lunedì 9 giugno 2008

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - sentenza 16 maggio 2008 n. 12459 –

FATTO

Con sentenza non definitiva pronunciata in data 15.10-2.11.1998 n. 1733 la Corte d'Appello di Venezia - decidendo in ordine alla domanda proposta da F., B., Fe. e f.
f., quali eredi di F.L., e da Fr. e F.L., P.I. ed L.E., quali eredi di F.V., nei confronti del Prefetto di Verona, del Ministero della Poste e delle Telecomunicazioni e della Società Italposte-Edilizia di interesse pubblico per la determinazione delle indennità di espropriazione e di occupazione temporanea dell'immobile di loro proprietà sito nel Comune di (omissis) (censito al catasto terreni alla sezione (omissis), fl. (omissis), mappale (omissis) di are 0.04.94 ed incidente al catasto fabbricati part. (omissis), fl. (omissis), sezione (omissis), mappale (omissis)) per la realizzazione di alcuni edifici da destinarsi ad uffici postali a seguito dell'occupazione avvenuta in data 7.5.1985 e del decreto di esproprio del 28.2.1990 - dichiarava in primo luogo il difetto di legittimazione passiva del Prefetto, non costituitosi, e del Ministero delle PP.TT. che aveva conferito la concessione per l'esproprio alla società Italposte; dichiarava inoltre che le indennità dovessero essere determinate secondo i criteri di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, trattandosi di terreno edificabile ricavato dalla demolizione di un vecchio edificio, atteso che i vincoli esistenti al momento dell'esproprio erano preordinati solo alla costruzione dell'opera pubblica. Escludeva poi la decurtazione del 40% e rinviava alla sentenza definitiva la determinazione dei relativi importi.
Rimessi gli atti in istruttoria con separata ordinanza, disposto il supplemento della C.T.U. per computare gli importi sulla base dei criteri previsti dalla citata L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ed intervenuta in causa la "Poste Italiane s.p.a." sostenendo di essere successore a titolo particolare della società Italposte, la Corte d'Appello con sentenza definitiva n. 1608 del 4.4-14.10.2002, dopo aver rigettato l'istanza di estromissione della società Italposte- Edilizia di interesse pubblico, determinava l'indennità di esproprio in Euro 271.258,53, disponendone il deposito presso la Cassa DD.PP. con gli interessi dalla domanda (29.3.1990) al deposito e condannando la Italposte-Edilizia di interesse pubblico e le Poste Italiane in solido alle spese del giudizio.
Rilevava che sulla base della sentenza non definitiva, alla cui osservanza era tenuta, non poteva essere messa in discussione la natura edificatoria del terreno e che conseguentemente. doveva trovare applicazione l'art. 5 bis, con riferimento, in mancanza, al reddito dominicale determinato dal C.T.U. e senza la decurtazione del 40%.
Avverso tale sentenza definitiva propongono ricorso per cassazione la "Poste Italiane s.p.a." che deducono tre motivi di censura.
Resistono con controricorso, illustrato anche con memoria, i proprietari del terreno espropriato.
All'udienza del 26.4.2007 veniva disposta la integrazione del contraddittorio nei confronti della Italposte-Edilizia di interesse pubblico s.p.a., la cui denominazione è nel frattempo mutata in Servizi Tecnici s.p.a. ed attualmente in Servizi Tecnici s.p.a. in liquidazione.

DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso la s.p.a. Poste Italiane denuncia violazione e/o mancata applicazione della L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, lett. b), nonchè omessa e/o insufficiente motivazione.
Lamenta che la Corte d'Appello con la sentenza non definitiva abbia ritenuto edificabile il terreno espropriato, senza considerare che in base al P.R.G. del Comune è collocato nella zona 3 (Centro storico) in cui sono consentiti solo interventi di consolidamento e di restauro di edifici già esistenti come prevede la L. n. 10 del 1977, art. 4, lett. b). Sostiene al riguardo che, anche se detta sentenza non definitiva non può essere oggetto di diretta impugnazione in quanto rispetto ad essa non fu formalizzata la riserva d'appello ai sensi dell'art. 340 c.p.c., tuttavia, ripercuotendosi l'errore commesso dalla Corte d'Appello sulla legittimità dei criteri per la determinazione dell'indennità, non può non tenersi conto dell'impossibilità di procedere alla concreta valutazione del bene per mancanza di prescrizione in ordine alla volumetria realizzabile, mancanza dovuta alla semplice ragione che non è consentita alcuna costruzione. Al riguardo deduce la inapplicabilità del D.M. n. 1444 del 1968 che la Corte d'Appello ha invece richiamato, sia perchè successivamente è intervenuta la L. n. 10 del 1977 che ha regolamentato la materia, precludendo, come si è detto, la possibilità di edificazione nel centro storico e sia perchè detto D.M. è rivolto agli enti che devono pianificare e non già ai privati. Errato deve ritenersi pertanto il riferimento alla planimetria realizzabile. Deduce quindi che, pur in presenza della statuizione della Corte d'Appello sull'edificabilità del terreno contenuta nella sentenza non definitiva, non è possibile procedere al calcolo dell'indennità di esproprio.
La censura è fondata anche se per ragioni in parte diverse da quelle prospettate dalla ricorrente.
Contrariamente a quanto la stessa ricorrente ha dato atto, la mancata impugnazione, a seguito dell'omessa riserva di appello, avverso la sentenza non definitiva che aveva pronunciato sulla natura edificabile del terreno espropriato e sull'applicabilità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, per la determinazione della relativa indennità, non preclude a questa Corte l'esame di tale punto, avendo la ricorrente impugnato comunque la liquidazione di detta indennità operata dalla Corte d'Appello con la sentenza definitiva.
Infatti, relativamente alla legge applicabile, vale a dire ai criteri da seguire nella determinazione dell'indennità, non può formarsi un giudicato autonomo rispetto alla sentenza definitiva che sulla determinazione in concreto di tale indennità statuisce in quanto detta determinazione è pur sempre inscindibile dal criterio cui far riferimento e cioè dalla "regula iuris" da applicare in relazione alla natura (edificabile o agricola) del terreno espropriato. In altri termini il giudicato può formarsi unicamente sul bene della vita controverso e quindi, in caso di decisione parziale, solo se si tratti di capi autonomi e non già quando, come nel caso in esame, la decisione riguardi un aspetto giuridico strumentale all'attribuzione di detto bene della vita.
Il principio, del resto, è stato affermato più volte da questa Corte anche in relazione all'art. 5 bis e può dirsi ormai da tempo consolidato (Sez. Un. 9872/94; Cass. 16061/00).
Conseguentemente, deve riaffermarsi che la mancata riserva d'appello sulla pronuncia non definitiva, riguardante la natura del terreno espropriato e la legge applicabile, non può costituire un limite all'applicabilità dello ius superveniens ed alla prioritaria questione della natura del terreno cui il criterio da seguire è intimamente connesso, non potendosi al riguardo formare un giudicato qualora l'indennità non sia stata ancora definitivamente accertata.
Rimane aperta pertanto la questione prioritaria della natura del terreno, vale a dire se esso sia da considerare edificabile od agricolo (cui va equiparato il non edificabile), offrendo la censura, anche se basata sulla mancanza di previsione sulla volumetria realizzabile, uno spazio sufficiente per una tale valutazione.
A tal fine va in primo luogo richiamato il principio, desunto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e non investito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 348 del 2007, secondo cui (mentre sono ininfluenti i vincoli finalizzati all'esproprio devesi invece tener conto dei vincoli cosiddetti "conformativi", quali espressione di un regime giuridico generale non correlato alla vicenda ablativa e ad un singolo bene ma riguardante l'intera zona.
Ora, è certamente corretta l'affermazione della Corte d'Appello che ha ritenuto preordinati all'esproprio i vincoli finalizzati alla costruzione dell'opera pubblica, ma non altrettanto può dirsi con riferimento al regime di carattere generale previsto per quell'area dallo strumento urbanistico, non essendo stato fatto al riguardo alcun accenno e non essendo sufficiente per rilevare l'edificabilità del terreno su cui è sorta l'opera pubblica l'affermazione che su di esso, ubicato nel centro storico, insisteva in precedenza un fabbricato successivamente demolito.
Al di là del vincolo costituito dalla destinazione data al singolo terreno per la costruzione dell'opera pubblica riguardante la vicenda ablatoria, è decisiva quindi la verifica sul contesto generale in cui tale vincolo ha operato, vale a dire l'accertamento sul regime giuridico del terreno vigente all'epoca dell'esproprio con esplicito riferimento alla zona di cui fa parte ed allo strumento urbanistico che ne delinea la conformazione.
In tali termini va quindi accolto il primo motivo, con la conseguente necessità da parte del giudice di rinvio di operare detta valutazione tenendo presente la destinazione impressa al terreno dai vincoli conformativi.
Va però precisato che, qualora il giudice di rinvio confermasse a seguito di tale più ampia disamina la natura edificabile del terreno, non potrebbe trovare applicazione nel caso in esame la sentenza della Corte Costituzionale n. 348 del 2007 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il criterio di liquidazione previsto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2, per i suoli edificabili, essendo stata la sentenza impugnata solo dalle Poste Italiane s.p.a., vale a dire dalla parte cui non gioverebbe il nuovo quadro normativo che non tollera più un indennizzo dimidiato nella misura voluta dal citato art. 5 bis.
Tali conclusioni non si pongono in contrasto con il principio dell'applicabilità dello "ius superveniens" conseguente a detta pronuncia della Corte Costituzionale, sempre affermato da questa Corte quando sia ancora in discussione la determinazione dell'indennità di esproprio, dovendo esso essere coordinato con l'altro principio della necessità dall'impugnazione da parte del soggetto cui giovi il nuovo assetto normativo. E' evidente infatti che, in mancanza di una specifica censura dell'interessato, il giudice di rinvio non potrebbe liquidare un indennizzo superiore a quello determinato dalla precedente sentenza di merito, sia pure in base alla normativa sopravvenuta, stante l'impossibilità di derogare al principio della domanda di cui la necessità della proposizione dell'impugnazione costituisce una applicazione (vedi Sez. Un. 9872/94 già richiamata, nel contesto della motivazione; nonchè per l'ipotesi inversa di mancata impugnazione dell'ente espropriante e per la non applicabilità in tal caso dell'intervenuto comma 7 bis dell'art. 5 bis: Cass. 9484/99).
Ovviamente, qualora il giudice di rinvio pervenisse ad una diversa soluzione sulla natura del terreno espropriato, ritenendolo agricolo, il problema conseguente alla richiamata pronuncia della Corte costituzionale non si porrebbe, applicandosi per i suoli agricoli la L. n. 865 del 1971.
L'accoglimento del primo motivo comporta l'assorbimento degli altri due, riguardanti aspetti particolari (volumetria realizzabile, destinazione d'uso, data di riferimento per la valutazione) finalizzati alla valutazione operata dalla Corte d'Appello sul presupposto della natura edificabile del terreno.
La sentenza impugnata nonchè, per le ragioni sopra esposte, anche quella non definitiva vanno pertanto cassate con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla stessa Corte d'Appello di Venezia che si uniformerà agli esposti principi.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


Accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbiti gli altri.
Cassa entrambe le sentenze e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla stessa Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2008.

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