lunedì 13 ottobre 2008

Consiglio di Stato, SEZ. V, 8 ottobre 2008 n. 4952

N. 9180 Reg.Ric. Anno 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
Sezione Quinta
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 9180 del 2007, proposto dal Consorzio di Polizia Municipale Valseriana, rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Garofalo, elettivamente domiciliato presso il cav. Luigi Gardin in Roma, via Laura Mategazza 24;
contro
il Comune di Albino, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessandro Pagano e Guido Romanelli, elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, via Pacuvio 34;
e nei confronti
dei signori Valerio Guerini, Giuseppe Mallia, Paolo Gualdi, Giovanni Donini, Vincenzo Azzola, Rosario Marano,Angelo Ghilardi e Aldo D’Addante, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione di Brescia – Sez. I, 2 agosto 2007 n. 721 resa tra le parti;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Albino;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 10 giugno 2008 il consigliere Marzio Branca, e uditi gli avv.ti Pappalepore per delega di Garofalo e Romanelli;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con deliberazione consiliare n. 5 del 26/1/2001 il Comune di Albino aderiva al Consorzio di Polizia Municipale Valseriana – costituito ai sensi dell’art. 31 del D. Lgs. 267/2000 – e di seguito sottoscriveva la relativa convenzione.
Con atto n. 55 del 22/6/2006 il Consiglio comunale di Albino deliberava il recesso dal Consorzio, appellandosi all’incontroversa facoltà prevista dall’art. 3 dello Statuto qualora siano trascorsi almeno 5 anni dall’adesione.
Il Consiglio di amministrazione del Consorzio, con deliberazione n. 37 del 30 ottobre 2006, ha preso atto della determinazione del Comune di Albino e, previa concertazione con le rappresentanze sindacali, ha individuato 8 unità di personale da trasferire e ha statuito di non riconoscere alcun rimborso pro-quota sulla consistenza patrimoniale, invocando l’art. 3 dello Statuto vigente.
Il Comune di Albino ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo Regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia- chiedendo l’annullamento della detta deliberazione e e per la condanna del Consorzio a trasferire 11 dipendenti al ricorrente, nonchè la condanna a liquidare una quota patrimoniale corrispondente alla partecipazione del Comune di Albino al medesimo consorzio.
Con la sentenza in epigrafe il ricorso è stato accolto.
Il Consorzio di Polizia Municipale della Valseriana ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza previa sospensione dell’efficacia.
Il Comune di Albino si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.
Con ordinanza 25 gennaio 2008 n. 401 la Sezione ha respinto la domanda cautelare.
Le parti hanno depositato memorie.
Alla pubblica udienza del 10 giugno 2008 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il Consorzio appellante reitera in questa sede l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo già avanzata in primo grado.
La sentenza ha disatteso l’eccezione osservando che il Consorzio è un Ente costituito ai sensi dell’art. 31 del T.U.E.L. per la gestione associata, da parte degli Enti locali che vi aderiscono, del servizio di polizia municipale. In tal senso l’accordo dal quale trae origine il Consorzio rientra nell’ampia categoria generale degli accordi fra amministrazioni pubbliche, previsti dall’art. 15 della L. 241/90. In virtù degli espressi richiami di cui al comma 2 di tale articolo, ne discende poi da un lato l’applicabilità dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili e dall’altro la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi" ai sensi dell’art. 11 comma 5 della stessa L. 241/1990 (cfr. sentenza T.A.R. Lombardia, Brescia, Sezione 11/4/2005 n. 303). Ciò comporta che, in linea di principio, i rapporti instaurati tra amministrazioni aderenti e Consorzio ed il loro svolgimento – che abbraccia la fase attuativa dell’accordo concluso – ricadono nella sfera di giurisdizione del giudice amministrativo.
Il Consorzio appellante ha contestato tali proposizioni invocando la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 204 del 2004), con la quale è stato stabilito, sia pure in diversa materia ma con enunciazione di principi di portata generale, che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo concerne le controversie nelle quali si faccia questione dell’esercizio del potere autoritativo dell’Amministrazione, mentre nella fattispecie il Consorzio avrebbe agito come soggetto privato secondo le regole del codice civile.
Ad ulteriore supporto dell’eccezione si allega il precedente costituito dalla decisione n. 4966 del 2006, con la quale il Consiglio di Stato, Sezione V, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione su vertenza che sarebbe largamente assimilabile a quella in esame.
2. La tesi del consorzio va disattesa.
Con riguardo al richiamo alla giurisprudenza costituzionale va precisato che è ben vero che la sentenza invocata ha espunto dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, contemplata dagli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 7 della legge n. 205, i comportamenti dell’amministrazione pubblica che non costituiscano esercizio di potere pubblico, ma il rilievo non conduce alla conclusione sostenuta dall’appellante.
Come ricordato dallo stesso Consorzio mediante citazione della giurisprudenza di questo Consiglio (Sez. IV. n. 2244 del 2006), "la finalità dell’art.11, comma 5, l. n.241/90 è (evidentemente) quella di riservare al giudice amministrativo la cognizione piena (estesa, cioè, anche ai diritti) dell’esercizio della funzione amministrativa, anche quando esercitata con il modulo convenzionale, anzichè unilaterale ed autoritativo. La disposizione consacra, in sintesi, il principio dell’indifferenza, al fine dell’attribuzione della pertinente capacità giurisdizionale, dello schema giuridico formale con il quale viene concretamente esercitato il potere autoritativo, sancendo la regola per cui resta riservata al giudice amministrativo la cognizione dell’esercizio delle funzioni pubblicistiche, anche quando concretamente espletate con il modello convenzionale (in alternativa a quello unilaterale).".
In altri termini, la circostanza che una controversia, come quella in esame, tragga origine dall’esecuzione di un accordo assoggettato, in forza degli artt. 15 e 11 della legge n. 241 del 1990, ai principi del codice civile, non è ragione sufficiente per escludere la natura autoritativa del potere esercitato e la conseguente giurisdizione amministrativa.
Né può essere condivisa l’argomentazione, avanzata nella memoria depositata il 30 maggio 2008, secondo cui la deliberazione con cui il Consorzio ha preso atto del recesso del Comune di Albino e deciso di non liquidare alcuna quota del patrimonio consortile, sarebbe in tutto e per tutto assimilabile alla decisione di non pagare il prezzo di una merce viziata o di non pagare un canone di locazione.
L’atto impugnato, infatti, costituisce esercizio di potere perché attiene allo, ed incide sullo, svolgimento del servizio pubblico della polizia municipale in territorio sul quale si esplicano le attribuzioni amministrative statutariamente appartenenti al Consorzio. A seguito del recesso di uno dei Comuni partecipanti il servizio pubblico svolto dal Consorzio è soggetto inevitabilmente ad una rimodulazione quantitativa e qualitativa, sul piano del personale e delle risorse materiali in precedenza disponibili, e perciò la determinazione impugnata non può essere ragguagliata alla cura di un interesse di natura privatistica, che attiene ad ogni soggetto, considerato nella sua sfera individuale, non come titolare di una funzione nell’interesse della collettività.
Va comunque chiarito che con la decisione n. 4966 del 2006, richiamata sopra, la Sezione è pervenuta alla declaratoria del difetto di giurisdizione in ragione del tipo di domanda avanzata, avente natura di accertamento dichiarativo, estranea ai tipi di azioni, impugnatorie o di accertamento costitutivo, esercitabili dinanzi al giudice amministrativo.
L’eccezione di difetto di giurisdizione deve dunque essere rigettata.
3. Con riguardo al merito, il Consorzio appellante ha sostenuto che la pretesa alla restituzione della quota di partecipazione conferita dal Comune di Albino in doverosa applicazione dei principi del codice civile in materia di consorzi, sarebbe infondata.
Viene allegata in tal senso la disciplina generale dei consorzi dettata dal codice civile con l’art. 2602 e seguenti, e, in particolare, la norma di cui all’art. 2609 c.c., secondo cui, in caso di recesso la quota di partecipazione del consorziato receduto si accresce proporzionalmente a quelle degli altri.
Si assume quindi che la sentenza sarebbe errata per aver disapplicato la detta disposizione in favore della applicazione analogica di norme che non riguarderebbero la fattispecie in esame quali: l’art. 115 del t.u. n. 267 del 2000 che attiene alla trasformazione del consorzio in società; l’art. 26 dello statuto del Consorzio e l’art. 16 della convenzione, che si riferiscono al caso dello scioglimento del consorzio e che comunque riguardano soltanto la riassegnazione del personale al Comune recedente.
Si assume inoltre che con la deliberazione n. 7 del 4 luglio 2003 il Consorzio, disponendo che nessun rimborso sarebbe stato corrisposto al Comune recedente, avrebbe semplicemente esplicitato un precetto già fissato dal codice civile all’art. 2609 più volte richiamato, norma che il Comune di Albino avrebbe implicitamente accettato aderendo al Consorzio. Per tale ragione sarebbe irrilevante che la modificazione statutaria non sia stata approvata dal Consiglio comunale, che, quanto meno avrebbe avuto l’onere di impugnarla, come previsto dall’art. 2606 c.c..
Si nega, in fine, che le modificazioni statutarie legittimamente assunte dall’Assemblea debbano poi essere ratificate dai singoli comuni; in caso contrario risulterebbe vanificata la disciplina di cui all’art. 31 del t.u.e.l. in materia di poteri degli organi consortili.
4. La tesi dell’appellante va disattesa.
Occorre in primo luogo affermare che il richiamo all’art. 2609 c.c., che regola la sorte della quota del consorziato recedente, risulta improprio e quindi non conferente.
Va chiarito che il concetto di "quota" non appartiene alla disciplina di tutti i tipi di consorzi, come sostenuto dall’appellante, ma solo a quelli per il contingentamento della produzione e degli scambi. L’art. 2603 c.c. chiarisce, infatti, che il contenuto ordinario e obbligatorio del contratto di consorzio non deve dettare disposizioni in materia di quote. Solo per i consorzi finalizzati al coordinamento della produzione e degli scambi il contratto deve stabilire le quote dei singoli consorziati o i criteri per la determinazione di esse.
E’ dunque evidente che, per comprendere il senso, tutt’altro che perspicuo, dell’art. 2609, occorre aver presente cosa debba intendersi per "quota" nei consorzi di contingentamento e produzione, denominati anche consorzi industriali, dei quali va brevemente richiamata la funzione.
Si tratta, come è noto, di organizzazioni create da imprenditori, che esercitano una medesima attività economica o attività economiche connesse, che pertanto si trovano reciprocamente in rapporto di concorrenza, per disciplinare la loro attività economica. L’elemento che caratterizza i consorzi industriali e costituisce il presupposto della loro disciplina, consiste nel coordinamento della produzione e degli scambi e cioè nella disciplina dei rapporti concorrenziali che tra essi intercorrono. A tal fine gli imprenditori interessati fissano, attraverso il contratto di consorzio (art. 2602 c.c.), con efficacia vincolante per i singoli consorziati, le direttive a cui ciascuno dovrà attenersi nello svolgimento della sua attività economica, sicché dal contratto consegue inevitabilmente una limitazione dell’iniziativa economica dei singoli.
In questo quadro si colloca la prescrizione del codice che impone la indicazione, nel contratto di consorzio industriale, della "quota" dei singoli consorziati o dei criteri per determinarla. La quota, infatti, è la determinazione del contingente che, in ordine alla produzione o allo scambio complessivi, viene riservato al singolo consorziato, ossia lo "spazio" del mercato che il singolo ha il diritto di occupare.
Alla stregua di quanto precede è agevole comprende la regola dell’accrescimento fissata dall’art. 2609 per il caso di recesso del consorziato: la "quota" lasciata libera dal recedente viene ripartita tra gli altri in misura proporzionale alla loro quota di partecipazione fissata dal contratto.
Dalla sorte della quota di mercato, nella quale hanno diritto di subentrare i consorziati superstiti, va tenuta distinta la disciplina dei riflessi patrimoniali derivanti dall’uscita dal consorzio. La dottrina ha messo in evidenza che, in caso di recesso, il rapporto con il consorzio si risolve ex nunc, e pertanto, mentre resteranno ferme le obbligazioni assunte per il periodo di efficacia del contratto, come, ad esempio, i versamenti di contributi a titolo di partecipazione alle spese, ed effettivamente impiegati, dovranno essere restituiti al recedente i contributi versati in anticipo o i conferimenti in beni materiali, nei limiti della quota di partecipazione.
Ritiene dunque il Collegio che l’art. 2609 non possa offrire alcun valido supporto alla tesi dell’appellante, sia perché concerne un fenomeno del tutto estraneo al consorzio tra enti locali per l’esercizio di servizi pubblici, sia perché non sancisce alcun diritto dei comuni supersiti di appropriarsi dei conferimenti effettuati dal Comune recedente e da questo non più utilizzabili per lo scopo che li aveva determinati.
5. Esclusa la valenza della disciplina dei consorzi industriali, non può non prendersi atto: a) della mancanza di una espressa regolamentazione del recesso nello statuto consortile e nella annessa convenzione; b) e conseguentemente, della necessità di individuare, sulla base dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, quei principi del diritto delle obbligazioni e dei contratti in base ai quali sciogliere il problema in discussione.
Il punto a), invero, è contestato dall’appellante, che allega la deliberazione n. 7 del 4 luglio 2003, con la quale il Consorzio ha disposto che nessun rimborso sarebbe stato corrisposto al Comune in caso di recesso unilaterale.
La sentenza ha affermato la inopponibilità della determinazione al Comune di Albino in quanto non espressamente approvata dal consiglio comunale, ed a tale conclusione è pervenuta sulla base della competenza del comune, stabilita dall’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dell’art. 31, comma 2 del medesimo t.u., all’approvazione degli atti fondamentali delle associazioni tra comuni e dei consorzi.
La proposizione dei primi giudici merita di essere confermata.
A tale riguardo, in merito alla censura dell’appellante, è da osservare che la suddetta competenza del consiglio comunale non può ritenersi venuta meno per il fatto che lo statuto consortile preveda, all’art. 7, il potere dell’assemblea di approvare modifiche allo statuto medesimo, e che tale norma fu a suo tempo approvata anche dal Comune di Albino. L’interpretazione sostenuta dall’appellante si risolverebbe nella implicita rinuncia del consiglio comunale all’esercizio di funzioni stabilite dalla legge, rinuncia che sarebbe evidentemente illegittima, e come tale il giudice non potrebbe tenerne conto.
Va comunque precisato che l’art. 31, comma 5, t.u.e.l. attribuisce all’assemblea del consorzio il potere di approvare gli atti fondamentali del consiglio di amministrazione (..ne approva), non del consorzio.
Quanto alla mancata impugnazione della deliberazione n. 7 del 2003, in disparte la ricordata inefficacia nei confronti del Comune di Albino, va osservato che il diritto alla contestazione della medesima si inquadra nella disciplina dei consorzi industriali, estranea, per quanto si è detto sopra, alla controversia in esame.
6. Il punto sub b) concerne il quesito se sia rinvenibile nell’ordinamento un principio che, in caso di recesso unilaterale da un consorzio fra enti locali, stabilisca il diritto del recedente al recupero del patrimonio conferito all’atto dell’adesione.
Un primo indizio favorevole alla tesi del Comune appellato, invero, si ritrova proprio nella convenzione consortile, che all’art. 16, stabilisce che, in caso di recesso anticipato, gli agenti trasferiti dal Comune di Albino saranno riassegnati a richiesta al Comune stesso. Secondo l’appellante si tratterebbe di una deroga, l’unica, al vigore del più volte invocato art. 1609 c.c.. Non si chiarisce, però, la ratio di una deroga tanto rilevante al preteso diritto di accrescimento delle quote degli altri soci, posto che tale deroga, incidendo sul personale, viene a sottrarre ad un consorzio per la polizia municipale la risorsa più rilevante.
In realtà la pretesa deroga è l’espressione di un principio generale immanente allo svolgimento in comune da parte di più soggetti di una attività che richieda il conferimento di beni, sia che si tratti di ritrarne degli utili, come nella società, o dello svolgimento di servizi o funzioni pubbliche, come nei consorzi tra enti locali.
Allorché, come accade nel contratto di società (art. 2285 c.c.), e come nella specie non è controverso, il rapporto sociale può sciogliersi da parte di uno solo dei partecipanti all’accordo, non può non trovare applicazione anche il principio che al recedente compete il recupero di quanto conferito per lo svolgimento dell’attività comune consacrato nell’art. 2289 c.c..
Come correttamente ricordato dai primi giudici, inoltre, l’art. 115, comma 7-bis, del t.u.e.l., a proposito della trasformazione del consorzio in società per azioni, stabilisce che il comune che non intende partecipare alla società ha diritto alla liquidazione della quota capitale.
L’appellante obietta che il rifiuto di partecipare ad una società è fenomeno diverso dal recesso dal consorzio. Ad avviso del Collegio la differenza formale tra le due fattispecie non giustificherebbe, di per sé, la diversità della disciplina. Il rifiuto di proseguire nella forma societaria l’attività intrapresa con il gruppo dei consorziati costituisce una libera determinazione del comune sostanzialmente assimilabile al recesso. Se potesse riconoscersi che, come vorrebbe l’appellante, per principio di ordine generale l’adesione al consorzio determina la perdita del diritto a recuperare quanto conferito da parte del singolo partecipante, l’art. 115, comma 7 – bis avrebbe posto una norma priva di coerenza e di razionalità, e dovrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale della medesima. Ma l’ipotesi, come si è visto, è priva di fondamento.
In conclusione l’appello deve essere respinto con conseguente conferma della statuizioni della sentenza di primo grado.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello in epigrafe;
condanna il Consorzio per la polizia municipale della Valserina al pagamento in favore del Comune di Albino delle spese ed onorari del presente giudizio che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre IVA e C.P.A.;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 giugno 2008 con l'intervento dei magistrati:
Domenico La Medica Presidente
Marzio Branca Consigliere est.
Vito Poli Consigliere
Francesco Caringella Consigliere
Adolfo Metro Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Marzio Branca F.to Domenico La Medica
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/10/08







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