venerdì 18 aprile 2008

Consiglio di Stato, VI, 18 marzo 2008, n. 1187

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 5251/07 proposto dal MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., e la QUESTURA DI ROMA, in persona del Questore p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
MASSIMILIANO TRUCCOLO, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dal Prof. Avv. G. Prosperetti ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via Belloni, 88;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I ter, n. 799/07 del 2.2.2007;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 18 dicembre 2007, il Consigliere Gabriella De Michele;
Uditi l’avv. dello Stato Spina e l’avv. Prosperetti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso l’atto di appello in esame, notificato tra il 6 e il 7 giugno 2007, si contestava la sentenza del TAR per il Lazio, sede di Roma, sez. I ter, n. 799/07 del 2.2.2007, che non risulta notificata, con la quale – in relazione al ricorso proposto dal sig. Truccolo Massimiliano, in qualità di guardia particolare giurata, a cui erano stati revocati dalla Questura di Roma i titoli di Polizia (libretto di licenza di porto d’armi e licenza di porto di pistola) – si dichiarava l’improcedibilità del ricorso nella parte impugnatoria (per avvenuta, successiva restituzione dei titoli stessi) e si accoglieva, invece, la domanda di risarcimento dei danni, in misura corrispondente alle retribuzioni non percepite nel periodo intercorso fra il 22 aprile 2004 e il 12 ottobre 2004, ovvero fra la data della sospensione dal servizio (per comunicata sussistenza di un procedimento penale, nonchè per le conseguenti determinazioni amministrative) e la data di revoca degli atti impugnati, per sopravvenuta archiviazione di detto procedimento.
Quanto sopra, secondo la sentenza appellata, "nel solco inaugurato dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 500/1999", in materia di danno per lesione di interessi legittimi, essendo ormai tale tipologia di danno pacificamente risarcibile, purchè sussista un nesso eziologico tra provvedimento illegittimo ed evento dannoso ed in presenza di una condotta dolosa o colposa, imputabile all’Amministrazione.
Nel caso di specie, sempre in base alla citata sentenza, risulterebbe pacifica l’avvenuta sospensione dal servizio del sig. Truccolo a seguito dell’avvio (in data 6.4.2004) del procedimento di revoca dei titoli di polizia, revoca poi intervenuta il 7.7.2004, a causa della pendenza presso la Procura della Repubblica di Roma di un procedimento penale, per il quale era però già stata formulata la richiesta di archiviazione del P.M., datata 29.4.2004 e depositata il successivo 4 maggio. In tale situazione, il comportamento dell’Amministrazione non potrebbe "essere ritenuto giustificabile, non ricorrendo alcun elemento, né di fatto né di diritto, che possa rendere giustificabile…. l’adozione di atti illegittimi"; la sottoposizione dell’interessato ad un’indagine penale non farebbe infatti venire meno di per sé – tenuto conto del principio costituzionale di non colpevolezza – il requisito della buona condotta, senza "un’autonoma istruttoria indipendente dagli intervenuti procedimenti penali".
Avverso le argomentazioni sopra sintetizzate, nell’atto di appello vengono prospettate le seguenti argomentazioni difensive:
I) inammissibilità dell’istanza risarcitoria, essendo l’esame di quest’ultima precluso dalla dichiarata improcedibilità della domanda di annullamento, in quanto un provvedimento, non annullato in sede giurisdizionale, impedirebbe la configurazione della fattispecie di cui trattasi (cosiddetta pregiudiziale amministrativa);
II) legittimità dell’atto di revoca e conseguente insussistenza dei presupposti del danno, ben potendo la pendenza di un procedimento penale con gravissime imputazioni (associazione a delinquere finalizzata a rapine, al gioco d’azzardo e ad altri reati in materia di armi e stupefacenti) far dubitare della buona condotta del soggetto interessato, dubbi che sarebbe stato lecito far sussistere fino alla pronuncia del G.I.P sulla richiesta di archiviazione del P.M.;
III) erronea quantificazione del danno, sia perché ricondotto a lesione di un diritto soggettivo e non di un interesse legittimo, sia perché riferita alla sospensione dal servizio, disposta al datore di lavoro prima che la Questura disponesse la revoca dei titoli di Polizia; lo stesso lavoratore, peraltro, avrebbe concorso alla formazione del danno stesso, con le conseguenze di cui all’art. 1227, comma 2, cod. civ., essendo stata proposta istanza per la restituzione dei titoli di polizia solo a distanza di due mesi dal decreto di archiviazione.
La parte appellata, costituitasi in giudizio, confermava le argomentazioni difensive già proposte in primo grado e resisteva all’accoglimento dell’appello, citando, in particolare, precedenti giurisprudenziali che sancirebbero "il definitivo superamento della pregiudiziale amministrativa".
DIRITTO
Il Collegio è chiamato a valutare, in via preliminare, l’ammissibilità di una domanda risarcitoria riferita a lesione di interessi legittimi, quando sussista, come nel caso di specie, declaratoria di improcedibilità riferita alla domanda di annullamento dell’atto, cui dovrebbe ricondursi la lesione degli interessi in questione.
L’eccezione, al riguardo prospettata dall’Amministrazione appellante, appare infondata, anche alla luce della cosiddetta "pregiudiziale amministrativa", secondo cui la risarcibilità del danno sarebbe inscindibile dalla caducazione del provvedimento produttivo della lesione: una circostanza, quella appena indicata, che richiede di norma l’impugnazione del provvedimento stesso entro brevi termini decadenziali, nonché il relativo annullamento.
Secondo un recente indirizzo della Corte di Corte di Cassazione a Sezioni Unite ( nn. 13659 e 13660 del 13.6.2006, n. 13 del 5.1.2007, n. 1139 del 19.1.2007), in effetti, il Giudice Amministrativo non potrebbe esimersi dall’accertare la lesione di un interesse protetto a fini risarcitori, entro il previsto termine di prescrizione, anche indipendentemente dall’intervenuto annullamento dell’atto lesivo, previa valutazione in via incidentale della prospettata illegittimità di quest’ultimo: è appunto a tale indirizzo, confermato da alcune pronunce del Giudice Amministrativo (cfr. per tutte Cons. St., sez. V, 31.5.2007, n. 2822), che fa rinvio la parte appellata, per opporsi all’eccezione di inammissibilità di cui trattasi.
La non condivisibilità di tale eccezione, tuttavia, va ricondotta a principi diversi, che esulano dal più recente indirizzo giurisprudenziale espresso dall’Ad. Plen. 22.10.2007, n. 12.
Nella specie, risulta evidente, come non possa individuarsi alcuna preclusione per il risarcimento del danno, quando il provvedimento lesivo – lungi dal consolidarsi – sia già stato caducato dall’Amministrazione in via di autotutela, con efficacia sia "ex nunc", che "ex tunc" (ovvero con effetti retroattivi o meno, a seconda che l’atto rimosso sia giudicato ab origine invalido, o venga semplicemente revocato, come nel caso di specie, per sopravvenuta insussistenza dei relativi presupposti). E’ in effetti pacifico in giurisprudenza che – quando venga meno l’interesse attuale all’annullamento, per intervenuti atti successivi – possa ravvisarsi un interesse residuale a ricorrere, a fini risarcitori, per gli effetti negativi già prodotti dal provvedimento originario, o per fattori di non corretta conduzione del relativo procedimento.
Nella fattispecie l’atto lesivo risulta ritualmente impugnato in primo grado di giudizio, di modo che può essere motivo di appello non l’avvenuta valutazione dell’istanza risarcitoria (in quanto asseritamene preclusa dalla declaratoria di improcedibilità), ma la scissione di tale valutazione da una formale pronuncia sulla legittimità del provvedimento impugnato: un provvedimento revocato, ma pur sempre produttivo di effetti per il periodo della relativa vigenza, e per la cui declaratoria di illegittimità "ex tunc" (anche se non più per l’annullamento) persisteva, appunto, l’interesse residuale al risarcimento del danno.
Sotto tale profilo, prospettato nel secondo motivo, l’appello appare fondato, non risultando condivisibili le argomentazioni che, nella sentenza appellata, sembrano ricondurre la lesione ad un diritto soggettivo, "espanso" dopo la revoca del provvedimento lesivo, in rapporto al quale dovrebbero essere accertati solo la "ricorrenza di un danno risarcibile" e la sussistenza di una "condotta dolosa o colposa imputabile all’Amministrazione", restando da evidenziare – in rapporto al provvedimento revocato – solo il "nesso eziologico" fra il medesimo e l’evento dannoso.
Anche in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, viceversa, il Collegio non può esimersi dal valutare la fondatezza, o meno, dell’originaria censura di violazione degli articoli 10, 11, 43 e 138 R.D. 18.6.1931, n. 773 (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza), per concludere che la intervenuta revoca, in data 7.7.2004, della nomina a guardia giurata e della relativa licenza di porto di pistola, da parte della Questura di Roma, non appaiono in contrasto con la citata normativa di riferimento e non possono configurare pertanto quella responsabilità per colpa della pubblica amministrazione, che sia la citata sentenza della Suprema Corte n. 500/99, sia la costante giurisprudenza successiva riconducono peraltro non a mera "inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline" (secondo la nozione recepita dall’art. 43 del codice penale), ma a violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenza, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili.
Sotto quest’ultimo profilo anche la prova della colpevolezza – che difficilmente, in base ai parametri indicati, può ritenersi "in re ipsa" – non può non connettersi alla particolare dimensione della responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interessi legittimi, responsabilità che l’elaborazione giurisprudenziale rende non del tutto coincidente con quella aquiliana, sussistendo anche profili (rilevanti, in particolare, sul piano probatorio) assimilabili a quelli della responsabilità contrattuale, in considerazione dell’interesse protetto di chi instauri un rapporto procedurale con l’Amministrazione al cosiddetto "giusto procedimento", che richiede competenza ed efficacia, quali ragionevoli parametri dell’azione amministrativa: si parla, a tale riguardo, di "contatto sociale qualificato" o di "responsabilità da contatto", implicante appunto corretto sviluppo dell’iter procedimentale e – salvo errore scusabile – legittima emanazione del provvedimento finale (cfr., per il principio, Cons.St., sez. V, 2.9.2005, n. 4461).
Nella situazione in esame, non vi è dubbio in primo luogo che il danno lamentato nel caso di specie – non nell’ambito del rapporto sinallagmatico, intercorrente fra l’attuale appellato ed il proprio datore di lavoro (Mondialpol Roma s.p.a.), ma nei confronti della Questura, quale autorità emanante gli atti di revoca – corrispondesse alla lesione di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere in questione, essendo il danno stesso direttamente riconducibile alla fase di incidenza autoritativa di tale potere.
Il provvedimento, inoltre, appare ragionevolmente emesso nell’ambito di valutazioni ampiamente discrezionali, connesse in particolare – per quanto qui interessa – ai requisiti richiesti per le guardie particolari giurate (fra cui l"ottima condotta politica e morale") ed in genere alla possibilità che le autorizzazioni di polizia vengano revocate o sospese "in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata" (artt.. 138 e 10 T.U. 773/1931 cit.): sotto quest’ultimo profilo la giurisprudenza ha ritenuto che – oltre a situazioni tipiche, in cui diniego e revoca sono atti dovuti dell’autorità di polizia (artt. 11 e 43 T.U. cit.) – sussista anche un’ipotesi residuale di adozione degli atti in questione, per fatti non specificamente individuati dalla legge, ma apprezzabili dalla medesima autorità per prevalenti ragioni di tutela dell’interesse pubblico (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. IV, 4.5.1982, n. 267; Cons. St., sez. IV, 28.3.1990, n. 221; Cons. St., sez. VI, 9.5.2006, n. 2528, 19.1.2007, n. 107 e 14.2.2007, n. 616).
Non può ravvisarsi, dunque, una violazione di legge nel provvedimento che, nel caso di specie, risulta adottato a seguito dell’avvio di un procedimento penale, in cui si ipotizzavano a carico della guardia giurata in questione imputazioni particolarmente gravi (associazione a delinquere per rapine con armi da sparo ed altri reati in materia di armi), tali da far ritenere prevalente l’interesse pubblico a sottrarre immediatamente alla medesima il possesso di armi.
Quanto sopra senza che – dopo la comunicazione di avvio del procedimento – fosse ritenuta sufficiente, per escludere la revoca, la mera notizia di una richiesta di archiviazione avanzata dal P.M. in sede penale (richiesta, comunque, non depositata presso la Questura prima dell’emanazione dell’atto di revoca ed accolta con decreto solo il mese successivo) e senza che, come ipotizzato nella sentenza appellata, fossero possibili autonomi accertamenti istruttori, in attesa delle decisioni da assumere in sede penale. Solo dopo tali decisioni (espresse con decreto di archiviazione, in data 19.7.2004), il soggetto interessato si attivava per richiedere la rimozione della revoca stessa (in data 22.9.2004) e l’istanza veniva, quindi, tempestivamente accolta dalla Questura (in data 12.10.2004).
Sembra al Collegio, in conclusione, che non siano imputabili alla medesima Questura né l’adozione di atti illegittimi, né una condotta comunque non rispondente ai parametri del giusto procedimento; non spetta al medesimo Collegio, viceversa, valutare se sussistessero obblighi di reintegrazione retributiva da parte del datore di lavoro (anche con riferimento al periodo compreso fra la sospensione del servizio e il provvedimento di revoca, essendo la prima, appunto, anteriore al secondo, in quanto disposta a seguito della mera comunicazione di avvio del procedimento).
L’appello viene pertanto accolto, con assorbimento delle ragioni difensive non esaminate (in quanto riferite alle modalità di quantificazione del danno) e conseguente annullamento della sentenza impugnata, nella parte in cui la medesima accoglie l’istanza risarcitoria ed emette le correlative statuizioni di condanna; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, appare equo disporne la compensazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, ACCOGLIE l’appello e, per l’effetto, ANNULLA la sentenza del sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I ter, n. 799/07 del 2.2.2007, nei termini di cui in motivazione; COMPENSA le spese giudiziali.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 18/12/2007 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Gaetano Trotta Presidente
Carmine Volpe Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Aldo Scola Consigliere
Gabriella De Michele Consigliere Est.
Presidente
Gaetano Trotta
Consigliere
Gabriella De Michele
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 18/03/2008.

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