domenica 20 aprile 2008

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 14 aprile 2008 n. 1665

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.r.g. 10273/2006, proposto da EDILTECNICA s.r.l., GUALANDI GIULIANO s.r.l. e ACQUA & VERDE NORD s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandro Savini e Luigi Strano ed elettivamente domiciliata in Roma, Viale di Villa Grazioli, 13 presso lo studio dei detti legali;

contro

- COMUNITA’ MONTANA DEL FORTORE, in persona del rappresentate pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Abbamonte ed elettivamente domiciliata in Roma, via G. Porro, 8 presso lo studio di questi;
e nei confronti
- IMPRESA BUCCIONE MICHELE s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria dell’A.T.I. con C.M.M. COSTRUZIONI GENERALI, e EDILTECNICA s.n.c. DI CASAMASSA ROBERTO & C., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non costituitesi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione VIII di Napoli - n. 798/2006 del 9 agosto 2006;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Comunità Montana del Fortore;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 19 febbraio 2008 il presidente consigliere Giuseppe Severini ed udito, altresì, l’ avvocato Savini come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

È qui impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Napoli), VIII, n. 798/2006 del 9 agosto 2006 con cui sono stati respinti:
1) - il ricorso presentato da Ediltecna s.r.l., Gualandi Giuliano s.r.l.e Acqua e Verde Nord s.r.l. contro la Comunità Montana del Fortore, nonché nonché Buccione Michele s.r.l., CMM costruzioni generali s.r.l. e Edil tecnica s.n.c. di Casamassa Roberto & C., per l’annullamento:
a) della nota prot. 2959 del 25 maggio 2004, con cui il dirigente dell’ufficio tecnico della Comunità Montana del Fortore aveva comunicato l’esclusione dalla gara relativa all’appalto dei "lavori di sistemazione idraulica dell’asta del fiume Fortore e consolidamento dei centri urbani del bacino";
b) di ogni altro atto connesso, incluso il provvedimento prot. 3179 del 4 giugno 2004, con cui il dirigente dell’ufficio tecnico della Comunità montana del Fortore aveva comunicato i motivi di esclusione e il provvedimento di aggiudicazione provvisoria dell’appalto in favore dell’ATI tra le imprese Buccione Michele s.r.l., CMM costruzioni generali srl e Edil tecicna s.r.l. di Casamassa Roberto & C., nonché del provvedimento di aggiudicazione, ove intervenuto nelle more del giudizio;
2) - l’atto per motivi aggiunti depositato il 12 ottobre 2004, rigardante:
a) la determinazione n. 102 del 18 maggio 2004 con cui il segretario generale della Comunità Montana del Fortore aveva approvato le risultanze della gara di licitazione privata e disposto l’aggiudicazione definitiva dei "lavori di sistemazione idraulica dell’asta del fiume Fortore e consolidamento dei centri urbani del bacino" in favore dell’ATI costituita tra le imprese Buccione Michele s.r.l., CMM costruzioni generali s.r.l. e Edil tecnica s.n.c. di Casamassa Roberto & C.;
b) il contratto d’appalto dei lavori rep. 594 stipulato il 17 luglio 2004 tra la Comunità Montana del Fortore e l’ATI aggiudicatrice e registrato in San Bartolomeo in Galdo il 20 luglio 2004, n. 3605 serie 1;
c) ogni atto connesso.
Si è costituita la Comunità Montana del Fortore, contestando l’appello.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e va accolto.
2. Il ricorso respinto dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania si riferiva all’esclusione – per non aver presentato nelle modalità previste dal d.P.R. n. 445 del 2000 idonee attestazioni in merito ai rappresentanti legali - dell’appellante ATI dalla gara di licitazione privata per l’aggiudicazione dei "lavori di sistemazione idraulica dell’asta del fiume Fortore e consolidamento dei centri urbani del bacino", indetta per un importo a base d'asta di € 2.209.033,37 dalla Comunità Montana del Fortore. Le imprese dell’ATI, a seguito di accesso agli atti di gara, avevano riscontrato che, ponderando le offerte, sarebbero state aggiudicatarie dell’appalto.
La sentenza ha rilevato che, sebbene non si rinvenisse negli atti di gara l’indicazione precisa dell’elemento formale ritenuto mancante nella autocertificazione, non era contestato tra le parti, ed era anzi evincibile dalla lettura dei documenti, che questo dovesse essere individuato nella mancanza dell’indicazione di cui al secondo comma dell’art. 48 (Disposizioni generali in materia di dichiarazioni sostitutive") d.P.R. n. 445 del 2000, che prevede che in tali atti – peraltro su moduli predisposti dalla amministrazione - vada inserito "il richiamo alle sanzioni penali previste dall'articolo 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci ivi indicate".
Per le ricorrenti, la dichiarazione sostitutiva si perfezionerebbe con la sola firma e l’allegazione della copia del documento, non dovendosi dare rilievo al mancato testuale richiamo alle sanzioni penali.
Per l’Amministrazione, invece, il richiamo è cogente, tanto che nella specie quarantadue partecipanti alla gara su quarantasei vi avevano adempiuto.
Il giudice di prime cure ha ritenuto il ricorso infondato perché della semplificazione documentale amministrativa è aspetto fondante, tra l’altro, una disciplina della dichiarazione sostitutiva che ne subordina l’efficacia all’applicazione di regole formali di facile applicazione. L’applicazione di sanzioni penali ad un uso improprio delle dichiarazioni sostitutive va condotta. Per la prevenzione della dichiarazione mendace, il legislatore ha imposto un particolare vincolo di forma, interno alla dichiarazione, perché l’atto sia contemporaneamente veicolo delle dichiarazioni del privato e mezzo di prova della considerazione delle conseguenze dell’uso distorto dello strumento. Nel che, secondo la sentenza, va ravvisata la funzionalizzazione della dichiarazione di parte, contenuta nell’atto redatto secondo lo schema normativo, non solo quale tramite dei contenuti di fonte privata, ma anche come rappresentazione dell’avvenuta conoscenza della disciplina cogente.
Il richiamo alle sanzioni penali previste dall'art. 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci ivi indicate, è perciò essenziale alla stessa dichiarazione, la cui valenza sostitutiva viene espressamente ricollegata al rispetto delle previsioni di forma.
La mancata espressa indicazione della clausola di legge priva la dichiarazione sostitutiva della cogenza, e la fa entrare nel procedimento come un qualsiasi atto di parte, senza vincolo alla pubblica amministrazione. È quindi corretto non considerare equipollenti a una dichiarazione sostitutiva le attestazioni di parti mancanti del richiamo alle conseguenze penali scaturenti dalle affermazioni mendaci.
La mancanza poi non era sanabile con un comportamento successivo, e non era titolo per una richiesta dell’amministrazione di integrazione, che sarebbe stata ultronea e lesiva della par condicio.
La ATI appellante afferma che l’omessa indicazione del richiamo delle sanzioni penali non inficiava l’offerta e perciò essa non doveva essere esclusa dalla gara, di cui diversamente sarebbe stata aggiudicataria. Perciò torna a domandare, con l’annullamento dell’impugnata sentenza, l’annullamento degli atti originariamente impugnati. Alla domanda di annullamento degli atti aggiunge la richiesta di risarcimento dei danni, sub specie di danno emergente e lucro cessante, con rivalutazione e interessi.
In senso contrario argomenta e conclude la Comunità Montana del Fortore.
3. La questione centrale su cui si incentrano le prime due censure alla sentenza di primo grado è se, in una gara d’appalto pubblico, l’omessa indicazione formale del richiamo delle sanzioni penali di cui all’art. 76 (L) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 sulla documentazione amministrativa (il quale art. 76 fa rinvio, per il mendacio, alle sanzioni del codice penale e delle leggi speciali in materia) infici la dichiarazione medesima per difetto di uno degli elementi formali previsti dall’art. 38 del medesimo decreto.
Ritiene il Collegio, diversamente dal giudice di primo grado, che al quesito debba darsi risposta negativa per le seguenti ragioni;
a) siffatta ragione di esclusione non era espressamente prevista dal bando di gara, né comunque è contemplata dalla legge, come conseguenza dell’omissione in esame. Di più: a ben vedere, anche a prescindere dalla previsione delle conseguenze negative dell’omissione, la clausola in questione non era richiesta espressamente, giacché il disciplinare di gara solo prevedeva (punto 1.3) la presentazione di "dichiarazione/i sostitutiva/e resa/e ai sensi del D.P.R. n. 445/2000" circa la sussistenza dei requisiti richiesti per la partecipazione all'incanto e all'assenza di condizioni ostative. Comunque, per quanto concerne le conseguenze, né le disposizioni circa le dichiarazioni sostitutive del d.P.R. n. 445 del 2000, né la lex specialis di gara imponevano a pena di esclusione il richiamo espresso, nel documento, del rinvio alle sanzioni penali per le dichiarazioni false, di cui all’art. 76. Non solo: la comminatoria dell’esclusione era prevista solo nei seguenti termini: "la domanda, le dichiarazioni e la documentazione di cui ai punti 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, a pena di esclusione dalla gara, devono contenere quanto previsto ai predetti punti", sicché nemmeno per relationem era dato ricavare un tale precetto e una tale sanzione.
Posta in concreto questa mancata espressa indicazione, vale ricordare che – secondo la regola della massima partecipazione - in tema di gare di appalto per lavori e servizi pubblici, in virtù del principio del favor partecipationis le clausole del bando richieste a pena di esclusione devono essere chiare e puntuali e, in caso di oscurità o non chiarezza, devono essere interpretate nel modo meno restrittivo (Cons. Stato, V, 28 settembre 2005, n. 5194; VI, 7 giugno 2006, n. 3417; V, 28 giugno 2006, n. 4222).
b) era onere dell’amministrazione appaltante precisare un tale vincolo di forma nei moduli predisposti per le dichiarazioni sostitutive, così come le era imposto dall’art. 48, comma 2, dello stesso d.P.R. n. 445 del 2000, ma l’amministrazione non vi ha provveduto, sicché la appellante si è trovata a dover compilare la dichiarazione sostitutiva senza un modulo cui riferirsi.
c) a tutto concedere, il rilievo penale delle dichiarazioni false o infedeli prescinde dalla sottoscrizione di una siffatta clausola, come è dimostrato anche dal fatto che la falsità rileva anche se una tale clausola non è sottoscritta.
Queste considerazioni, di loro concludenti, rendono ultronea l’indagine sul comportamento che l’amministrazione avrebbe dovuto tenere una volta riscontrata l’assenza della clausola prima di procedere all’esclusione (cioè circa l’invito alla regolarizzazione).
A parte tutto ciò, deve rilevarsi la singolarità del fatto che una siffatta ragione di estromissione non era esternata nel provvedimento di esclusione né nella sua comunicazione (la nota prot. n. 2959 del 25 maggio 2004 comunicava l'esclusione dalla procedura di gara senza manifestare specifiche motivazioni; solo a richiesta di chiarimenti, l'Amministrazione con nota prot. n. 3179 del 4 giugno 2004 rispose che l’esclusione era dovuta al fatto che "le dichiarazioni sostitutive dei rappresentanti legali delle Imprese Ediltecna S.r.l., Gualandi Giuliano S.r.l. e Acqua & Verde Nord S.r.l. non sono state rese ai sensi del D.P.R 445/00 (punto 3 del disciplinare di gara)"). La puntuale ragione dell’esclusione, con riguardo all’art. 76, è stata ricostruita solo successivamente dalla sentenza (benché dando atto che fosse pacifica tra le parti). Essendo assorbenti le considerazioni testé fatte, non è qui il caso di affrontare il tema di una tale ricostruzione deduttiva del contenuto del principale provvedimento amministrativo impugnato.
Mette conto però, più in dettaglio, precisare le ragioni per cui questa causa di esclusione dalla gara non può essere ritenuta prevista dalla legge.
Anzitutto, è il caso di rilevare che nessuna disposizione primaria contempla chiaramente una tale conseguenza negativa. Ma nemmeno è dato ricavarla dal sistema.
Le formalità delle dichiarazioni sostitutive sono regolate dall'art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000, che al comma 3 soltanto prevede che "le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi dell'amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore". A parte siffatti elementi estrinseci, l’elemento contenutistico in questione non risulta prescritto dalla norma: nessun riferimento vi è fatto alla necessaria inclusione, nel documento, di un riferimento alle sanzioni penali ex art. 76.
Nemmeno vale riferirsi – come fa l’impugnata sentenza - all'art. 48, perché questo soltanto specifica che "nei moduli per la presentazione delle dichiarazioni sostitutive le amministrazioni inseriscono il richiamo alle sanzioni penali previste dall'art. 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci ivi indicate". Si tratta, com’è palese dal significato proprio delle parole e come si è accennato, di precetto posto a carico della amministrazione in sede di predisposizione dei moduli, di fronte al cui inadempimento non è affatto stabilito che debba supplire spontaneamente il privato.
D’altra parte, va considerato che l’ordinamento rifugge dai formalismi inutili, specie quando le loro conseguenze sono produttive di un effetto negativo, per di più grave come la restrizione della competizione in una gara pubblica. A questo proposito, è bene considerare che della non essenzialità di una tale clausola dà ragione di sistema la considerazione che, in caso di dichiarazione sostitutiva mendace, la qualificazione come falso e le relative conseguenze penali prescindono dall'avvenuto uso in concreto della formula, in base al principio, espresso all’art. 5 Cod. pen., per cui nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale (seppure assunto con le mitigazioni di cui a Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, che ammette come scusante l’ignoranza inevitabile: peraltro difficilmente invocabile in fattispecie come queste). L’ignoranza della legge penale, di principio, non scusa il falso dichiarante, sia che egli abbia invocato per iscritto l’art. 76, sia che non lo abbia invocato. Non si vede dunque perché sia necessario, a pena di estromissione dalla gara, che egli rilasci una siffatta dichiarazione formale.
È appena il caso, perciò, di porre l’attenzione direttamente sul contenuto dell’art. 76 - che si vorrebbe da richiamare nelle dichiarazioni - e rilevare che questo, a sua volta, è in realtà privo di specificazione o determinatezza perché si limita a fare generico rinvio, per il rilascio di dichiarazioni mendaci e per la formazione o l’uso di "atti falsi" nei casi previsti da quel testo unico, alle sanzioni "ai sensi del codice penale e delle leggi penali in materia": sicché, anche a tutto voler ammettere, la sua invocazione nulla aggiunge e nulla sottrae alla conoscenza delle norme penali puntuali che colpiscono quel tipo di falso e dunque all’operatività effettiva delle disposizioni che saranno valutate congrue circa le false dichiarazioni. Dunque una dichiarazione come quella che vorrebbe l’impugnata sentenza nulla aumenterebbe, circa l’evitabilità dell’ignorantia legis sulla qualificazione del fatto commesso, ai criteri di diligenza usuali per circostanze e figure come queste, già di loro idonee a configurare la possibilità di conoscenza del precetto e dunque l’evitabilità dell’ignoranza medesima. La conseguenza è quella dell’operatività delle norme penali indipendentemente da siffatte integrazioni formali della dichiarazione sostitutiva. Corretto al proposito è l’argomento dell’appellante che, diversamente opinando, si dovrebbe giungere a, paradossalmente, configurare la scusabilità penale in ogni caso di pretermissione della clausola. Tutt’al più si può dire che si potrebbe giungere ad altre conclusioni - pur se nell’angolazione di questa subordinata ipotesi e sempre fermo il dominante principio di inescusabilità penale - se la disposizione dell’art. 76 non fosse generica e richiamasse specifiche norme penali.
In sintesi, anche ad una valutazione sostanzialistica (cioè che prescinda dalla circostanza della mancata previsione nel bando della conseguenza dell’esclusione e che guardi piuttosto all’interesse dell’amministrazione procedente a ricevere solo dichiarazioni veritiere), tutto ciò mostra che nella dichiarazione sostitutiva che il partecipante deve formare – in assenza di un modulo predisposto dall’amministrazione ai sensi dell’art. 48 (R) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 sulla documentazione amministrativa - e deve presentare in una gara d’appalto pubblico, la formalità della apposizione della clausola del richiamo dell’art. 76 (L) (che rinvia per le falsità alle sanzioni del codice penale e delle leggi speciali in materia) è priva di una reale utilità nell’autocertificazione del partecipante alla gara. Dunque mostra che - da un punto di vista complessivo – è senza un’autentica ragione qualificare una tal clausola come essenziale nel tipo di dichiarazione sostitutiva che il dichiarante così presenta per partecipare alla gara, e farne discendere la grave conseguenza dell’esclusione dalla gara in caso di omissione. Avuto riguardo alle effettive conseguenze penali del falso, la sua omissione in concreto non aggrava dunque il rischio di dichiarazioni mendaci: questo rilevante effetto pratico, bilanciato con il detrimento per l’interesse pubblico e per la concorrenza che deriva invece dalla restrizione del numero dei partecipanti, conduce a senz’altro privilegiare il mantenimento in lizza della dichiarante. Per conseguenza, la dichiarazione sostitutiva resta valida anche in mancanza di questa clausola (utile per inutile non vitiatur) e quest’assenza non è causa di esclusione dalla gara, sempre che una siffatta conseguenza non sia espressamente comminata dalla sua lex specialis.
Corretto, ed assorbente, è allora quanto viene assunto nel primo e nel secondo motivo di appello, vale a dire che il Tribunale amministrativo ha fatto cattivo governo delle disposizioni in tema di dichiarazioni sostitutive previste dal d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e del potere di esclusione. Per quanto si è ora rilevato, non è corretto assumere che per quell'art. 48 il richiamo delle sanzioni penali previste dall'art. 76 per le falsità in atti e le dichiarazioni mendaci costituisca un elemento essenziale ed indefettibile della dichiarazione sostitutiva resa dal privato (in assenza, va aggiunto, di un modulo appositamente predisposto dall’amministrazione), con la conseguenza che la mancata indicazione di siffatta "clausola di legge" nella dichiarazione sostitutiva costituisca motivo di esclusione dalla gara.
La conseguenza è che l’appellante ATI non doveva, per una siffatta ragione, essere estromessa dalla gara, come invece illegittimamente è stato fatto con il principale degli atti impugnati, cioè quello di esclusione (dalla cui illegittimità discende direttamente quella degli altri). Erroneamente ha dunque deciso il giudice di primo grado rifiutando l’annullamento degli atti impugnati. Va qui dunque disposto questo annullamento insieme all’annullamento dell’impugnata sentenza.
4. Quanto al risarcimento dei danni patrimoniali consequenziali ai provvedimenti illegittimi, il cui diritto segue detto loro annullamento, il Collegio ritiene che la domanda di risarcimento per equivalente vada accolta nei sensi che seguono allo scopo di compensare il ricorrente del pregiudizio patito per effetto della violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione posta in essere con i provvedimenti medesimi, che per il loro effetto di alterazione della concorrenza nel caso concreto ledono sia il principio di par condicio, sia quello della massimizzazione della convenienza amministrativa; e che per l’assenza dell’esternazione delle ragioni dell’esclusione offendono anche fondamentali regole di correttezza intersoggettiva (onere del clare loqui).
Va al riguardo considerato che appare esatto quanto sostenuto dall’appellante, vale a dire che, senza l’esclusione, la ricorrente sarebbe divenuta effettivamente l’aggiudicataria della gara perché aveva offerto un ribasso (19,89%) maggiore di quello offerto dall’ATI risultata aggiudicataria (19,64%).
Circa l’an debeatur le voci di danno da risarcire sono quelle da riconoscere come conseguenze dirette ed immediate degli illegittimi provvedimenti in questione e della colpevole inerente condotta dell’amministrazione, da presumere incauta - quanto ordinariamente evitabile - in ragione dell’inesistenza di un quadro normativo realmente incerto od oscuro, della prevedibile gravità delle conseguenze dell’effetto estromissivo, della sintomatica carenza di un’espressa motivazione circa le ragioni dell’esclusione. Dette voci sono quelle relative al ristoro del danno emergente, sub specie di spese vive sostenute per la partecipazione alla gara, e del lucro cessante come perdita di occasione favorevole di guadagno (chance) sotto forma di utile ritraibile dall'esecuzione dei lavori, altrimenti assegnati.
Per ciò che attiene al quantum debeatur, i criteri di precisa quantificazione del sacrificio da ristorare - da definire secondo la procedura di specificazione di cui all’art. 35, comma 2, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (come sost. dall’art. 7 l. 21 luglio 2000, n. 205) - saranno, per ciò che riguarda le spese vive sostenute per la partecipazione alla gara, tutte quelle documentate ed esibite dall’appellante. Per ciò che riguarda invece il lucro cessante come indebita sottrazione delle chances di guadagno da esecuzione dei lavori, il danno andrà presunto in ragione dell’usuale 10% del valore dell’appalto. È infatti criterio consolidato che, ai fini della quantificazione di un siffatto danno, nella determinazione forfetaria ed automatica del margine di guadagno presunto nell'esecuzione di appalti di lavori pubblici, trovi applicazione analogica l'art. 345 l. 20 marzo 1865, n. 2248, All. F - ora sostanzialmente riprodotto dall’art. 122 del regolamento di cui al d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 - che quantifica al 10% del valore dell'appalto l'importo da corrispondere all'appaltatore in caso di recesso facoltativo dell'amministrazione (Cons. Stato, V, 8 luglio 2002, n. 3796). Ragioni di necessaria concretezza nella determinazione del detrimento patrimoniale impongono di considerare che il riferimento di base per il calcolo di detta percentuale presuntiva sia quello della base d’asta, come ribassato dalla offerta del ricorrente (cfr. Cons. Stato, IV, 15 febbraio 2005, n. 478.).
Al tutto si dovranno aggiungere rivalutazione ed interessi dalle date corrispondenti ai previsti pagamenti contrattuali del corrispettivo dell’appalto sino alla pubblicazione della presente sentenza.
Non va accolta, invece, la domanda risarcitoria dell’ATI appellante per quanto concerne il preteso, ma da essa indimostrato, danno da assunta perdita di qualificazione e il suo mancato miglioramento in occasione di altre gare. Anche a tutto concedere sul nesso causale, spettava infatti comunque ad essa richiedente, in virtù dell’onere probatorio che la gravava, dare specifico e documentale conto di come e, con maggior dettaglio, di quanto si fosse prodotto un siffatto effetto qualificatorio e di come e di quanto questo si fosse riflesso, e concretamente, in altre successive gare. In difetto di tale dimostrazione, non si pone la questione della verifica del collegamento causale.
5. L’appello va pertanto accolto, la sentenza di primo grado va riformata e per l’effetto vanno annullati i provvedimenti impugnati in primo grado e l’amministrazione appaltante va condannata al risarcimento dei danni nei termini e secondo i criteri descritti.
Per conseguenza, l’appellata e soccombente Comunità Montana del Fortore va condannata alla rifusione delle spese processuali dei due gradi del giudizio sostenute dell’attuale appellante, da liquidare in complessivi € 8.000 (ottomila).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati. Condanna la Comunità Montana del Fortore al risarcimento dei danni in favore dell’appellante Ediltecnica s.r.l.,, nei termini e secondo i criteri indicati in motivazione. Condanna la stessa Comunità Montana del Fortore alla rifusione delle spese processuali dei sue gradi del giudizio sostenute dell’appellante, che liquida in complessivi € 8.000 (ottomila).
Ordina che la sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 19 febbraio 2008, con l'intervento dei Signori:
Cons. Giuseppe Severini, Presidente ed estensore
Cons. Marco Lipari
Cons. Caro Lucrezio Monticelli
Cons. Marzio Branca
Cons. Nicola Russo
Il PRESIDENTE ESTENSORE
f.to Giuseppe Severini
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 14-04-2008.

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