversie relative alle conseguenze sul contratto determinate dall’annullamento dell’aggiudicazione).
4.10.4. La pronuncia incidentale sulla sorte del contratto dovrà essere considerata attentamente dall’amministrazione chiamata a conformarsi alla sentenza, altrimenti potendo essere valorizzata nella successiva sede dell’ottemperanza, dove il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione rimasta inerte esercitando una giurisdizione di merito (Cons. St., VI, n. 796/2008).
Del resto, come è stato da tempo messo in luce dai maggiori studiosi di giustizia amministrativa, la sentenza amministrativa è destinata a produrre effetti anche indiretti. In particolare nei casi in cui esista una stretta connessione tra i tratti di azione amministrativa, diretto oggetto del giudicato, e gli altri che pure concorrono a formare – secondo una felice espressione di sintesi di un’attenta dottrina – "lo stesso episodio di vita". Tanto più, come è il caso del contratto di appalto stipulato a seguito dell’aggiudicazione, al cospetto di atti consequenziali che trovano il loro presupposto necessario in quello annullato (cfr. Cons. St., V, n. 1389/1996).
4.11. Così risolta la questione in ordine alla giurisdizione, quanto alla condizione giuridica del contratto sono già state richiamate le diverse tesi avanzate in dottrina e in giurisprudenza.
"E’ questo uno dei punti più delicati della sistematica del contratto ad evidenza pubblica" – come ha scritto uno dei massimi studiosi del diritto amministrativo del secolo scorso – che in anni più vicini è venuto semmai ulteriormente complicandosi.
4.11.1. Come noto, anche nello stesso diritto civile, il tema dell’invalidità del contratto, ed in specie il perimetro della nullità virtuale per contrarietà a norme imperativa ex art. 1418 co. 1 c.c., è oggetto di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Da più parti è stata messa in discussione persino la distinzione, un tempo pacifica, tra regole di comportamento e regole di validità del contratto, come è avvenuto in particolare nel settore dell’intermediazione finanziaria. La tesi secondo la quale la violazione delle norme di comportamento - in specie della regola di buona fede, che permea l’intero ambito delle obbligazioni e dei contratti - in certi casi avrebbe conseguenze non solo, come da regola, sul rapporto (in termini di risarcimento del danno e di possibile risoluzione del contratto) ma persino sull’atto determinandone la nullità (virtuale) o l’annullamento (per errore o per dolo), è giunta all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 19 dicembre 2007 n. 26724.
Le Sezioni Unite, sulla scorta anche del precedente più prossimo di Cass., I sez., n. 19024/2005, hanno peraltro ribadito nell’occasione – al di là di ipotesi di specie tassativamente previste dalla legislazione di derivazione comunitaria - la tradizionale distinzione tra norme di comportamento e norme di validità, ma la necessità di un pronunciamento a Sezioni Unite è comunque il segno dell’esistenza di orientamenti (per lo più nella dottrina e nella giurisprudenza di merito) differenti e dell’esistenza di una questione di massima di particolare importanza.
Con questo esempio rilevante ritiene il Collegio di dovere sottolineare come, allo stato dell’arte, non sia affatto agevole risolvere il problema della sorte del contratto neppure collocandosi in una prospettiva prettamente civilistica. La stessa Cass. 27196/2007 ha avuto sul punto un contegno tutto sommato elusivo, non prendendo posizione sulla vexata quaestio.
4.11.2. A questo si aggiunga come, in materia di contratti pubblici, l’interprete debba fare i conti con una disposizione di legge che specificatamente ed espressamente, sebbene con un discutibile procedimento a contrario, definisce l’incidenza dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto in termini di "caducazione".
Neppure è agevole stabilire cosa davvero sia la caducazione del contratto. L’oscurità lessicale, la sua estraneità alle categorie abituali del diritto privato e del diritto pubblico, è il segno di un’incertezza di fondo a cui si reagisce con l’uso di un’espressione atecnica che, ad ogni modo, è ormai entrata in circolo ed è impiegata adesso anche dal legislatore.
Ed è proprio l’appropriazione da parte del legislatore di un termine, originariamente, atecnico che induce ad alcune riflessioni.
Ritiene il Collegio che, con le dovute cautele, la caducazione a cui fa riferimento l’art. 246 co. 4 d.lgs. 163/2006 descriva un fenomeno oggettivo di privazione degli effetti del contratto, originato dalla violazione di norme di azione dell’agire amministrativo, non assimilabile alle categorie tipiche della nullità e dell’annullabilità del contratto.
Il fenomeno della caducazione appare piuttosto riconducibile all’inefficacia in senso lato, che peraltro non costituisce nel diritto civile una categoria autonoma quanto, invece, un modo di essere del contratto che accomuna in via descrittiva ipotesi disparate. Nel caso della caducazione si è in presenza di una inefficacia successiva in forza di un fatto sopravvenuto alla stipula del contratto, l’annullamento dell’aggiudicazione, cui il contratto si ricollega in via funzionale.
Il meccanismo sembra richiamare l’istituto della condizione risolutiva e, in particolare, la figura della condicio iuris che ricorre ogni qual volta la legge fa dipendere l’efficacia o l’inefficacia del contratto da un particolare evento futuro e incerto che sarebbe dato, al lume dell’art. 246 co. 4 d.lgs. 163/2006, dall’annullamento (o dalla sospensione) dell’aggiudicazione.
Come noto, quanto agli aspetti pratici più rilevanti, la condizione opera ipso iure, sicché la pronuncia del giudice che accerti il suo avveramento ha natura solamente dichiarativa, ed ha effetti erga omnes ovvero ha carattere reale.
L’art. 1360 co. 2 c.c. dispone peraltro che, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, l’avveramento della condizione, in mancanza di patto contrario, non ha effetto rispetto alle prestazioni già eseguite.
Da quanto sin qui detto, non potendosi certamente affermare che il legislatore impieghi verba generalia nel suo jus facere, può concludersi che con il d.lgs n. 163, sia stato introdotto un nuovo istituto (per l’appunto la "caducazione"), quale categoria autonoma dell’inefficacia,per il momento limitato al settore dei contratti pubblici, i cui effetti sono quelli più sopra descritti.
5. Tanto chiarito sul piano generale, si può ora rispondere alla domanda di annullamento del contratto proposta da parte ricorrente.
Come si è visto, le considerazioni sinora svolte precludono al Collegio la cognizione diretta in ordine alla validità e/o inefficacia del contratto, con statuizione avente attitudine al giudicato, per essere la questione riservata alla giurisdizione del giudice ordinario.
Ma le stesse considerazioni, per le ragioni sinora chiarite, autorizzano una pronuncia incidentale sul contratto stipulato dal Comune di Magenta e GEMEAZ nel senso della sua caducazione (nei sensi più sopra esposti) per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione che ne costituisce il presupposto.
6. Quanto alla domanda risarcitoria, in forma specifica o in subordine per equivalente, formulata da parte ricorrente nell’atto introduttivo, osserva il Collegio come, trattandosi di una procedura di gara con sistema di aggiudicazione non automatico, per di più inficiata in radice dall’adozione di criteri di valutazione in parte incongrui in parte indeterminati che ne determinano il travolgimento, non vi sono elementi per affermare che la ricorrente si sarebbe aggiudicata il servizio. Sicché potrebbe in teoria essere risarcito il solo danno da perdita di chance.
Tale chance, che parte ricorrente ha allegato in termini assolutamente generici, è tuttavia ripristinata, nell’ipotesi di specie, dalla caducazione della gara e dalla conseguente privazione di efficacia del contratto, tanto più ove si consideri la durata prevista del servizio pari a 9 anni.
7. In conclusione va accolto il ricorso e per l’effetto vanno annullati i verbali di gara, il disciplinare nella parte relativa al monte ore, l’aggiudicazione definitiva alla GEMEAZ Cusin Ristorazione s.r.l., derivandone quale ulteriore effetto, accertato in questa sede incidenter tantum, la caducazione del contratto stipulato tra il Comune di Magenta e la controinteressata, statuizioni cui l’amministrazione dovrà dare seguito con le conseguenti doverose determinazioni.
8. Si ravvisano giustificati motivi, stante la complessità dei temi trattati, per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto annulla l’aggiudicazione definitiva, i verbali ed il disciplinare di gara nella parte relativa al monte ore, con gli effetti indicati in motivazione;
respinge la domanda di risarcimento danni.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Milano nelle Camere di Consiglio del 2 e del 29 aprile 2008, con l'intervento dei Magistrati:
Piermaria Piacentini - Presidente
Elena Quadri - Primo Referendario
Hadrian Simonetti - Referendario Est.
Depositata in Segreteria in data 8 maggio 2008.

Nessun commento: